Ecco la «seconda puntata» del progetto Amico maternità lanciato nel gennaio scorso: acquisto e installazione sanitari nel dispensario maternità della missione Mater Dei. Dopo aver ricevuto il sostegno di voi lettori per l’arredamento, amico ne cerca dell’altro per proseguire completare l’opera sanitaria al servizio della popolazione del quartiere Sans Fil di Kinshasa.
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Versa un contributo specificando la seguente causale: AMICO. Progetto Congo Maternità Sans Fil. Per info su come fare CLICCA QUI.
Anche questa volta i lettori di amico sono riusciti a raccogliere il necessario per finanziare il progetto lanciato con il numero di gennaio-febbraio 2013.
Il dispensario maternità che serve i 4200 abitanti del quartiere Sans Fil di Kinshasa, Congo R.D., oltre alle persone che giungono dalle zone limitrofe, ha ora l’arredamento necessario.
Data la disponibilità dei nostri lettori, padre Antonello Rossi ci ha mandato un altro «pezzo» del progetto: per l’acquisto e l’installazione dei sanitari.
Nella pagina accanto proponiamo un testo di p. Antonello che descrive alcuni aspetti della missione in cui si trova a operare. Non solo quindi (come è ovvio) l’opera sanitaria, ma anche altro: i missionari cercano di portare a tutti, dalla nascita alla fine della vita, la Consolazione inscritta nella loro fondazione.
Luca Lorusso
Titolo progetto:
Acquisto e installazione sanitari dispensario maternità, quartiere Sans Fil, Kinshasa
Obiettivi:
Completamento di un dispensario maternità nel quartiere Sans Fil, nella periferia di Kinshasa.
– 3 Wc: 504 Euro (168 Euro per un Wc);
– 2 docce: 240 Euro (120 Euro per una doccia);
– 1 bidet: 184 Euro;
– 6 lavabo: 600 Euro (100 Euro per un lavabo);
– Raccordi, tubi,ecc…: 794 Euro;
– Mano d’opera: 250 Euro (Contributo locale).
Totale progetto: 2570 Euro
Contributo locale 250 Euro
CONTRIBUTO RICHIESTO: 2320 Euro
Responsabile:
Padre Antonello Rossi, Imc
antonello@consolata.net
I DUE GIUSEPPE
Se vi capita di venire a Kinshasa, al quartiere Sans Fil, potrete vedere: muratori, carpentieri, fabbri, portatori d’acqua, camion di sabbia e ghiaia. È il cantiere della missione.
Stiamo costruendo un dispensario-maternità, una casa per infermieri, una scuola di tre aule.
Davanti a tutto questo movimento si erge una piccola stele solitaria con una pietra sopra. È una pietra che ha avuto tutti gli onori quando il Vescovo, in visita pastorale, con l’aiuto del capo cantiere, tra la folla esultante, la posava fiducioso: si trattava della posa della prima pietra della erigenda chiesa del quartiere Sans Fil. Chiesa dedicata a san Giuseppe di Nazareth, lo sposo di Maria, la Madre di Dio. Giuseppe, l’uomo che ha «tirato grande» Gesù, il lavoratore giusto, umile e silenzioso ben meritava una chiesa tutta per lui.
Le tre comunità di base del quartiere Sans Fil si radunano, parlano, discutono, pregano e chiedono al parroco quando inizieranno i lavori per la chiesa. Il parroco li invita a fare delle attività per raccogliere mattoni, qualche sacco di cemento. I risultati sono scarsi, la gente è povera e tirare avanti è faticoso. Il parroco aspetta da San Giuseppe un segno, ma, visto che non viene, comincia a chiedersi se non occorra cambiare santo e dedicare la chiesa a qualcun altro. Forse Giuseppe di Nazareth ha già tante, troppe chiese sparse per il mondo e quella di Sans Fil non gli interessa, oppure ha intenzione di offrirla a un altro santo.
Seppellire i morti
Viviamo a Kinshasa la triste realtà di veglie funebri irrispettose verso i morti. A causa di miseria e povertà, attorno al cadavere si intrecciano interessi, dispute, canti, preghiere, danze, ubriacature, violenze.
Sono soprattutto i giovani a impadronirsi della situazione: arrivando persino a «sequestrare» il coperchio della bara per farlo poi ricomparire dietro pagamento. Durante la notte della veglia l’alcool e la droga circolano sovrani, la musica è assordante e la violenza e le risse esplodono.
I parenti del defunto stanno a guardare impotenti. Aspettano il mattino, quando tutto si calmerà, quando finalmente la bara discenderà nella fossa e sarà ricoperta di terra. Solo allora avranno un sospiro di sollievo.
Cosa fare per educare al rispetto dei morti, al rispetto del dolore della famiglia?
Cosa fare per educare ad avere davanti alla morte un contegno umano e cristiano?
Un luogo di educazione resta pur sempre la chiesa, con le immagini in cui si vede «la Pietà», e la deposizione dalla croce. Immagini davanti alle quali ci si commuove.
L’esigenza di una pastorale sul «seppellire i morti» s’impone. Pensandoci bene mi sono accorto che chi aveva sepolto Gesù con tutti gli onori portava lo stesso nome del suo padre putativo Giuseppe.
Sinceramente cambiare santo cui dedicare la nuova chiesa mi dispiaceva, ma la soluzione era trovata: dedicarla sì a San Giuseppe, ma a quello d’Arimatea.
È sintomatico che all’inizio e alla fine della vita terrena di Gesù ci siano stati due Giuseppe: entrambi pieni di rispetto, d’amore e soprattutto di fede in Colui che il Dio Onnipotente aveva affidato alla cura degli uomini. Con questi due Giuseppe l’umanità, così crudele e inumana da arrivare al Calvario, si è un poco riscattata.
Nonostante i molti santi che portano il nome di Giuseppe penso proprio di fermarmi, per Sans Fil, a quello d’Arimatea.
Antonello Rossi
di Antonello Rossi e Luca Lorusso
Antonello Rossi
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