Il canto del Magnificat è uno degli inni più belli e conosciuti del Nuovo Testamento. Un testo scritto con incredibile sapienza letteraria, biblica e teologica dall’evangelista Luca.
Il Magnificat, insieme al Benedictus e al Nunc Dimittis, forma il trittico degli inni del Vangelo di Luca.
Maria, insieme a Elisabetta, Zaccaria, Anna e Simeone, costituisce il punto di sutura tra l’Antico e il Nuovo Testamento, e dà voce a una nuova era della salvezza.
Maria, l’umile anawim
In visita alla sua parente Elisabetta, Maria canta un inno stupendo all’indirizzo della grandezza di Dio. Ella, quale «eccelsa figlia di Sion» (LG 55), fa parte della schiera dei poveri di Israele, dei cosiddetti anawim. In quanto tale, esprime tutta la sua umiltà di fronte al Signore, mostrando di riporre solo in lui la sua fiducia e confidenza. «È la povera e l’umile che canta il Signore». Nella sua Enciclica Spe salvi, papa Benedetto XVI fa riferimento a questo tratto di Maria: «Santa Maria, tu appartenevi a quelle anime umili e grandi in Israele, che, come Simeone, aspettavano “il conforto di Israele” (Lc 2,25), e attendevano come Anna, “la redenzione di Gerusalemme” (Lc 2,38). Tu vivevi in intimo contatto con le Sacre Scritture di Israele che parlavano della speranza, della promessa fatta ad Abramo e alla sua discendenza» (n. 50).
Quale figlia diletta di Sion, Maria intona il canto «delle meraviglie di Dio». Questo canto sgorga spontaneo da lei dopo aver pronunciato il suo «sì» (Lc 1,38) al progetto divino di associarla al processo di restaurazione dell’umanità. L’amore misericordioso di Dio si rivela nella realtà dei «piccoli e dei poveri». Dio risplende negli «ultimi» (tapeinoi) in un radicale rovesciamento della logica umana.
Arca dell’Alleanza
Molte volte abbiamo snocciolato le Litanie Lauretane che contengono anche l’invocazione «arca dell’alleanza». Tuttavia, solo gli appassionati della Parola di Dio sanno che la visita di Maria a Elisabetta, narrata da Luca in 1,39-56, ha corrispondenze rilevanti con l’episodio del trasporto dell’arca dell’alleanza, narrato in 2 Samuele 6,2-16.
La prima corrispondenza sta nel fatto che i due eventi si svolgono in Giudea. Poi, in entrambi gli episodi si registrano manifestazioni di gioia: al passaggio dell’arca, infatti, esplode la gioia del popolo di Gerusalemme e dello stesso re David. Di quest’ultimo si afferma che fa «festa davanti al Signore» (2Sam 6,5), trasporta l’arca «con gioia» (6,12), danza «saltando e ballando» (6,14.16). La gioia generata dal passaggio dell’arca si traduce in un’acclamazione di sapore liturgico: David e tutta la casa d’Israele trasportano l’arca «con tripudio e a suon di tromba» (6,15).
In Luca, l’arrivo di Maria suscita gioia in Elisabetta e nel suo bambino. Ella «ripiena di Spirito Santo esclamò a gran voce» (Lc 1,41-42). L’esclamazione «a gran voce» ha anch’essa un sapore liturgico, come indica il verbo anaphoneo (v. 42), usato nella traduzione in greco dell’Antico Testamento (la LXX) solo per le acclamazioni liturgiche (cf. 1Cor 16,4.5.42), connesse con il trasporto dell’arca dell’alleanza (cf. 1Cor 15,28; 2Cor 5,13).
In 2Sam 6,11-12, l’arca, che viene trasportata nella casa di Obed-Edom di Gat, è motivo di benedizione. Allo stesso modo lo è Maria nella casa di Zaccaria. Infatti Elisabetta diventa «ripiena di Spirito Santo» (Lc 1,44).
Supporto della gloria
Continuando nell’enumerazione delle corrispondenze, va notato come David, di fronte all’arca, è assalito da un religioso timore: «Come potrà venire da me l’arca del Signore?» (2Sam 6,9). Allo stesso modo, anche Elisabetta, davanti a Maria, dice: «A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me?» (Lc 1,56).
L’evangelista Luca annota poi che Maria rimane nella casa di Zaccaria «circa tre mesi» (Lc 1,56), proprio come l’arca dell’alleanza rimase tre mesi nella casa di Obed-Edom (2Sam 6,11).
Sia l’arca che Maria fanno scendere la divina benedizione con la loro presenza: per la casa di Obed-Edom si dice che «il Signore benedisse Obed-Edom e tutta la sua famiglia» (2Sam 6,11), nella casa di Zaccaria il saluto di Maria fa sussultare di gioia il bambino nel seno di Elisabetta e ha come effetto la discesa dello Spirito Santo (Lc 1,41-44).
Nel pensiero ebraico l’arca è considerata come il supporto itinerante della gloria invisibile di Dio che accompagna Israele nel deserto fino al possesso della terra promessa. Non vi è dubbio che essa sia il segno della presenza di Dio, infatti egli «sta sopra il propiziatorio, in mezzo a due Cherubini» (Es 25,22; Is 37,16; Sal 79,22). L’arca è lo sgabello di Dio, da cui egli parla (Es 25,22). È denominata «dell’alleanza», perché custodisce le due pietre date a Mosè su cui è incisa la legge scritta dallo stesso dito di Dio (Es 31,18).
I cristiani, a ragione invocano Maria come arca dell’alleanza, perché ella, portando nel suo grembo «il figlio di Dio», è il supporto itinerante della gloria invisibile di Dio. In lei, arca dell’alleanza, non vengono depositate più le pietre della legge, ma colui che instaurerà la nuova alleanza tra Dio e il suo popolo.
Maria Pneumatofora
Maria non solo è il segno itinerante della presenza di Dio, ma è anche la pneumatofora, cioè la portatrice dello Spirito. Come già accennato, all’arrivo di Maria nella casa di Zaccaria, lo Spirito Santo scende su Elisabetta. In qualche modo ella rende possibile l’adempimento della promessa fatta a Zaccaria: «Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita, poiché egli sarà grande davanti al Signore […] sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre» (Lc 1,14-15).
Invocare Maria come foederis arca (arca dell’alleanza) non è una mera espressione di devozione mariana e di pietà popolare, ma significa riconoscere in lei la presenza del mediatore tra Dio e i credenti. Maria, quale nuova arca dell’alleanza, porta in sé colui che suggellerà con il suo sangue prezioso la nuova alleanza tra il Padre e coloro che crederanno in lui. Questa si distinguerà da quella antica perché verrà incisa non più su tavole di pietra, ma sul cuore dei credenti.
Quale arca dell’alleanza, Maria diventa il raccordo della nostra relazione con Gesù, e ci custodisce da ogni assalto che possa distruggere il nostro impegno assunto con il battesimo e la confermazione. Custodisce inoltre la firma che abbiamo apposto quando abbiamo ratificato il nostro patto con il Signore. Come l’arca antica accompagnava il peregrinare del popolo eletto verso la terra promessa, così lei, come la nuova arca, accompagna il peregrinare di ogni cristiano in cammino verso l’eternità.
La sua costante presenza diventa a volte richiamo a non deviare dal retto sentiero, a volte esortazione a non lasciarsi prendere dallo scoraggiamento, a volte ancora incoraggiamento a superare gli inevitabili ostacoli che si frappongo sul nostro cammino. La sua silenziosa presenza è garanzia che il nostro peregrinare raggiungerà sicuramente il traguardo finale.
di Antonio Magnante
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Antonio Magnante
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