Giugno è il mese in cui i Missionari e le missionarie della Consolata sparsi nel mondo celebrano la festa della loro “mamma”, Maria Consolata.
Ma la devozione alla Consolata ha in Torino origini antiche, come racconta p. Mario Barbero:
«A Torino da molti anni si venera l’immagine della Consolata. La devozione a questa immagine risalirebbe a San Massimo, il grande vescovo del quarto secolo, il quale avrebbe edificato una chiesa dedicata a S. Andrea ponendo nella medesima un’immagine di Maria SS. col Bambino in braccio, donatagli dal Vescovo di Vercelli S. Eusebio reduce da un suo viaggio in Oriente.
Tale immagine sarebbe sopravissuta a varie traversie fino al ritrovamento miracoloso del 1104 da parte di Giovanni Ravacchio un cieco venuto a Torino da Briançon.
La presenza di Maria Consolatrice si fa sentire nei momenti più delicati della storia torinese: pestilenze, invasioni straniere, liberazione da assedi (1706 anno in cui la Consolata è dichiarata patrona di Torino)».
Maria “consolata” o Maria “consolatrice”? Sempre p. Barbero ci aiuta a capire come un titolo non possa prescindere dall’altro:
«I titoli con cui Maria è invocata sono molteplici: Consolatrice, Vergine delle consolazioni, Consolata. Anche qui non è facile descrivere il passaggio da consolatrice a Consolata (dovuto forse alla traduzione di “consolatrice” in dialetto piemontese “consùla”). Tuttavia non è difficile vedere l’intercambiabilità dei due termini: la consolatrice è anzitutto colei che è consolata dalla grazia del Signore e può diventare “madre di consolazione, consolatrice”. La radice di questo titolo (consolata) è nel saluto di Gabriele a Maria in quella pagina incantevole dell’annunciazione che è all’origine di tutti i titoli dati a Maria dalla fede e dalla devozione, in quel nome nuovo con cui l’Arcangelo Gabriele la chiama “kekaritomene” (piena di grazia). È in quanto “piena di grazia” che Maria è piena di consolazione e può spandere consolazione sul mondo; anzi, generando Gesù, dando carne al Figlio di Dio, porta la vera consolazione».
Il Beato Giuseppe Allamano, rettore del Santuario della Consolata per 46 anni, contemplando questa icona fu ispirato a fondare una comunità missionaria, col motto “Et annuntiabunt gloriam meam gentibus”, per portare la consolazione di Dio al mondo.
«Che volete! La Consolata… è una devozione che va al cuore. Se avessi da fare la storia delle consolazioni ricevute dalla Madonna in questi quarant’anni che sono al Santuario, direi che sono quarant’anni di consolazione. Non è che non abbia dovuto soffrire; lo sa Iddio quanto! Ma lì, ai piedi della Consolata, si è sempre aggiustato tutto». (Giuseppe Allamano)
Ed è proprio la Consolata che l’Allamano considera la vera fondatrice dell’Istituto. Ricorda P. Mario Barbero: «Contemplando il viso dolce della Consolata, l’Allamano contemplava tutto il mistero della Vergine e Madre e il suo ruolo missionario. Maria è Consolatrice perché porta in braccio Gesù, perché attraverso di lei il Figlio di Dio ha preso carne. Guardando a lei l’Allamano fu ispirato a fondare una comunità missionaria che nel nome della Consolata e a sua imitazione diventasse portatrice di “consolazione” al mondo».
Questa prospettiva missionaria è espressa nelle Costituzioni dei missionari e delle missionarie della Consolata: «Portiamo il nome della Consolata, e l’Istituto è opera sua. Ci sentiamo partecipi della missione materna di Maria di portare al mondo la vera Consolazione, Cristo Salvatore, e con lei annunciamo la gloria di Dio alle genti».
Dal Santuario cuore della Chiesa torinese, la Consolata, anche attraverso i missionari e le missionarie della Consolata, ha iniziato il suo cammino per il mondo. È stata accolta da popoli di differenti paesi, che l’hanno vissuta, interpretata e raffigurata secondo la propria cultura e tradizione.
Reinterpretata da artisti locali di Africa, Asia e America Latina, l’icona della Consolata racconta un cammino di devozione e di amore che accorcia le distanze tra i vari popoli.
Quelle che seguono sono immagini, testi e preghiere che vogliono contribuire a raccontare un tratto di questo cammino, nella consapevolezza della sua parzialità e col desiderio che altri raccolgano e condividano la ricchezza di questo amore filiale per la Consolata.
Maria Consolata in Africa
Iniziamo questo viaggio partendo dall’Africa, attraverso l’opera di un di un artista tanzaniano. La statua proviene dalla Faraja House di Mgongo dove esiste da anni una scuola tecnica per ragazzi orfani o di strada. Faraja in Kiswahili vuol dire “consolazione”. P. Franco Sordella, missionario della Consolata, è il fondatore e direttore del centro. Così descrive la statua: “La Madonna consola i bambini abbandonati offrendo loro Gesù bambino. Tre bambini seminudi cercano di scappare dal serpente arrampicandosi e tendendo le mani verso la Madonna che a sua volta allunga le braccia verso di loro. Il serpente rappresenta i mali da cui cercano di fuggire e che sono il loro pane quotidiano: povertà, abbandono, ignoranza, abusi, malattie”. Con la Madonna P. Franco ha un rapporto particolare: quando ha dei problemi per i quali non riesce a trovare una risposta la gira verso il muro, quasi a metterla in castigo perché si dia da fare in fretta. È un modo per chiederle di chinarsi verso i “suoi” bambini. Straordinariamente la risposta arriva e allora rigira la statua per continuare a contemplarla e lodarla.
Interpretazione di artista etiope
Il volto di Maria (P. Giuseppe Giovanetti)
Volto di Maria di Nazareth
Volto di Maria d’Egitto
Volto di Maria d’Etiopia
Volto di Maria della strada
Volto di Maria rifugiata
Volto di Maria accompagnata
Volto di Maria ritrovata
Volto di Maria ritornata
Volto di Maria Consolata
Volto di donna
Volto di mamma
Volto di grazia
E a proposito dell’Africa come non ricordare le vicende della Consolata, “prigioniera” in Sudafrica, qui riportata da p. Giuseppe Quattrocchio:
«Il 4 ottobre 1940 i missionari della Consolata del Kenya partirono per la prigionia in Sudafrica. “Il quadro della Consolata trafugato e messo in valigia sta ora in bella mostra nella cappelletta del campo. Perché non abbellirlo? Si inizia con una bella cornice. Poi salta fuori l’idea di ricordare le belle stelle che incoronano il quadro della Consolata nel santuario di Torino. E perché non costruire le stelle in metallo prezioso?”. La moneta del Sudafrica, il rand, è d’argento. Molti dei prigionieri accettano, di buon grado di mettere a disposizione la cinquina che il governo inglese passava ai prigionieri: uno scellino al giorno. Al cambio ne vengono fuori dodici rands e qualcosetta. L’orefice autodidatta prova e riprova ed infine ottiene dodici belle stelle d’argento. L’effetto è sorprendente. Ora la Consolata sembra più bella… anzi, meno triste… anche se anche Lei è in prigione come tutti i missionari suoi!».
Maria Consolata in Asia
«Posso mettere davanti all’immagine della Consolata dello yogurt secco e delle caramelle da offrire?», chiede una giovane; «Offri pure, ma quel che più conta è l’offerta delle tue gioie e dei tuoi dolori: dille tutto, Lei è madre, certamente capirà», le risponde Narantuya. Narantuya è una donna mongola non ancora cinquantenne, anche se il viso consumato la fa sembrare più anziana. Una persona semplice, che ha capito l’essenziale della devozione a Maria, Madre del Signore.
«Come missionari sentiamo che la presenza di Maria è essenziale nel cammino di evangelizzazione. La sua immagine dipinta dall’artista locale Enkhtuvshin-Augustin, con il vestito tradizionale e gli zigomi un po’ più accentuati aiuta ancora di più a sentirla vicina, e dunque spinge alla confidenza. Adesso questa versione mongola della Consolata fa bella mostra di sé in alcune ger, le tende tradizionali di queste popolazioni di antica tradizione nomade; sono le famiglie che hanno deciso di camminare nella fede e trovano in Lei un riferimento sicuro. Desideriamo anche noi missionari e missionarie in Mongolia prendere di nuovo Maria “tra le nostre cose più care”, come Giovanni ai piedi della croce, per diventare veri testimoni della Risurrezione. A Lei affidiamo questa missione impegnativa e dalle caratteristiche peculiari». (P. Giorgio Marengo)
Così scrive l’autore dell’opera, Enkhtuvshin-Augustin: «La prima volta che entrai nell’appartamento dei Missionari della Consolata ad Ulaanbaatar notai un’immagine incorniciata, appesa al muro in modo che spiccasse con rispetto anche da lontano; era una riproduzione della Consolata e la guardai con attenzione.
Un’immagine non poi così notevole a vedere l’aspetto generale, ma che da vicino mi sembrò molto peculiare, con un tratto diverso dallo stile europeo. Pensavo: non c’è forse in quell’immagine un tocco orientale, un influsso non cinese o indiano o tibetano, bensì uiguro-turfanico che la rende vicina? Non che si possa parlare con certezza di simili contaminazioni o legami culturali, ma questa fu la mia prima impressione. Forse è per via della sensazione di pace e dolcezza che provai dentro, per quello stile Uiguro orientale che mi sembrò vicina. Senza dubbio credo che l’autore dell’icona della Consolata l’abbia realizzata stando in preghiera e sotto l’impulso dello Spirito Santo.
Dal mio punto di vista nel realizzare la riproduzione di Maria Madre Consolata ho voluto raffigurare il volto della Madonna da giovane, senza apportare cambiamenti all’originale, ma inserendo come vestito l’antico abito mongolo con l’abbottonatura in diagonale. Questa volta ho utilizzato cartoncino e tempera Gouache, ma mi chiedo come risulterebbe l’immagine se riprodotta utilizzando acrilico su pelle tinta bronzo; avrei intenzione di iniziare presto quest’altra realizzazione».
Maria Consolata in America Latina
Maria Consolata rappresentata su una vetrata della chiesa di Cafelândia, Brasile
È p. Daniel Bertea a descriverci la Consolata ritratta su tela dall’artista argentina Silva Graziella. Incorniciata da strisce colorate che rappresentano i cinque continenti, é perfettamente lei, “la Consolata di Torino”, ma ricreata con i dettagli tipici della cultura di quella terra, l’Argentina, che di italiani ne ha visti arrivare centinaia di migliaia.
Dalla mano destra della Vergine, sul cui petto, a maniera di scialle, scorre la bandiera argentina, è evidenziato il “mate”, bevanda simbolo di amicizia, ospitalità, condivisione, bevanda che si scambia in reciprocità tra amici, e tra nemici ritornati amici.
Nella mano sinistra della Madre e del Figlio c’è il segno della benedizione e della vita: il pane!
Eleganti sandaletti di cuoio sui piedini di Gesù ricordano l’Argentina dell’abbondanza, che oggi è un sogno amaro per molti. Tra quei “molti” non possiamo dimenticare le popolazioni indigene, a cui richiama la delicata treccia india della Madonna.
Dice l’artista: «Mi sono ispirata alle parole della Bibbia (Consolate, consolate il mio popolo, dice il Signore! Is. 40,1) . E mi sono usciti spontaneamente dal cuore questi segni che ho espresso su tela. Sono segni di consolazione che si fondano sulla parola di Dio. Quella Parola che, caduta nel cuore ardente dei missionari della Consolata venuti in terra argentina, si è fatta lievito di speranza che suscita vita, anche se a tutt’oggi le ferite dell’ingiustizia e della postmodernità sono tante e dolorosissime».
Maria Consolata viene portata in processione in Ecuador
Vergine Consolata (Suor Angeles Mantineo)
Vergine Consolata,
Tu percorri con noi i sentieri del mondo,
da ieri, da sempre, da quando ci fosti data come Fondatrice e Madre.
Sei stata per noi aurora, sole dei nostri meriggi e di ogni sera il riposo.
Il tuo sguardo ci ha seguite nelle notti del dolore: hai asciugato le nostre lacrime,
hai risvegliato la speranza e ci hai rivestite di pace.
«Il quadro della Consolata, venuto dal Santuario della Consolata di Torino, é arrivato fino alla Comunità Warao di Nabasanuka, situata nella regione orientale del Venezuela formatasi sul delta del grande fiume Orinoco. Dopo aver visitato la nostra parrocchia continua il suo cammino sul territorio venezuelano, visitando le varie comunità della missione. Così la Madonna ha viaggiato sulla piccola imbarcazione della Missione, ha sostato nell’umile casa del catechista o del leader della Comunità, é stata messa in un luogo dove tutti la potevano vedere; senza lusso, senza luci e senza fiori. I Warao non sono abituati a queste cose, per loro inutili. La Comunità però si é riunita attorno a Lei, la Madre di Dio e Madre nostra che ascolta, consola e porta a Gesù. Così si é presentata la Consolata alla fede semplice del popolo Warao, che sa che non c’è differenza tra Consolata e Coromoto, la Patrona di Venezuela, oppure Consolata e Divina Pastora, Patrona del Vicariato di Tucupita». (Suor Carla Pianca)
Chiudiamo questo itinerario con una preghiera alla Consolata di P. Viglino.
La Consolata (1987) (P. Ugo Viglino)
Oggi che è la tua festa
ti voglio parlare
dei tuoi missionari.
Portan nel mondo il tuo nome,
la Luce che nel tuo grembo s’accese.
Certo, tutti li conosci
a uno – a uno.
Ti prego: fa’ loro sentire, oggi
(non lo scorderanno mai più)
Il brivido
Di una tua carezza vera.
Icona della Consolata conservata presso la Certosa di Pesio.
di Clelia Nosengo
Clelia Nosengo
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