Mettersi al fianco di nuovi uomini e donne.
«Un rabbino istruiva i suoi discepoli. Nel corso dei suoi insegnamenti, domandò loro: "Quando comincia il giorno?". Uno rispose: "Quando si alza il sole e i suoi dolci raggi abbracciano la terra e la rivestono d’oro. Allora, un nuovo giorno comincia". Ma il rabbino non fu soddisfatto da tale risposta. Così, un altro discepolo s’arrischiò ad aggiungere: "Quando gli uccelli cominciano a cantare in coro le loro lodi e la natura stessa riprende vita dopo il sonno della notte. Allora, un nuovo giorno comincia". Anche questa risposta non accontentò il rabbino. Uno dopo l’altro, tutti i discepoli tentarono di rispondere. Ma nessuno riuscì a soddisfare il rabbino. Infine, i discepoli si arresero e con agitazione domandarono loro stessi: "Allora, dacci tu la risposta giusta! Quando comincia il giorno?". Ed ecco il rabbino rispondere con estrema calma: "Quando vedete uno straniero nell’oscurità e in lui riconoscete vostro fratello, in quel momento il giorno è nato! Se non riconoscete nello straniero vostro fratello o vostra sorella, il sole può essere sorto, gli uccelli possono cantare, la natura può ben riprendere vita. Ma fa ancora notte, e le tenebre sono nel vostro cuore!».
«Riconoscere uno straniero (o semplicemente il tuo vicino di casa) nell’oscurità come tuo fratello» non è un richiamo semplicistico all’accoglienza degli stranieri o a dare loro aiuto – cosa che per noi è scontata -, ma è l’invito a cercare in lui o in lei le stesse tue domande di vita. Sì, leggere nei suoi comportamenti diversi dai tuoi le stesse domande di vita alle quali la sua cultura (o la sua educazione) ha dato risposte differenti da quelle date dalla tua, e cercare la ragione, la sapienza di base di quella cultura.
Come missionari, grazie all’esperienza di vita in contesti diversi, veniamo a constatare che gli elementi culturali sono risposte a delle domande di vita che ogni uomo, ogni donna, e ogni cultura si fa.
Il nostro impegno nella scuola è quello di aiutare i giovani a scoprire come i loro coetanei di altre culture vivono le loro stesse realtà e problematiche della vita. Così le aule scolastiche si trasformano in palestre di vita, dove alleniamo i muscoli dello Spirito, e parliamo di precarietà giovanile a partire dai suicidi tra gli Indios dell’America Latina, di sessualità a partire dagli Igbo dell’Africa, di riti di iniziazione partendo da quelli africani per arrivare a riflettere sul passaggio dall’adolescenza all’età adulta, ecc.
Il Concilio Vaticano II d’altronde ci dice: «I vari popoli costituiscono infatti una sola comunità. Essi hanno una sola origine, poiché Dio ha fatto abitare l’intero genere umano su tutta la faccia della terra, hanno anche un solo fine ultimo, Dio».
I giovani, come tutti, «attendono dalle varie religioni la risposta ai reconditi enigmi della condizione umana, che ieri come oggi turbano profondamente il cuore dell’uomo».
La forma degli incontri che facciamo nelle scuole vuole essere quella della tavola rotonda, con tre momenti:
1. Ascolto delle culture
2. Ascolto e riflessione sulla nostra cultura
3. Per la vita (la visione cristiana)
Tutti ormai lo sappiamo: i giovani, i nostri giovani, sono i grandi dimenticati di oggi. Vivono in una società che li stordisce di proposte, in un mondo in cui tutti corrono e nessuno ha tempo di fermarsi ad ascoltarli, di accoglierli e di rispondere alle loro domande. Allora devono cercare da soli le risposte e si ritrovano disorientati a gestire emozioni, progetti e cambiamenti in un contesto in cui il nichilismo sopisce ogni voglia di impegnarsi a difendere un valore piuttosto che un altro e in cui sembra che a nessuno importi quale sarà il posto delle nuove generazioni nel mondo lavorativo e familiare. E allora ecco il vuoto che sentono dentro di loro e che diventa sempre più grande fino a farli sentire inutili e impotenti.
I percorsi che proponiamo nelle scuole dunque vogliono essere uno spazio dove i ragazzi possano sostare, riflettere e interrogarsi, imparando a conoscere i moti del proprio cuore, a dare un nome a sentimenti e atteggiamenti e divenendo consapevoli del cammino di crescita spirituale e umana che stanno vivendo, alla luce delle diverse culture.
Perché facciamo tutto questo? Possiamo rispondere con le parole di Enzo Bianchi: «L’opera d’arte che ciascuno è chiamato a fare della propria esistenza dipende essenzialmente dalla sua capacità di relazione con se stesso, con Dio, con gli altri e con le cose, all’insegna di una lotta quotidiana per tendere alla comunione». L’ora di religione allora diventa un’occasione per fornire ai ragazzi l’opportunità di un dialogo, di un percorso alla scoperta di sé e all’ascolto dell’altro, aiutandoli a crescere, a riacquistare fiducia in se stessi, nei propri talenti e nel mondo degli adulti e degli educatori, i quali finalmente si fermano ad ascoltarli. Il rischio della scuola oggi è infatti quello di fornire ai ragazzi delle tecniche, delle informazioni, delle competenze per le quali sono abilitati a lavorare, ma non a vivere. L’ora di religione diventa «l’ora missione» nella quale, con semplicità ma anche con competenza e serietà ci si mette al fianco di questi nuovi uomini e donne che sono chiamati a donarsi, ad amare, a sposarsi, a dedicarsi a cause importanti, piccole e grandi nella loro vita. Ecco perché la via interculturale, con le sue domande, sfide e opportunità aiuta i ragazzi a interrogarsi e a lascarsi coinvolgere dall’affermazione di Michael Quoist: «Se vuoi essere un uomo per gli altri, non cessare mai di chiederti quale uomo vuoi offrire loro».
padre Nicholas Muthoka
di Nicholas Muthoka
Nicholas Muthoka
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