
Nell’area missionaria amazzonica São João Batista a Boa Vista, in Brasile, i Missionari della Consolata si confrontano con il crescente problema dei suicidi, soprattutto tra giovani indigeni.
Il progetto Amico per la vita, Boa Vista ha l’obiettivo di formare operatori in grado di prevenire il disagio e accompagnare le persone e le famiglie colpite dal problema, e di offrire accompagnamento psicologico e spirituale.
«Miguel era un ragazzo indigeno di 15 anni. Era piccolo quando suo padre si è suicidato», racconta, usando un nome di fantasia, padre Eugénio Bento da Boa Vista, capitale dello stato di Roraima, in Brasile.
«Crescendo, Miguel, era spesso triste, e diceva che desiderava rivedere suo padre.
Una volta ha detto alla sua famiglia che anche lui voleva morire, ma nessuno l’ha preso sul serio. Credevano che scherzasse e gli avevano risposto di non farsi spaventare da Kanaimé (lo spirito della morte che viene a prendere i vivi).
Per questo non hanno chiamato nessuno che lo aiutasse», prosegue il trentacinquenne missionario della Consolata mozambicano.
«L’ultima volta che ha cenato con la famiglia era la vigilia di Natale. Il giorno dopo, quando sono andati a chiamarlo, lo hanno trovato senza vita nella sua stanza».
Un tema difficile
Questo mese Amico raccoglie una sfida da rilanciare ai suoi lettori: proporre un progetto di solidarietà che affronta il problema del suicidio, e della salute mentale di chi ne viene colpito. Un progetto difficile da presentare, un tema delicato, meno immediato rispetto al solito, ma importante.
Siamo certi che voi, amici lettori, raccoglierete la sfida.
«Io credo che il tema tocchi un nervo scoperto della società odierna», ci scrive Chiara Giovetti, responsabile dell’ufficio progetti di MCOnlus. «Proprio mentre constatavo che qui in Italia c’è una maggiore attenzione verso questo tema, specialmente riguardo agli adolescenti, ho iniziato a ricevere richieste di sostegno dall’America Latina.
Dallo psicologo, nelle nostre società, ci vanno in tanti – prosegue Chiara -. Come l’istruzione, l’ambiente, la sanità, l’acqua e altri diritti, anche la salute mentale e la prevenzione dei suicidi non sono e non possono essere diritti solo per chi se li può permettere, e dei lussi per tutti gli altri.
Padre Matteo Pettinari (il giovane missionario mancato nell’aprile di un anno fa in Costa d’Avorio, ndr) parlava della salute mentale come di un ad gentes della cooperazione, e io sono molto d’accordo».
Persone e famiglie
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), scrive l’Istituto superiore di Sanità italiano (Iss) sul suo sito, i disturbi mentali hanno un impatto sulla salute e sui principali aspetti sociali, umani ed economici in tutti i Paesi del mondo. Si presentano a qualsiasi età, procurano difficoltà nelle attività di ogni giorno, nel lavoro, nelle relazioni, e determinano alti costi sociali ed economici per le persone colpite e le loro famiglie.
«La crescente consapevolezza dell’aumento della sofferenza e del carico di malattia che circonda i disturbi mentali – scrive l’Iss – ha reso necessarie azioni di prevenzione oltre che di cura di queste patologie. […] In particolare, considerando che, secondo i dati Oms, nel mondo il 10-20% di bambini e adolescenti soffre di disturbi mentali e che la metà di tutte le malattie mentali inizia all’età di 14 anni e tre quarti comincia entro i 25 anni, diventa fondamentale che sin da piccoli i ragazzi siano facilitati e sostenuti nella costruzione di abilità di vita (life skills) che possano aiutarli a far fronte alle sfide quotidiane. Se non affrontate, queste condizioni possono influenzare lo sviluppo dei giovani e la possibilità di vivere vite soddisfacenti […]. In tal senso, la scuola, la famiglia, la comunità locale e il sistema sanitario hanno un ruolo fondamentale».
«Il legame tra suicidio e disturbi mentali – scrive l’Oms sulla sua pagina web – […] è ben stabilito nei paesi ad alto reddito. Tuttavia, molti suicidi si verificano impulsivamente nei momenti di crisi con un crollo della capacità di affrontare gli stress della vita, come problemi finanziari, controversie relazionali o dolore cronico e malattia.
Inoltre, l’esperienza di conflitti, disastri, violenza, abuso o perdita, e un senso di isolamento sono fortemente associati al comportamento suicidario. I tassi di suicidio sono anche alti tra i gruppi vulnerabili che subiscono discriminazioni, come rifugiati e migranti; popoli indigeni; le persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, intersessuali (Lgbti) e i carcerati».
Alcuni dati
Gli ultimi dati presentati dall’Oms dicono che nel mondo, nel 2021, sono morte per suicidio 726mila persone. Molte di più sono state quelle che hanno tentato il suicidio. Un numero ancora maggiore è quello di chi è stato colpito dal problema perché l’atto è stato compiuto da un parente, un amico, un conoscente.
Tre su quattro erano uomini. Circa 46mila avevano tra 10 e 19 anni. Nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni, il suicidio è la terza causa di morte.
Il numero di persone che nel mondo sono vittime di suicidio sta diminuendo, passando da 12,9 ogni 100mila nel 2000 a 9,2 nel 2019. Uno dei Paesi nei quali si registra una diminuzione è, ad esempio, l’Italia, che è passata da 7,7 ogni 100mila abitanti nel 2000 a 7 nel 2021: 3.810 persone.
Ci sono però alcune aree e Paesi nei quali sta aumentando. Il Lesotho, ad esempio, è passato da 12,7 nel 2000 a 28,7 nel ‘21, il dato più alto al mondo.
In Brasile i casi di suicidio nel 2000 erano 4,2 ogni 100mila persone, nel 2021 sono stati 7,6: circa 16mila in tutto.
Roraima e Boa Vista
Roraima è uno degli stati brasiliani con la più alta incidenza di suicidi. La capitale Boa Vista, città amazzonica di 470mila abitanti con un reddito pro capite di 5mila euro l’anno, è al primo posto per numero di casi in crescita.
Roraima è lo stato con la maggiore presenza di popolazioni indigene in Brasile. Secondo uno studio della Universidade federal de Roraima, l’incidenza dei suicidi è maggiore rispetto alla media del Paese. In particolare, con riferimento a dati del 2015, la percentuale di suicidi tra gli indigeni (15 ogni 100mila) è stata circa il doppio di quella tra i non indigeni (8,6). Nella capitale Boa Vista i dati sono ancora più significativi: 17,7 indigeni ogni 100mila contro 7,4 non indigeni ogni 100mila.
Il progetto

A Boa Vista i Missionari della Consolata lavorano in prima linea per i diritti dei popoli nativi, per il diritto alla terra, alla salute, all’istruzione, all’identità culturale.
«In questi giorni – scrive padre Eugénio Bento – il Brasile registra numerosi casi di suicidio, ad esempio tra giovani indigeni. Noi Missionari della Consolata, da oltre 75 anni presenti in Amazzonia, operiamo anche nella periferia di Boa Vista, nell’area missionaria di São João Batista, che conta quattordici comunità cattoliche. Qui ci sono tanti casi, e questo ci preoccupa: conosciamo diverse famiglie nelle quali qualcuno ha tentato o commesso il suicidio.
Per questo presentiamo il progetto “Amico per la vita, Boa Vista”: vogliamo lottare contro il “contagio” del suicidio formando leader e famiglie che sappiano fare prevenzione, e accompagnare chi ha tentato di morire per suicidio, chi ha subito un lutto o un tentativo di suicidio in famiglia o tra amici».
Una delle grandi sfide è vincere il tabù che spinge nell’ombra il problema e chi ne è colpito. Lo stigma, in particolare sui disturbi mentali e il suicidio, induce molte persone che pensano al suicidio, o lo hanno tentato, a non cercare aiuto, e lascia parenti e amici che sospettano del problema nell’angoscia di non avere gli strumenti per aiutare.
«Di fronte alle situazioni di dolore che abbiamo visto – prosegue padre Eugénio -, ci siamo domandati: come possiamo aiutare le famiglie a scoprire che una persona vuole suicidarsi? Come formare i nostri leader a sostenere le famiglie, e come possiamo aiutare le famiglie ad affrontare il dolore causato dal suicidio?».
Il progetto si articola in tre parti. La prima prevede due sessioni di formazione, una biblica e una psicologica. La seconda un monitoraggio delle famiglie e delle persone che soffrono di depressione: un sacerdote e uno psicologo saranno disponibili per un supporto a chi ha tentato il suicidio e alle loro famiglie. La terza parte prevede visite e monitoraggio delle famiglie: i leader delle comunità le visiteranno per capire se c’è un miglioramento, o se bisogna ancora intervenire.

Ana Maria e Miguel
«Ana Maria – racconta ancora padre Eugénio, usando di nuovo un nome di fantasia -, è una ragazza migrante proveniente dal Venezuela. A 15 anni è diventata madre, pur non essendo nelle condizioni di prendersi cura nemmeno di se stessa. Da quando il ragazzo, padre del piccolo, l’ha abbandonata, lei abita con suo fratello. Ogni giorno doveva uscire di casa per cercare qualcosa da mangiare. Soffriva molto. La vita aveva perso per lei ogni significato. Un giorno ha deciso di farla finita, ma suo fratello è intervenuto e ha chiamato l’ambulanza che l’ha portata in ospedale e l’ha salvata.
Lei oggi è ancora in mezzo a noi, e noi vogliamo accompagnarla con un aiuto psicologico perché non perda di nuovo il senso della vita, pur nelle sofferenze. Allo stesso modo, noi come Chiesa vogliamo aiutare la famiglia di Miguel, il ragazzo di cui ho parlato all’inizio, non perché dimentichi quello che è successo, ma perché ritrovi la fede e la speranza, e ne diventi testimone con altri».
di Luca Lorusso
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Luca Lorusso
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