Intervistiamo la famiglia Trisciuzzi. Laici Missionari della Consolata di Martina Franca (Taranto), impegnati da molti anni nell’Animazione Missionaria in collaborazione con i missionari e le missionarie della Consolata, si presentano: «Valerio Trisciuzzi, 48 anni, impiegato. Dorella Lodeserto, 44 anni, insegnante. Sposi dal 1° ottobre 2001, giorno di Santa Teresa del Bambin Gesù, patrona delle missioni. Siamo genitori di Pietro, 9 anni, e Francesca, 3 anni. Tutti di Martina Franca!».
Perché avete deciso di diventare laici missionari e, soprattutto, perché della Consolata?
È stata una conseguenza delle esperienze in terra di missione, e di anni di formazione, animazione, collaborazione con i missionari e le missionarie della Consolata. Un po’ per volta abbiamo capito che il Signore non ci voleva spettatori, ma protagonisti della missione, da laici.
Ci raccontate la vostra storia missionaria?
V.: La mia inizia nel ’94, con un’esperienza missionaria in Kenya. Dopo anni di Azione Cattolica, essa ha cambiato la mia vita. Luoghi come Mukululu, Gatunga, Mikinduri, e incontri come quelli col nostro concittadino fratel Argese, con fratel Gasparini, con padre Motta e padre Maggioni, mi hanno aiutato a rivedere il mio essere cristiano. Dal ’94 è stato un crescendo: altri incontri, altre esperienze, che mi hanno portato nuovamente in Kenya nel ’95, ’97, ’99 e in Tanzania nel 2011.
D.: Io ho conosciuto i Missionari e le Missionarie della Consolata negli anni ‘80, in parrocchia. Dopo anni di partecipazione ai gruppi missionari, nel ’94, l’adesione agli «Amici di Gatunga e Mukululu», nato dall’esperienza in Kenya di un gruppo di volontari, tra cui Valerio, ha segnato un nuovo inizio per me. Con gli anni è cresciuto l’impegno missionario e il desiderio di fare un’esperienza in Africa, per la quale è arrivata l’occasione nel ’99: le settimane in Kenya sono state tra le più belle della mia vita! Il contatto con la gente, il lavoro dei missionari, la straordinaria bellezza dell’Africa: tutto parlava di Dio. E Dio ci parlava davvero: a Nairobi, dopo anni di amicizia e condivisione dell’impegno missionario, Valerio e io abbiamo sentito Dio chiederci di continuare insieme.
Potete dire due parole sul vostro paese? Quali sono le sue principali sfide missionarie?
La situazione dell’Italia è sotto gli occhi del mondo intero. A una crisi economica si affianca una crisi di valori, di cui la prima, probabilmente, è una conseguenza. A Martina, se da un lato si continua a vivere la fede attraverso radicate pratiche e tradizioni, dall’altro è forte la chiusura delle comunità (parrocchie, associazioni…). C’è un ostinato «coltivare il proprio orticello», una sorta di autodifesa, che impedisce la ricchezza dello scambio di carismi e la sinergia del lavoro in rete.
Una sfida missionaria è l’«evangelizzazione di ritorno». Un’altra è l’ascolto e la capacità di andare incontro alla crisi della famiglia e del mondo giovanile. Sfida e provocazione insieme è il laicato stesso. Il laico impegnato, il più delle volte, è ancora considerato una sorta di «manovale»!
Che lavoro (missionario) svolgete oggi?
Oltre alla nostra missione principale, la nostra famiglia, ci occupiamo di animazione missionaria con i più piccoli, preparando e realizzando cammini formativi, campi-scuola e iniziative di raccolta fondi e di servizio per i gruppi Arcobaleno1 (11-14 anni) e GeM (17-26 anni).
Qual è la difficoltà più grande che incontrate?
La prima, grande difficoltà sta sicuramente nel conciliare famiglia, lavoro e impegni. Nello specifico dell’impegno missionario, le difficoltà sono la diffidenza della gente, la chiusura delle comunità, l’esiguo numero di animatori.
E la soddisfazione?
La gratitudine delle famiglie, vedere alcuni ragazzi crescere con noi e diventare animatori missionari, vedere realizzati i progetti in terra di missione, come il Progetto Neema in Tanzania, nato nella nostra comunità.
Ci raccontate un episodio significativo della vostra vita missionaria?
V.: Mikinduri (Kenya), agosto ’94, centro per bambini con problemi dovuti alla malnutrizione. Una settimana di condivisione totale: attività, pulizie, cibo, ma soprattutto gioco. Il mio obiettivo era quello di far ridere i bimbi. Solo Gatueri, una bambina di cinque anni con gravi difficoltà motorie, rimaneva triste e passiva, nonostante i miei sforzi. L’ultimo giorno mi avvicinai per salutarla con il viso sporco di colore, e lei mi regalò un bellissimo sorriso. Non lo dimenticherò mai. Volevo farla sorridere per lasciarle un mio ricordo, ma è stato il suo sorriso a lasciare un segno indelebile nel mio cuore.
D.: Ne scelgo uno legato al nostro essere laici missionari «a casa nostra». In occasione del nostro matrimonio abbiamo proposto ad amici e parenti di aiutarci a finanziare un progetto invece di farci dei regali. Ci sembrava naturale condividere la nostra gioia con i fratelli lontani. Il giorno dopo il matrimonio abbiamo ricevuto un biglietto di un politico locale, dichiaratamente ateo, nel quale ci ringraziava per il «segno di speranza» che avevamo dato. È stata una piccola conferma che la volontà di bene si espande a macchia d’olio.
Quali sono, secondo voi, le grandi sfide della missione del futuro? Come pensate di affrontarle?
V.: Far scoprire ai giovani i valori veri e l’attualità del Vangelo, in cui possono trovare risposte ai loro dubbi esistenziali; lavorare in rete con altre organizzazioni, religiose e laiche; sensibilizzare ai nuovi stili di vita; investire sul laicato missionario.
D.: Lo scambio. La reciprocità del dono. La mentalità più diffusa è quella che concepisce il missionario come qualcuno che da’, e l’altro come qualcuno che non ha nulla e riceve soltanto. Penso invece che si sia credibili solo nella misura in cui si è capaci di mettersi alla pari. Di ricevere. E poi la testimonianza. Parlare con la vita vale più di mille parole.
Che cosa possiamo offrire al mondo come Famiglia dei Missionari della Consolata?
Consolazione, speranza, dialogo, condivisione: noi abbiamo trovato questo nei Missionari e nelle Missionarie della Consolata e questo vorremmo offrire agli altri.
Quale frase, slogan, citazione proponete ai giovani che si avvicinano ai nostri centri missionari, e perché?
V.: Mi piace molto un’espressione utilizzata spesso da padre Franco Gioda: «Essere costantemente in stato di missione», che vuol dire impregnare l’intera esistenza di missione. Per dirla con il beato Giovanni Paolo II: «Tutti i cristiani sono missionari in forza del battesimo», non si può essere cristiani senza essere missionari.
D.: «Affliggere i consolati», dal titolo di un libro di don Tonino Bello. «Consolare gli afflitti» (Mt 5,4) è la base del nostro carisma, ma il modo di vivere di tanti cristiani, serenamente incoscienti, è in contraddizione con la condizione di povertà di milioni di persone nel mondo. Sembra allora urgente «affliggere i consolati», essere presenza critica per chi vive chiuso nelle proprie sicurezze.
di Luca Lorusso
Luca Lorusso
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