Come educatore Dio sembra un fallimento
Ultima puntata della serie «Dio educa il suo popolo».
Come educatore Dio sembra un fallimento: mette il suo amore nella bellezza della creazione, eleva un popolo come suo prediletto, manda i suoi profeti, ma rimane inascoltato. Infine dona suo Figlio, che finirà sulla croce. Ma col sangue e con l’acqua avviene il riscatto.
Dio non cessa d’intervenire nella storia d’Israele: vuole rivelare il mistero della sua vita divina, legare il suo popolo a sé con vincoli d’amore. Nel Prologo del Vangelo di Giovanni troviamo una sintesi della storia di «Dio educatore». Con la sua Parola porta tutto all’esistenza (Cf. Sap 9,1; Col 1,15-16; Gv 1,3) facendo in modo che gli uomini possano cogliere la sua impronta nella creazione (Cf. Sap 13,1-9; Rom 1,18-23). Ma «il Logos-Parola era nel mondo, e il mondo è stato fatto per mezzo di lui e il mondo non l’ha conosciuto» (Gv 1,10).
IL POPOLO ELETTO
Dopo il primo fallimento, Dio adotta un nuovo metodo educativo: sceglie un popolo come «figlio primogenito» (Es 4,22) e con esso stabilisce un’alleanza che rinnova a più riprese, manifestando la sua cura paterna per mezzo della Legge e dei profeti. Anche questo tentativo finisce in un insuccesso: «Il Logos-Parola venne nella sua casa (Israele), e i suoi non l’hanno accolto» (Gv 1,11).
Viene in mente la parabola dei vignaioli. Il padrone della vigna manda i suoi servi, ma tutti sono scherniti, malmenati e scacciati dai vignaioli. Come ultimo tentativo invia il figlio con la speranza che almeno lui sia ricevuto e ascoltato (cf. Lc 9,17). Per educare il suo popolo, «dopo aver parlato per mezzo dei profeti, Dio ci parla attraverso il Figlio» (Eb 1,1). I profeti parlavano in nome di Dio, pur non avendolo mai visto. Nella pienezza del tempo, però, la distanza che separava la creatura dal creatore è eliminata dal Figlio. Nel Logos, fatto carne, Dio diventa visibile, udibile e palpabile (Gv 1,14; 1Gv 1,1-3; 4,2-3).
GESU’ RIVELATORE DEL CUORE DEL PADRE
Il Logos ha tutti i gradi accademici per educare l’umanità perché conosce gli insegnamenti del Padre. Ne è qualificato perché egli pre-esisteva prima che ogni cosa fosse portata all’esistenza (Gv 1,11) e dall’eternità era in perenne dialogo di amore con il Padre. Egli può svelare il cuore del Dio. Infatti, dice: «Quanto ho imparato da Lui (il Padre) lo dico al mondo» (Gv 8,26), e ancora: «Io non parlo da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha comandato quello che devo dire e annunciare» (Gv 12,49). Gesù, dunque, è un educatore qualificato perché è la Parola di Dio (Gv 1,1-2) e il Figlio del Padre (Gv 1,18). Egli solo conosce il Padre, perché viene da lui (Gv 6,46; 7,29; 8,55; 16,27; 17,8); lo conosce (Gv 7,29) come il Padre conosce lui (Gv 10,15), perché egli è nel Padre e il Padre è in lui (Gv 10,30; 17,21.23); è la luce (Gv 1,8; 8,12; 9,5) e la verità (Gv 14,6) in Persona.
Nella pienezza del tempo, dunque, Dio per educare l’umanità impegna il Figlio. Dio non si serve più dei profeti, ma della sua Parola sussistente, che attinge il suo insegnamento direttamente dall’inesauribile ed eterna relazione con il Padre.
UN MAESTRO DIVERSO
Gesù inizia la sua attività di Maestro qualificato rivolgendosi alle folle e al gruppo dei discepoli. È un Maestro diverso dai Rabbini. Infatti, contrariamente all’uso del tempo, sceglie i suoi discepoli: «Non siete stati voi a scegliere me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16). Gesù «li ammaestrava come colui che ha autorità, non come gli scribi» (Mc 1,22). Egli si presenta non come un professore che dispensa il suo insegnamento dall’alto, ma come un maestro che segue ognuno dei suoi alunni. È un Maestro sapiente perché usa un linguaggio semplice e comprensibile come quello delle parabole, che nascono dalla sua osservazione dell’ambiente che lo circonda e arrivano al cuore degli ascoltatori. Gesù è il Maestro cha porta a compimento il messaggio della Torah dell’Antico Testamento. Nel discorso del Monte (Mt 5), mentre riafferma la validità della legge antica, le imprime il sigillo della novità, liberandola. La sua è una legge che proietta verso il mistero di Dio, che diventa il modello per tutti. Infatti, egli afferma: «Siate perfetti, come è perfetto il Padre mio che è nei cieli» (Mt 5,48).
UN MAESTRO «FALLITO»
Nonostante la credibilità e affidabilità del suo insegnamento, bisogna, tuttavia, riconoscere che la didattica divina termina ancora una volta con un fallimento. Si pensi ad esempio alla pazienza di Gesù nell’educare i suoi discepoli lungo la strada che lo porta a Gerusalemme. Dopo il primo annuncio della passione (Mc 8,31), Pietro, che aveva appena fatto la sua professione di fede in Gesù-Messia (Mc 8,27-30), reagisce negativamente, persino rimproverando il Maestro. Dopo il secondo annuncio (Mc 9,31) nessuno dei discepoli osa chiedere a Gesù spiegazioni perché sono troppo presi a discutere chi di loro sia il più grande (Mc 9,34). Addirittura dopo il terzo annuncio (Mc 10,33-34), i due fratelli, Giacomo e Giovanni, gli chiedono un posto di privilegio nel suo regno. La stessa folla, che lo osanna mentre entra trionfante a Gerusalemme sulla groppa di un asinello, qualche giorno dopo griderà «crocifiggilo».
Perfino l’educatore per eccellenza, Gesù inviato dal Padre, sembra fallire il suo compito: tutti si ritraggono da lui durante la sua prova finale, la croce. Nel momento in cui egli esprime il massimo dell’amore del Padre per l’umanità, sono presenti solo il discepolo amato, alcune donne e la madre. Come nella parabola dei vignaioli, anche il figlio, l’erede, è messo a morte.
IL SILENZIO DI DIO, DI ACQUA E SANGUE
Il Dio che aveva rotto il silenzio per ingaggiare un dialogo di amore con le sue creature attraverso suo Figlio è ricacciato nel suo silenzio. La sua Parola è immolata e tace, ma da essa scaturiscono sangue e acqua.
Viene da pensare che l’umanità non sia «educabile». Dio ha lasciato riverberare l’eco della sua Parola sulle mura della coscienza umana. Dio rispetta la libertà dell’umanità, si ritira e tace, lasciando alla Parola il compito di continuare a domandare di essere obbedita. Spetta, dunque, all’umanità attingere l’acqua e il sangue che scaturiscono dalla croce.
di Antonio Magnante
Antonio Magnante
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