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La missione secondo san Paolo VI

Spunti importanti e attuali sulla missione dall'Evangelii Nuntiandi

Paolo VI.

Dal 14 ottobre 2018, papa Polo VI è santo. Canonizzato assieme al vescovo martire salvadoregno Oscar Romero.
Tra i tanti aspetti che si possono cogliere del pontificato di Paolo VI (al secolo Giovanni Battista Antonio Maria Montini, 1897-1978, eletto papa nel 1963), successore saggio e tenace di Giovanni XXIII del quale ha conservato l’eredità apostolica portando a termine il Concilio Vaticano II, non si può dimenticare il suo contributo alla riflessione missionaria. La sua esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi dell’8 dicembre 1975 ne è la sintesi e l’apice, un testo attuale ancora oggi, in grado di dare efficaci strumenti operativi per affrontare le problematiche contemporanee dell’evangelizzazione, non solo in terra di missione, ma anche nell’ordinario quotidiano di ogni cristiano, dovunque si trovi e viva.

La missione, un programma di vita e d’azione

Il papa fa presente questo obiettivo primario del cristiano già nell’introduzione della sua esortazione: «Un programma di vita e d’azione» da compiere «con amore, zelo e gioia», vivendo l’«assillo quotidiano», come scrive l’apostolo Paolo nella Seconda lettera ai Corinzi (11,28), di annunciare il Vangelo agli uomini «in questi tempi di incertezza e di disordine». Obiettivo primario che Paolo VI stesso si è preso in carico attraverso il Concilio Vaticano II, allo scopo di rendere la Chiesa «più idonea ad annunciare il Vangelo all’umanità».

La missione: annuncio e testimonianza

Nella Evangelii Nuntiandi Paolo VI non esita a puntualizzare la necessità di operare «con convinzione, libertà di spirito ed efficacia», sottolineando che ogni battezzato ha il dovere, per mandato di Cristo, di essere «un fedele dispensatore della Parola della Verità», come suggerisce anche l’apostolo Paolo nella Seconda lettera a Timoteo (2,15). Occorre, inoltre, sempre rivitalizzare la missione, partendo dall’insegnamento, dalla catechesi, dall’ammaestramento, ma anche e soprattutto dalla testimonianza. Nella sua esortazione, infatti, il papa asserisce che gli uomini di oggi hanno bisogno di testimoni, più che di maestri. Perciò siano i maestri stessi testimoni.

La missione autentica parte dalla metanoia

Per diventare veri missionari, sostiene Paolo VI, prima di tutto è vitale che ciascuno conquisti il Regno e la Salvezza (parole chiave dell’evangelizzazione) «mediante un totale capovolgimento interiore che il Vangelo designa col nome di metánoia, una conversione radicale, un cambiamento profondo della mente e del cuore», come propone Matteo nel suo Vangelo (4.17). Solo in seguito a questa profonda conversione personale, ogni cristiano, e ognuno in modo differente, può comunicare e diffondere in modo autentico «la Buona Novella del Regno, che viene e che è iniziato, per tutti gli uomini di tutti i tempi». Paolo VI ribadisce che «il mandato di evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa».

Evangelizzare le coscienze

Paolo VI ci tiene poi a far riflettere su un altro punto importante dell’evangelizzazione che la Chiesa è chiamata operare: far penetrare la bellezza del messaggio evangelico nel cuore degli uomini, nella «coscienza personale e insieme collettiva degli uomini», nell’«attività nella quale essi sono impegnati», come anche nella «vita e l’ambiente concreto loro propri». Infatti per chi evangelizza non deve essere obiettivo prioritario l’estensione geografica della diffusione del Vangelo, «non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese», ma di riplasmare alla radice, invece, «i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza».

Vangelo e cultura. Un rapporto determinante
Paolo VI incontra uno studente del Cuamm, 1965. Foto in CC da Medici con l’Africa Cuamm/flickr.com.

È dunque posta in evidenza, nella visione missionaria di Paolo VI, la necessità di un dialogo con tutte le culture, tenendo comunque presente che «il Vangelo e l’evangelizzazione non sono necessariamente incompatibili con esse, ma capaci di impregnarle tutte, senza asservirsi ad alcuna». Le culture, perciò, «devono essere rigenerate mediante l’incontro con la Buona Novella», attraverso la sua proclamazione e «mediante la testimonianza». Testimonianza che comporta «presenza, partecipazione, solidarietà». A condizione, però che la stessa testimonianza, affinché non diventi sterile o non si affievolisca, sia sempre nutrita dalla Parola di Dio proclamata e insegnata.

Incarnare la Parola

Perché la missione abbia effetto ed esiti felici, l’adesione al Vangelo proclamato «non può restare astratta e disincarnata» e deve avvalersi sempre dei mezzi che la Chiesa offre come culto e come apostolato. Per incarnare il Vangelo – scrive Paolo VI nella sua esortazione – «evangelizzare è anzitutto testimoniare in maniera semplice e diretta Dio rivelato da Gesù Cristo, nello Spirito Santo». Incarnare il Vangelo significa impregnare di esso «la vita concreta, personale e sociale dell’uomo». Ma con una peculiarità in più: «L’evangelizzazione comporta un messaggio esplicito, adattato alle diverse situazioni, costantemente attualizzato» che abbia la capacità di produrre conseguenze nella vita di ogni famiglia e di ogni società, nella vita internazionale e nella pace, nella giustizia, nello sviluppo, nella «liberazione».

Un messaggio di liberazione

Ed è sull’espressione liberazione che il papa santo si sofferma in modo marcato nella sua Evangelii Nuntiandi, rivolgendosi al Terzo Mondo sconvolto da «carestie, malattie croniche, analfabetismo, pauperismo, ingiustizia nei rapporti internazionali e specialmente negli scambi commerciali, situazioni di neo-colonialismo economico e culturale». Ecco, dunque, affacciarsi con risolutezza un altro aspetto dell’evangelizzazione: la promozione umana. Il messaggio di salvezza non è tale, e non si può concretizzare, se non si fa carico anche delle «questioni sociali ed economiche». È imprescindibile che la missione diventi occasione propizia per corrispondere «con zelo, intelligenza e coraggio» al comandamento della carità verso i sofferenti e i bisognosi per «promuovere nella giustizia e nella pace la vera, l’autentica crescita dell’uomo».

Attenzione alle ideologie

Nella missione, inoltre, Paolo VI chiede di fare attenzione a una cosa: essa deve avere soltanto e sempre ed esclusivamente una «finalità specificamente religiosa». Se così non fosse, «il suo messaggio di liberazione non avrebbe più alcuna originalità e finirebbe facilmente per essere accaparrato e manipolato da sistemi ideologici e da partiti politici». La missione, nel suo compito di evangelizzare, «non può limitarsi alla semplice e ristretta dimensione economica, politica, sociale o culturale, ma deve mirare all’uomo intero, in ogni sua dimensione, compresa la sua apertura verso l’assoluto, anche l’Assoluto di Dio».

Non solo con le parole, ma anche con le immagini

Nell’Evangelii Nuntiandi è interessante notare come Paolo VI abbia dato importanza alla predicazione anche attraverso i nuovi mezzi di comunicazione sociale, facendo riflettere sul fatto che l’uomo contemporaneo si è stancato della parola («sazio di discorsi si mostra spesso stanco di ascoltare») e anzi sembra come «immunizzato». Di qui la consapevolezza che si sia superata la civiltà della parola, «ormai inefficace ed inutile», e si viva «oggi nella civiltà dell’immagine». Pertanto, ben venga e sia incoraggiato l’utilizzo dei nuovi media. Ciò non toglie che la parola, soprattutto se Parola di Dio, rimanga il mezzo espressivo per eccellenza, ma Paolo VI si raccomanda che essa sia sempre «semplice, chiara, diretta, adatta, profondamente radicata nell’insegnamento evangelico e fedele al Magistero della Chiesa, animata da un ardore apostolico equilibrato che le viene dal suo proprio carattere, piena di speranza, nutriente per la fede, generatrice di pace e di unità».
Altro aspetto che il pontefice indica come fondamentale per la missione è l’opportunità del contatto diretto e personale con le persone, «da persona a persona», importante ed efficace quanto la trasmissione della Parola e dell’esperienza di fede a livello comunitario.

Secolarismo e civiltà dei consumi

Una preoccupazione cui i cristiani devono porre attenzione, nello svolgere il loro mandato missionario, è il cosiddetto secolarismo o «dramma dell’umanesimo ateo» (come lo ha definito Henry De Lubac nel 1945): «Un ateismo antropocentrico, non più astratto e metafisico, ma pragmatico, programmatico e militante», che si manifesta attraverso «la civiltà dei consumi, l’edonismo elevato a valore supremo, la volontà di potere e di dominio, discriminazioni di ogni tipo».

Tutta la Chiesa è missionaria
24 ottobre 1971, Giornata Missionaria Mondiale, Basilica di San Pietro, Paolo VI consegna il crocifisso alla dottoressa del Cuamm Maria Giovanna Atzeni. Foto in CC da Medici con l’Africa Cuamm/Flickr.com

I punti esposti fin qui, che fanno parte del contenuto dell’esortazione Evangelii Nuntiandi, sono solo alcuni tra i molteplici che lo scritto di Paolo VI riporta circa la missione che la Chiesa compie come dovere e mandato affidatole dal Cristo risorto. Il pontefice, con accenti sempre forti e marcati, non manca mai di ribadire quanto già il Concilio Vaticano II ha affermato mediante il documento Ad Gentes, il decreto sull’attività missionaria della Chiesa, pubblicato da Paolo VI il 7 dicembre 1965: «Tutta la Chiesa è missionaria» e deve impegnarsi a trasmettere il Vangelo nei modi più vari, suggeriti e ispirati dallo Spirito Santo, senza mai compromettere la purezza del messaggio di salvezza, senza distogliere l’attenzione dal Cristo risorto, dalla carità e dal Vangelo stesso, quando sopravvenissero o fossero in agguato strumentalizzazioni e manipolazioni da parte di ideologie o altre culture contrarie al Vangelo, o persino da parte degli stessi uomini di Chiesa, quando agiscono arbitrariamente, o allontanandosi dalla Verità. La Missione, infatti, è compito esclusivo della Chiesa, e per ogni singolo membro della Chiesa, dal laico al cardinale, chiamato a seminare la Parola di Dio e a diffondere il Vangelo, si «presuppone che egli agisca non per una missione arrogatasi, né in forza di un’ispirazione personale, ma in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa».

di Nicola Di Mauro

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Nicola Di Mauro