Il contrasto di Gesù con le autorità religiose del suo tempo.
Gesù propone una revisione cristologica della cultura e delle tradizioni dei singoli e di ciascun popolo. Il contrasto con le autorità religiose del suo tempo mostra tutta la difficoltà di accogliere la nuova prospettiva.
Dopo Nicodemo e la Samaritana, parliamo ora delle autorità giudaiche e della loro reazione all’insegnamento di Gesù, sempre secondo il Vangelo di Giovanni.
La Legge al servizio del Salvatore
Nel Giudaismo l’insegnamento era intimamente connesso alla Legge, che si riteneva dettata direttamente da Dio. I maestri di Israele avevano il solo compito di far conoscere quanto Dio stesso aveva rivelato a Mosè allo scopo di favorire le relazioni tra gli individui e Dio e tra i singoli e il loro prossimo.
Nella comunità di Qumran, che viveva nei pressi del Mar Morto, il maestro di giustizia aveva il compito di svelare le cose nascoste nella Legge. Di conseguenza egli era totalmente al suo servizio.
Anche Gesù come i farisei e i rabbini vede nella Legge la rivelazione della volontà di Dio, ma rifiuta, a differenza loro, di considerarla come una realtà assoluta. Per lui anche la Legge deve essere al servizio della sua missione di inviato del Padre: con la sua venuta la Legge perde centralità. Il nuovo centro della rivelazione è Gesù stesso. Mentre i rabbini del suo tempo insegnano che la Legge va studiata e osservata, Gesù insegna che va ascoltata e osservata la sua Parola, quale realizzazione della Legge. D’ora in poi l’accesso alla volontà del Padre si ottiene non con la Legge, ma con la Parola di Gesù. Egli cambia la funzione della Legge e la sostituisce con la sua persona.
Nel Vangelo di Giovanni l’insegnamento di Gesù è menzionato nel contesto della festa dei Tabernacoli (Gv 7-8) e consiste fondamentalmente in una autorivelazione. Mentre Gesù rivela se stesso, rivela il Padre. Non vi è dubbio che in questo Vangelo «insegnare» e «parlare» siano verbi di rivelazione. Nella maggior parte dei casi, il loro oggetto è la stessa persona di Gesù, il quale non intende spiegare la Legge, tanto meno rivelarne i risvolti sconosciuti. Un’altra annotazione di rilievo è che nel quarto Vangelo Gesù insegna esclusivamente nel tempio (Gv 7,14-35; 8,20.28) o nella sinagoga. Gesù sceglie il tempio perché proprio in esso gli scribi si radunano per discutere le problematiche della Legge. Quando al capitolo 7,14 l’evangelista dice che Gesù sale al tempio, molto probabilmente intende dire che Gesù si pone sullo stesso piano degli scribi, e come loro impartisce il suo insegnamento.
Un’impresa difficile
La reazione alla Parola di Gesù è violenta. Le autorità non accettano la sua dottrina, la ritengono fuorviante. Per loro Gesù è un falso profeta e addirittura un indemoniato (cf. Gv 7,20). Essi credono che il suo insegnamento stia allontanando la gente dalla sacra Legge di Mosè (Gv 7,47). Essi rifiutano la dottrina di Gesù, perché essa imporrebbe loro una radicale trasformazione personale e una rivisitazione della Legge stessa. In Gv 7,38 Gesù proclama: «Chi crede in me, come dice la Scrittura: “fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno”». Non vi è alcun dubbio che solo la fede può guidare le persone a riconoscere Gesù come il rivelatore del Padre, e il suo insegnamento come proveniente da Dio, e, infine, ad accettare di diventare per sé e per gli altri fonti di acqua zampillante. La venuta di Gesù svela che la Legge ha lo scopo di preparare gli animi ad accoglierlo. Coloro che ritengono invece la Legge di Mosè intangibile, non essendo disposti a una trasformazione, considerano Gesù un traviatore di folle da togliere di mezzo. I Farisei oppongono Mosè a Gesù quando affermano: «Noi sappiamo, infatti, che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia» (Gv 9,29). Essi credono che Dio abbia parlato faccia a faccia con Mosè, in più credono di essere loro i suoi legittimi discepoli. Di Gesù essi ignorano la provenienza, e ritengono che il suo insegnamento non sia ortodosso. Per loro il nazareno non può essere un autentico maestro, anche per il fatto che non ha frequentato la scuola di nessun rabbino famoso, e pochi sono disposti a credere all’affermazione di Gesù che sostiene che il suo unico e vero Maestro è Dio stesso (Gv 7,16; 8,28).
Lo schiaffo del soldato
Lo stesso tema dell’accoglienza dell’insegnamento di Gesù ricorre nel momento cruciale della vita del salvatore, quando Anna, suocero del sommo sacerdote, lo interroga «circa i suoi discepoli e la sua dottrina» (Gv 18,19). Le autorità giudaiche si ostinano a credere che Gesù sia un impostore. Alla domanda di Anna, Gesù risponde: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho detto nulla di nascosto» (Gv 18,20). Lui sa bene, infatti, che esse hanno già deciso la sentenza di morte, e sa di conseguenza che non c’è bisogno di esporre ancora una volta la sua dottrina.
In questa sezione del quarto Vangelo (Gv 18,19-24) si può notare un dialogo tra Gesù e Anna che è strutturato in maniera concentrica: Anna (v. 19), Gesù (v. 20-21), lo schiaffo del soldato (v. 22), Gesù (v. 23), Anna (v. 24). Bisogna notare che il verbo «parlare» (verbo di rivelazione) ricorre tre volte nel versetto 22 e una volta nel versetto 23. Da questa struttura emerge che lo schiaffo del soldato, che si trova al centro, quindi nella posizione più rilevante, viene inferto per punire il parlare rivelare di Gesù, rigettando brutalmente il suo insegnamento.
Durante il suo ministero pubblico, Gesù ha «parlato» e «insegnato» riguardo le cose del Padre portando una nuova rivelazione, che non si trova nella Legge di Mosè. Coloro che vogliono credere in lui devono avere il coraggio di considerare la Legge, e tutte le tradizioni antiche, al servizio della nuova rivelazione.
Oltre culture e tradizioni
L’evento Cristo supera culture e tradizioni e impone una scelta radicale: o con lui o contro di lui. Ciò che appartiene alla nostra storia personale deve essere solo ed esclusivamente al servizio della nuova rivelazione. Né la Legge di Mosè né le differenti culture e tradizioni dei vari popoli possono avere un posto d’onore nella vita dei credenti. Tale posto spetta solo a Cristo, il Verbo Incarnato. Culture e tradizioni diverse possono vivere insieme a condizione che venga accolta in tutti la radicale trasformazione operata da Cristo Gesù. L’affermazione di Paolo rimane sempre attuale: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (cf. Gal 2,20).
Antonio Magnante
di Antonio Magnante
Antonio Magnante
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