«Quando il cielo baciò la terra nacque Maria, che vuol dire la semplice, la buona, la colma di grazia: è il respiro dell’anima, l’ultimo soffio dell’uomo» (Alda Merini).
Celebrare con solennità la festa della Consolata è per noi un bisogno del cuore, “e il cuore dice ciò che bisogna fare per una madre!” (CVV 159), ma più profondo è il desiderio di scoprire aspetti nuovi legati a questo titolo, per noi ispiratore della missione.
Il consolare, l’essere vicini alla gente nel momento della sofferenza e del bisogno, l’annunciare Cristo come pienezza di vita, è fondamentale. La storia di Maria è stata, infatti, una storia di consolazione quasi sempre nascosta e silenziosa, fatta di presenza e di conforto efficace. Ci ha aiutato così a scoprire l’Emanuele, il Dio vicino, il Dio con noi. Meno evidente, ma non meno importante, è l’esperienza di Maria Consolata, nell’aspetto passivo di questo aggettivo, nell’avere cioè ricevuto lei stessa da Dio consolazione e conforto.
Vivendola, ha tracciato per noi l’itinerario del missionario: si può consolare gli altri solo nella misura in cui noi stessi abbiamo sperimentato la consolazione che viene da Dio (cf 2 Cor, 1, 3-7). “Il nome che portate deve spingervi ad essere ciò che dovete essere” (CVV 158).
La sua consolazione vera è di aver tessuto nel suo grembo la carne di Gesù, rendendosi conto che la Parola di Dio, la Scrittura antica dei profeti e dei sapienti, si faceva uomo, persona, Gesù.
Quella Parola che Dio voleva dire in modo definitivo all’umanità, quel Vangelo di salvezza che voleva annunziato a tutti, quel Logos “significato” della vita, Maria lo ha portato in sé.
Si metteva a disposizione del Padre per un progetto di salvezza che non nasceva dai suoi desideri, ma che Dio aveva preparato con pazienza e fedeltà attraverso i secoli. Il sì di Maria ha permesso all’opera di Dio di realizzarsi, di incarnarsi nella storia umana, di dare a tutti la possibilità di stabilire un nuovo rapporto con Dio e con gli altri. Da allora, quel Dio che diventava uomo nel grembo di Maria non si separò più dal genere umano, facendo dell’umano il suo tratto rivelatore.
«Il Figlio dell’Altissimo venne e dimorò in me, ed io divenni sua madre. Come io ho fatto nascere lui – la sua seconda nascita – così anch’egli mi ha fatto nascere una seconda volta. Egli indossò la veste di sua madre – il suo corpo; io indossai la sua gloria» (Inni sulla Natività). Così sant’Efrem il Siro evoca la nascita di Gesù, parlando del corpo come di un abito e richiamando il titolo di “tessitrice”, di ricamatrice, attribuito anticamente a Maria dalle Chiese siriache.
L’icona siriana dell’Annunciazione presentava infatti la Vergine con un gomitolo rosso in mano: ricamava il corpo del Verbo, Cristo, che da lei riceveva come “vestito”.
A Pasqua la consolazione di Maria conoscerà la sua pienezza. Presente accanto al Figlio nel mistero pasquale, riconoscerà in lui Crocifisso e Risorto la Parola definitiva che il Padre voleva dire all’umanità: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”(Gv 3,16).
L’esperienza del Servo di Yahwe (cf Is 52,13-53,12), il suo essere umiliato, maltrattato e schernito, Maria l’aveva vissuta nella sua vita. Donna umiliata perché vergine incinta, serva solidale fino in fondo con l’umiliazione del Figlio, continua a fidarsi di Dio, sostenuta dalla fede e dal desiderio di compiere la sua volontà.
Nel baratro dell’umiliazione, sperimenta la consolazione di sentire Dio vicino che la risolleva, ribalta la situazione. Maria gioisce e canta la sua risurrezione: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiliazione della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata” (Lc 1, 46-48). Maria ha creduto che la Parola di Dio si sarebbe compiuta anche attraverso di lei e l’umiliazione accettata con fede è diventata causa di esaltazione.
Il Magnificat diventa così il canto degli oppressi liberati e delle situazioni umane che si capovolgono (vv. 51-52) per effetto della potenza di un Dio che ama gli umiliati e si ricorda di loro.
«O Figlia di Sion, il tuo orecchio ha udito gaudio e letizia, fa’ che anche noi possiamo sentire da te l’annuncio gioioso. L’angelo aspetta la tua risposta. Stiamo aspettando anche noi, o Signora, la tua parola di compassione. Rispondi presto, o Vergine. Apri, dunque, o Vergine beata, il tuo cuore alla fede, le tue labbra alla parola, il tuo seno al creatore. Ecco, colui che è il desiderato di tutte le genti sta fuori e bussa alla tua porta. Alzati, corri, apri. Alzati con la tua fede, corri col tuo affetto, apri col tuo consenso» (S. Bernardo, Sermoni per le feste della Madonna).
di p. Giuseppe Ronco, IMC
Giuseppe Ronco
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