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Chi crede in me non avrà più sete

Il tema della fede 2.

In occasione dell’anno della fede, indetto dal papa Benedetto XVI, proponiamo il secondo articolo di una serie di tre, per riflettere sulla prima delle tre virtù teologali.

Giovanni afferma chiaramente il motivo per cui scrive il suo vangelo: «Questi [segni] sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,31). L’autore scrive perché i cristiani possano avere la certezza della verità che riguarda Gesù e perché, credendo, possano sperimentare la vera vita.
Giovanni sviluppa una sua teologia della fede: è interessante notare come il verbo «credere» ricorra in Giovanni 98 volte, mentre in Matteo 11, in Marco 14, e 9 in Luca. Nella letteratura Paolina lo stesso verbo ricorre 54 volte e il sostantivo «fede» 142 volte. Da queste statistiche risulta che sia Giovanni che Paolo danno una grande importanza all’atto di fede anche se con sfumature teologiche differenti. Mentre Paolo sviluppa la teologia della fede in opposizione «alle opere della legge», Giovanni la sviluppa come risposta all’incontro con Gesù di Nazaret.
Giovanni presenta la fede come un lungo e faticoso itinerario che, in ultima analisi, guida il credente a una personale unione col Signore. Oltre alle espressioni ricorrenti come «credere in», «nel nome di», «credere a» o «credere che», Giovanni usa altre metafore per descrivere l’itinerario di fede. Vediamone alcune.

Ricevere il Cristo
Nel Prologo si può notare un perfetto parallelismo tra «credere» e «ricevere»: «A quanti lo hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome» (Gv. 1,12). L’irrompere del Verbo incarnato nella storia è una tremenda sfida. Egli è «pieno di grazia e verità», cioè ha in sé la pienezza della rivelazione, che vuol comunicare. Di fronte a tale rivelazione gli ascoltatori devono esprimere apertura, ricettività e docilità, non solo alle sue parole, ma soprattutto alla sua persona. Di conseguenza per Giovanni credere significa accettare e ricevere Lui come persona (cf. 3,11; 5,43; 12,48; 17,8).

Andare-venire da Gesù
Quando Gesù inizia il suo ministero pubblico è totalmente sconosciuto. È compito del Battista, quale suo testimone, (1,6-8.15) indicarlo alle folle (1,31). A due discepoli del Battista, che gli chiedono dove egli abita, Gesù risponde: «Venite e vedrete» (1,39). Essi vanno con lui, e subito altri tre discepoli si uniscono (1,40-51). Questi discepoli in seguito vanno con Gesù alle nozze di Cana in Galilea. L’andare da Gesù trova il suo vero motivo al termine del’evento di Cana: «Egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui» (1,12). La connessione tra «credere» e «andare-venire» diventa chiara in 6,35: «Chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete». Coloro che vanno a lui e lo accettano per ciò che egli veramente è, possono sfamarsi e dissetarsi.

Ascoltare
Un cammino genuino di fede richiede non solo un ascolto esterno della voce e delle parole di Gesù, ma un’apertura interiore e una pronta obbedienza (cf. 5,24; 6,45; 8,43.47; 18,37). È interessante notare la reazione dei concittadini della Samaritana. Essi subito «credettero sulle parole della donna» (4,39), ma avevano bisogno di un’esperienza personale e così, dopo essere rimasti due giorni con Gesù, «credettero a causa della sua parola» (4,41). Qui la parola è il veicolo per la fede dei Samaritani. Tuttavia, dobbiamo notare che non sempre l’ascolto conduce alla fede. Infatti Gesù, rispondendo ai Giudei, dice loro: «Chi ascolta la mia parola e crede in colui che mi ha mandato, ha la vita eterna» (5,24). La fede può germogliare solamente se l’ascolto della parola è un ascolto interiore, come Gesù sottolinea quando rimprovera i Giudei: «Voi non avete la sua parola che dimora in voi, perché non credete a colui che egli ha mandato» (5,38). Bisogna lasciare che la parola del Signore penetri in noi e poi che continui a risuonare nei nostri cuori.

Fede: fondamento di una nuova esistenza
Non vi è dubbio che Cristo sfidi i suoi ascoltatori a prendere una decisione esistenziale: o con Lui o contro. Questa decisione è l’atto di fede: «Dio ha dato il suo Figlio perché chiunque crede in lui possa avere la vita eterna» (3,16). L’atto di fede è esistenziale nel senso che comporta un passaggio da un’esistenza ad un’altra. Questo diventa molto chiaro se consideriamo la reazione degli oppositori di Gesù. Nel Vangelo si nota che «la loro libertà» non è altro che «schiavitù» (8,33); la loro «luce» è quella dei ciechi (9,37-40); la loro «verità» è «menzogna»; la loro «fedeltà», «prostituzione»; la loro «santità», «peccato» (8,24.34.41). In altre parole, la loro esistenza è un allettamento perpetrato dal «padre della menzogna» (8,44).
La fede dei discepoli soffrirà una prova tremenda durante la passione del maestro. È il tempo in cui il «principe di questo mondo» riceve il potere su tutto, ma non su Gesù (13,27.30; 14,30). Il rinnegamento di Pietro e la fuga dei dodici vanno letti in questa linea. Come un piccolo gregge sono dispersi (16,32). Lo stesso Gesù nei suoi discorsi d’addio guida i discepoli attraverso il tempo della prova e indica un nuovo futuro di fede guidato dallo Spirito Santo. La luce della risurrezione conferirà loro nuovo potere abilitandoli a un’incondizionata testimonianza del Cristo.
L’atto di fede deve essere un’opzione decisiva per Cristo e un incondizionato impegno per lui. Con la fede si decide di stare dalla parte della verità, della luce e della vita eterna. L’atto di fede crea una separazione netta tra i credenti e il «mondo». Il mondo, preso nel senso peggiorativo, non riconosce la rivelazione di Cristo. Rifiuta di accettare la testimonianza di colui che «ha visto ed ascoltato» (3,11.32; 8,13); rifiuta di accogliere colui che «viene nel nome del Padre». La fede richiede una nuova creazione, una nuova nascita, che saranno operate dall’azione dello Spirito Santo. Essa richiede inoltre che si abbandoni completamente la fiducia in se stessi e ci si affidi totalmente e incondizionatamente alle parole del Cristo e alla sua persona. Solo in questo modo si può diventare sorgenti di acqua zampillante per dissetare sia il nostro spirito sia lo spirito di coloro che ci incontrano.

di Antonio Magnante

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