Poi spuntò un ragazzo che confessò: «Ho rubato un po’ di polenta alla nonna, perché avevo fame».
Di regola non faccio domande quando confesso. Ritengo che l’unico autorizzato ad indagare sul «perché» e sul «come» delle vicende errate degli uomini e delle donne sia solo Gesù Cristo, il salvatore…
Ieri, prima della Messa, una fila di bambini attendeva per la confessione. La fila era nutrita e il tempo stringeva. «Un motivo in più per non dilungarmi in troppe domande» mi dissi, mentre il sudore aveva già inzuppato camicia e camice.
«Perdonami, padre, perché… ho rubato».
«Io ti assolvo…». E uno.
«Perdonami, padre, perché… ho rubato».
«Io ti assolvo…». E due.
La scena si replicò per la terza volta e poi la quarta, la quinta, sempre con lo stesso «ho rubato». Al sesto round, ruppi gli indugi e a una ragazzetta di V Elementare dai piedi scalzi chiesi:
«Che cosa hai rubato?»
«Una penna biro».
Senza attendere altre domande, la ragazzetta dai piedi scalzi continuò: «Io non soldi per comprare una biro. Però una mia compagna ha sei biro. Allora ho pensato che potevo prenderne una, visto che lei ne ha tante. Padre, ho proprio fatto una cosa brutta brutta?». Da sessantottino mai pentito (secondo il quale rubare ai ricchi non è un’infamia), stavo per rispondere: «No, figlia mia, non hai fatto una cosa brutta brutta!».
Poi spuntò un ragazzo che confessò: «Ho rubato un po’ di polenta alla nonna, perché avevo fame». Osservai quella creatura, magra come uno stuzzicadenti, che non sapeva di pulito. Non riuscii a dire «ti assolvo dai tuoi peccati», perché la commozione mi soffocò le parole. Lo congedai con un tocco sulla spalla…
Ecco il Tanzania con i «ladri di polli», severamente puniti, mentre chi ruba miliardi fa bisboccia. Come in ogni angolo del pianeta.
Mi si dice che l’Italia è in guerra contro i ladri che non pagano le tasse. Bene. Nel nostro paese si lotta pure contro il «buco» dell’indebitamento pubblico, di cui l’evasione fiscale è una componente significativa. Auguri!
Oggi da Google News apprendo che ogni italiano ha, in media, un debito verso lo stato pari a 32.000 euro. È una voragine, altro che buco! E tutti vi possono affogare. Pertanto bene ha fatto il governo di Mario Monti a non firmare la richiesta di ospitare le costose Olimpiadi a Roma.
Un tempo gli imperatori romani tenevano a bada le folle inquiete offrendo loro panem et circenses, ossia pagnotte e spettacoli nelle arene. Però, con le Olimpiadi (e i pesanti aggravi economici), avremmo avuto tantissimi «fratelli d’Italia» a pancia vuota.
Cari amici,
la domanda con cui mi voi inseguite da tempo e con affetto è: «Come stai in Tanzania?».
Sto bene. Non posso stare male in un paese dove lei ruba una penna per scrivere, ed io ho il computer. Non posso lamentarmi in una nazione dove lui, affamato, ruba una fetta di polenta, mentre a me non manca il companatico.
Stanotte la ragazzetta dai piedi scalzi e il compagno magro come uno stuzzicadenti si sdraieranno su una stuoia, in preda alla malaria.
Pure a me le zanzare succhiano il sangue mattino e sera, eppure non ho ancora preso la malaria.
Amici, vi pare poco?
Inoltre essere missionario-giornalista in Tanzania non mi dispiace. È servizio urgente. E
sono grato alla Provvidenza che mi sostiene in questo impegno.
Quindi tutto bene?
Dire «tutto bene» non significa «tutto facile».
Nulla è facile, specialmente in Africa. C’è la croce da portare, sotto ogni latitudine, anche se non sei cristiano. E, se non sei credente, la croce pesa ancora di più.
Inoltre non basta… credere in Dio. Bisogna credere soprattutto nel prossimo.
Lei che intasca una penna biro (perché è povera) e lui che ingoia una fetta di polenta (perché ha fame) credono in Dio: vanno in chiesa, pregano e, addirittura, si confessano. Ma domani possono farsi la forca nella vita. Credere in Dio non basta.
Il primo comandamento è, certamente, amare Dio. Però non dimentichiamo il prossimo, che rende credibile l’amore verso Dio (Vangelo di Matteo 22, 38).
La vita in Tanzania è complessa non per mancanza di fede in Dio, bensì per carenza di fiducia verso il prossimo. Dietro l’angolo, si accovaccia sempre la tentazione dello scoraggiamento di fronte all’altro da rispettare.
«Ho sempre lottato per cambiare il mondo. Oggi lotto perché il mondo non cambi me» diceva e dice Marco, ieri animatore in parrocchia e oggi sposo felice, nonché papà estasiato di fronte agli strilli della dolcissima Chiara. Bravo Marco!
Dal «da Casa Madre» maggio 2012
di Francesco Bernardi
Francesco Bernardi
Ultimi post di Francesco Bernardi (vedi tutti)
- Nel nome di Parigi - 21 Dicembre 2015
- Falsa scarogna! - 31 Marzo 2015
- Lei ruba una penna, io ho il computer - 8 Maggio 2012
Leave a Reply