Il multiculturalismo secondo Paolo di Tarso / Seconda puntata.
Ecco la seconda puntata di Bibbia on the road sul Multiculturalismo secondo Paolo di Tarso. «Tutti i credenti sono unificati in Cristo e la loro precedente identità ha subito un radicale cambiamento. […] La prima benefica conseguenza dell’essere battezzati in Cristo è l’impegno di eliminare nella vita concreta le distinzioni di razza, di cultura e di sesso».
L’incontro con Cristo ha la forza di imprimere alla vita dei credenti una nuova direzione. Nella sua Lettera ai Galati, Paolo passa facilmente dal concetto di fede a quello di battesimo perché la prima diventa comprensibile se vista in intima unione con il secondo. Il credente attraverso il suo battesimo si identifica con la morte, sepoltura e risurrezione di Cristo. In Rom 6,13-14 Paolo spiega come i cristiani siano uniti alla morte di Cristo. È il battesimo che rende possibile un’intima unione con Lui. Per Paolo il battesimo costituisce un legame tra due persone, il credente da una parte e Cristo dall’altra. Una volta identificato con Cristo, il credente è morto al peccato (Rom 6,2.11), è libero da esso (Rom 6,6). In altre parole il credente non è più schiavo del peccato e il peccato non esercita più alcun potere sopra di lui (Rom 6,14). In modo positivo, i credenti vivono in Dio (Rom 6,11). Tutto questo è possibile per il fatto che il battesimo ci rende partecipi della morte e risurrezione di Cristo. Una tale partecipazione al Cristo totale conferisce ai credenti una nuova vita (1Cor 6,17) e li trasforma in una nuova creazione (2Cor 5,17; Gal 6,15).
Rivestiti di Cristo: cambiare identità
Paolo descrive questo cambio di identità con il verbo «rivestire». Il credente, dunque, è chiamato a rivestirsi delle caratteristiche, virtù e intenzioni dello stesso Cristo. In questo modo si identifica con Lui, acquisendo il suo stesso modo di pensare (cf. Fil 2,5). Ne risulta, quindi, che tutti i credenti sono unificati in Cristo e che la loro precedente identità ha subito un radicale cambiamento. Nella prima lettera ai Corinzi, dopo la lista dei vizi dei pagani menzionati per indicare la loro nuova situazione, Paolo aggiunge: «E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore nostro Gesù Cristo e nello Spirito di Dio» (1Cor 6,11).
Una nuova etnia
La prima benefica conseguenza dell’essere battezzati in Cristo è l’impegno di eliminare nella vita concreta le distinzioni di razza, di cultura e di sesso. Una volta battezzati i cristiani appartengono a una differente categoria di persone. La sola condizione è di aver fede in Gesù Cristo morto e risorto. Le eventuali divisioni tra i credenti indicano che essi hanno perso di vista la loro vera identità. Le divisioni che nacquero nella comunità di Corinto furono aspramente stigmatizzate da Paolo. Avevano formato le famose fazioni: io sono di Apollo, io sono di Paolo, io sono di Cefa, io sono di Cristo (cf. 1Cor 1,10-17). Per Paolo, Cristo è indivisibile, e quanto lui fece, lo fece per tutti, di conseguenza i credenti appartengono solo ed esclusivamente a Lui. In forza di una profonda unione con Cristo morto e risorto, attraverso il battesimo, ci sembra difficile che si possa pretendere di appartenere a un gruppo diverso che non porti l’impronta di Cristo. Sia l’unione con Cristo che la sublime conoscenza di Lui fanno di Paolo e di tutti quelli che accettano il Cristo totale, un nuovo gruppo etnico.
«Ma Cristo vive in me»
Per descrivere quanto la realtà di Cristo sia entrata nella sua vita, Paolo fa un uso frequente della frase «in Cristo». Attraverso il battesimo i credenti sono «in Cristo». Quest’espressione diventa la nuova identità che Paolo rivendica per sé e per i suoi seguaci. Essa ricorre 61 volte nelle lettere proprie di Paolo. Si è pensato che fosse un’indicazione del misticismo paolino, rivelatrice di un’intima esperienza di Cristo. Ci sembra di dover affermare che sia l’indicazione di una nuova identità cristiana. Per questo motivo, ciò che per Paolo deve caratterizzare il cristiano è l’essere «in Cristo», e non l’essere «nel mondo», «nel peccato», e specialmente «nella carne». Coloro che sono «in Cristo» sono passati da un modo di esistenza a un altro. Questo significa che si è verificato un trasferimento di appartenenza: non si appartiene più a se stessi, ma si appartiene a Lui, che è l’unico nostro sovrano. D’ora in poi i credenti non sono più sotto il giogo del peccato (Rom 3,9; 5,21; 6,1.12-14; Gal 3,22), ma sotto la sovranità di Cristo.
Per Paolo senza dubbio si tratta di una reciproca e profonda unione, al punto che si potrebbe parlare di misticismo, se con questo termine intendiamo il rapporto tra l’umano e il divino, costituente il cuore di una profonda esperienza religiosa percepibile solo nella forma dell’intuizione immediata di una profonda realtà che sfugge a qualsiasi linguaggio, persino a quello della psicologia. In effetti, si tratta di una relazione Io-Tu, nella quale Paolo e Cristo ritengono la loro personale identità. Cristo non si impone a Paolo, ma si propone alla sua adesione di fede, la quale è vita di Cristo in lui e di lui in Cristo. Magistralmente Paolo descrive questa nuova realtà della sua vita con un’espressione che è diventata classica e molto citata: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato la vita per me» (Gal 2,20). L’espressione «questa vita nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio» conferma chiaramente che la personalità di Gesù Cristo non ha cancellato la personalità di Paolo, il quale ancora vive nella carne. La stessa esplicita menzione della fede mantiene la distinzione tra Paolo e Cristo. Tra loro non si tratta, dunque, di una sovrapposizione ma di una relazione di intimità. Si tratta di una profonda relazione interpersonale tra il credente e Cristo, una partecipazione di una persona alle vicende e alla realtà dell’altra.
In conclusione si può senza dubbio affermare che «essere in Cristo» significa essere in comunione con Cristo in un grado sublime, senza distruggere o minimizzare – piuttosto aumentandola – la peculiare personalità sia del cristiano che di Cristo.
Dalla morte, la nuova creazione
A questo punto dobbiamo notare che Paolo non manca di sottolineare una conseguenza etica dell’essere in Cristo. L’intima relazione vitale tra il credente e Cristo sarà possibile solo se il credente si mette alla Sua sequela fino ad accettare la morte con lui. La nuova creazione nasce dalla morte, come si legge nel Vangelo di Giovanni: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Rom 6,11 conferma questa realtà: «Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma vivi per Dio». La vita che i credenti vivono in Dio, dopo essere morti al peccato è, dunque, completamente nuova e pienamente controllata da Dio (cf. Rom 6,12-14).
Per Paolo la nuova vita non riguarda solamente i singoli credenti, ma investe anche la comunità cristiana come tale. Le comunità paoline devono aver percepito nella loro vita di fede di essere completamente rinnovate e pervase dalla presenza di Cristo, predicato e rappresentato nella sua più sublime realtà da Paolo.
di Antonio Magnante
Antonio Magnante
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