Come Ezechiele, non siamo chiamati a vendere la nostra conoscenza intellettuale di Dio, ma a comunicare come la sua parola ci ha trasformati in nuove creature.
Ecco la terza puntata su chi è il missionario.
Dopo le figure del Battista e di Isaia, parliamo di un altro profeta: Ezechiele. Nella sua missione ci è offerto un altro straordinario modello missionario.
Ezechiele, come tutti i profeti, è chiamato a essere il portavoce degli oracoli divini: «“Figlio dell’uomo, ascolta ciò che ti dico e non essere ribelle come questa genìa di ribelli: apri la bocca e mangia ciò che io ti do”. Io guardai, ed ecco, una mano tesa verso di me teneva un rotolo. Lo spiegò davanti a me; era scritto da una parte e dall’altra e conteneva lamenti, pianti e guai.
Mi disse: “Figlio dell’uomo, mangia ciò che ti sta davanti, mangia questo rotolo, poi va’ e parla alla casa d’Israele”. […]. Io lo mangiai: fu per la mia bocca dolce come il miele» (2,8-3,3).
Ezechiele è ammonito ad ascoltare quanto dice Yhwh. Dopo aver avuto la visione del trono dell’Altissimo, raccontata nel capitolo primo, ora deve ascoltare per non fare come Israele che non ascolta e non obbedisce all’alleanza. Il comando del Signore è perentorio: «Apri la bocca e mangia ciò che ti dò», non un cibo ordinario, ma un rotolo, per sua natura non commestibile.
Mangiare la parola
Va notato che quanto è offerto a Ezechiele, viene da Dio, è un cibo divino. Il rotolo è scritto da una parte e dall’altra, a indicare che contiene un messaggio completo e definitivo. Di conseguenza il profeta non ha l’autorità né di cambiarne il contenuto né di aggiungervi commenti. Egli deve mangiarlo senza curarsi di cosa contiene (in questo caso «lamenti, pianti e guai»). Obbedendo, il profeta diventa l’araldo del messaggio.
Non ci è dato di sapere cosa il profeta abbia visto nella visione, ma si può affermare che la sua esperienza è reale, tanto che in seguito, per molti anni, proclamerà un messaggio di condanna per il popolo dal cuore indurito.
Il fatto di nutrirsi del rotolo aiuta il profeta a evitare la ribellione. Va anche notato che la sua azione di mangiarlo è intimamente legata all’annuncio. Una volta ricevuto il messaggio, digerito e interiorizzato, sente l’urgenza di annunciarlo.
La stessa idea si ritrova nel profeta Geremia: «Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore» (15,18).
La dolcezza che il profeta sente nel mangiare il rotolo, non proviene dal suo contenuto, ma dall’esperienza stessa della parola divina. Nel Salmo 19,11 si legge che la parola di Dio «è più dolce del miele e di un favo stillante», e anche il Salmo 119,103 annota: «Come sono dolci le tue parole al mio palato, più del miele per la mia bocca».
Anche nel libro dell’Apocalisse viene ordinato all’autore di prendere il piccolo rotolo dalle mani dell’angelo per divorarlo: «In bocca lo sentii dolce come il miele, ma come l’ebbi inghiottito ne sentii nelle viscere tutta l’amarezza» (10,9-10). La dolcezza sentita nella bocca può indicare la bontà di essere l’araldo del messaggio divino, l’amarezza nelle viscere, il suo contenuto.
Il compito del profeta
Nella chiamata di Ezechiele notiamo che, per prima cosa, egli deve recarsi dal Signore. Solo successivamente mangiare, digerire e assimilare la parola. Il processo di assimilazione richiede gradualità: prima il profeta deve mettersi alla presenza del Signore, poi accogliere la parola, capirla, ritenerla nel cuore e nella mente, masticarla nella bocca, infine deve lasciarla diventare il suo nutrimento spirituale. Il risultato di un simile processo è la trasformazione personale, perché la parola è diventata parte del suo essere.
Solo dopo tale processo il profeta si mette in movimento.
Dal momento che la parola da annunciare appartiene a Dio, essa produce sempre quanto esprime, è attiva, creatrice ed efficace: «Così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55,11); «la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio, essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12).
Che tipo di rotolo dobbiamo mangiare noi missionari?
Gesù, rotolo di Dio
Sappiamo che nei Vangeli di Matteo, Marco e Luca, la parola di Dio si riferisce alla lieta novella in tutte le sue dimensioni, nel quarto Vangelo invece corrisponde a Cristo, Figlio di Dio: Gesù è l’eterna e personale Parola di Dio. Se al profeta Ezechiele viene ordinato di ingoiare il rotolo, nel Nuovo Testamento a noi viene detto di mangiare Gesù Cristo per diventare profeti per il nostro mondo. Nella pienezza del tempo, la parola di Dio ha risuonato nella voce del Figlio. Infatti, la voce sul monte della trasfigurazione dice ai tre discepoli: «Ascoltatelo» (Mc 9,7). A questo imperativo divino fa eco l’inizio della Lettera agli Ebrei: «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, […] in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo» (1,1-2).
Gesù, per così dire, è il rotolo di Dio, scritto davanti e dietro. Egli è la vera parola di Dio.
Noi possiamo conoscere la vera identità di Dio solo attraverso la Parola eterna e sussistente, che è stata, dall’eternità, rivolta verso il seno del Padre (cf. Gv 1,1). La Parola è preesistente alla stessa creazione ed è perennemente in dialogo di amore con il Padre. Tutta la creazione è venuta all’esistenza per mezzo della Parola (cf. Sap 9,1; Col 1,15-16; Gv 1,3). Gesù non solo possiede la parola di Dio, ma è egli stesso la Parola di Dio e, in quanto tale, ne è la rivelazione.
Il pane vivo
Se anche noi vogliamo essere profeti, dobbiamo fare come Ezechiele. Prima di tutto andare dal Signore e poi mangiare la sua parola, cioè Gesù Cristo: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (6,51).
Che grande responsabilità e che impegno sono richiesti a coloro che sono chiamati a essere i messaggeri della Parola di Dio. Purtroppo molto spesso corriamo il rischio di essere solamente cembali squillanti, di proclamare una parola che non abbiamo prima mangiato e digerito. Non siamo chiamati a vendere la nostra conoscenza intellettuale, ma a comunicare come la parola di Dio ci ha trasformati in nuove creature. Il metodo infallibile per ottenere un tale risultato è molto antico e si chiama «lectio divina».
di Antonio Magnante
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Antonio Magnante
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