Ecco il terzo dei tre schemi d’incontro per animare gruppi giovanili a partire dall’enciclica «Fratelli tutti», per scoprire la ricchezza e il valore della solidarietà.
Tema: solidarietà.
Obiettivi: scoprire la ricchezza dell’impegno per la solidarietà.
Durata dell’incontro: 2h circa.
Destinatari: dai 14 anni in su.
Materiale: pc e proiettore, foto, lavagna o cartelloni, pennarelli, fogli, penne.
Siamo giunti alla terza tappa del nostro percorso sull’enciclica sociale di papa Francesco Fratelli tutti (Ft).
La parabola del buon samaritano continua a costituire un faro luminoso che proprio nella solidarietà ci indica la strada per un autentico incontro con l’altro.
Solidali o solitari?
Gioco «Solidali o solitari»: l’animatore divide i ragazzi in gruppi da 4 o 5. A ogni gruppo consegna due fogli. Su uno campeggia la parola «solidali», sull’altro «solitari». I ragazzi dovranno scrivere cosa significhino per loro i due termini.
Briefing: i diversi gruppi condividono le proprie «definizioni» e le commentano insieme. «Solidali» e «solitari» sono parole dal suono simile, ma con significati molto diversi.
L’animatore spiega che lo scopo dell’incontro è quello di fare insieme un viaggio come quello intrapreso dal samaritano, per giungere a scoprire la ricchezza della solidarietà.
Il viaggio
Via nuovi orizzonti
L’animatore propone ai ragazzi 10 minuti di riflessione personale: qual è il mio orizzonte? Dove spingo il mio sguardo, il mio interesse? Guardo il mio ombelico? Forse a un palmo dal mio naso? Guardo chi mi circonda, chi è fuori dalla mia cerchia familiare, chi abita lontano, chi, pur vivendomi vicino, mi appare lontano perché diverso?
Per essere solidali con gli altri, bisogna esercitarsi a tenere gli occhi aperti sul mondo e a confrontarsi con realtà «altre» dalla nostra. Bisogna acquisire l’atteggiamento dell’esploratore: parte, lasciando le sue sicurezze e certezze, osserva cercando di non giudicare, incontra realtà e persone nuove e si arricchisce.
Per vivere la ricchezza del viaggio, però, c’è bisogno di allenamento. Neanche gli atleti più capaci possono smettere di allenarsi. Quale può essere per me l’allenamento utile a farmi guardare oltre e alzare lo sguardo? Forse capire quali cose superflue occupano spazio nella mia vita e liberare quello spazio per ascoltare e guardare di più ciò che mi circonda, leggere il giornale, fare volontariato, fare il primo passo verso l’altro.
Piazza dell’io
Arriviamo nella piazza dell’io: è bellissima, tutta fiorita, con le panchine, una bella vista, e quello che mi piace di più. Però è una piazza particolare: c’è posto solo per me.
Gioco: tutti i ragazzi siedono in cerchio tranne uno che starà senza sedia al centro. Questi dirà la frase: «A me piacciono tutti quelli che…», indicando una caratteristica. Tutte le persone accomunate da quella caratteristica dovranno alzarsi in cerca di un’altra sedia. Chi sta al centro approfitterà del movimento per procurarsi un posto a sedere. Chi rimarrà senza sedia ripeterà la dinamica, e così via. L’animatore farà ripetere il gioco diverse volte. Alla fine si farà un briefing.
Se è vero che a ciascuno piace stare al centro del mondo, è vero anche che siamo nati per essere in relazione. Non vogliamo essere discriminati dal gruppo, abbiamo bisogno degli altri, di comunicare, essere accolti, ascoltati.
Se ci fermiamo nella Piazza dell’io, non c’è posto per l’amicizia, la solidarietà, «gli altri».
Via degli impoveriti
L’animatore chiede ai ragazzi se sanno chi sono i poveri.
Comunemente si parla di povertà estrema quando una persona, una comunità o tutti gli abitanti di una regione vivono con meno di 2 dollari al giorno (per il cibo, l’acqua, l’istruzione, le medicine e tutto ciò che occorre per una vita dignitosa).
La povertà viola il diritto di ciascuno a una vita che possa definirsi umana.
L’animatore rilancia la domanda iniziale chiedendo ai ragazzi se c’è differenza tra un povero e un impoverito.
Quando si parla di poveri, o di paesi poveri, spesso si dovrebbe parlare piuttosto di impoveriti. La maggior parte, infatti, sono ricchi, ma le loro risorse sono depredate da altri.
Video: l’animatore mostra il video legato all’articolo «Il “Muro della Vergogna” che separa i ricchi dai poveri in Perù», pubblicato su notizie.delmondo.info il 6/2/2016. A Lima, capitale del Perù, c’è un muro che divide uno dei quartieri più agiati da uno tra i più poveri. Il primo tratto fu costruito nel 1985, perché gli abitanti benestanti della zona si sentivano minacciati dalle baraccopoli sempre più vicine. Negli anni successivi la barriera si è estesa fino a raggiungere una lunghezza di 10 km, diventando il simbolo delle disparità economiche e sociali. Inoltre, la barriera procura agli abitanti di Pamplona, il quartiere povero, grandi difficoltà di spostamento. Tant’è vero che alcuni impiegano ore per raggiungere i loro posti di lavoro che sarebbero altrimenti raggiungibili in poche decine di minuti.
Dopo la visione del video e la spiegazione, l’animatore domanda ai ragazzi: «E noi abbiamo costruito muri nella nostra città, nel quartiere, a scuola, in casa, dentro di noi?».
Il buon samaritano
Al centro del gruppo l’animatore mette delle foto di persone escluse, ferite, deboli, impoverite, e invita i ragazzi a guardarle mentre ascoltano il brano di Lc.
Il personaggio della parabola, davanti alla diversità ha scelto l’accoglienza, il prendersi cura, la solidarietà. Dire samaritano nel mondo ebraico aveva un significato dispregiativo. Gli abitanti della Samaria erano considerati contaminati con i pagani, non puri, esclusi. Eppure Gesù racconta una parabola in cui proprio un samaritano è il protagonista di una delle vicende più belle di solidarietà.
L’animatore legge Lc 10,25-37 e si ferma in particolare sulla scena in cui il samaritano si accorge dell’uomo percosso che giace morente sulla strada, e lo soccorre. Un commento di papa Francesco dice così: «Questa parabola è un’icona illuminante, capace di mettere in evidenza l’opzione di fondo che abbiamo bisogno di compiere per ricostruire questo mondo che ci dà pena. Davanti a tanto dolore, a tante ferite, l’unica via di uscita è essere come il buon samaritano. Ogni altra scelta conduce o dalla parte dei briganti oppure da quella di coloro che passano accanto senza avere compassione del dolore dell’uomo ferito lungo la strada. La parabola ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune» (Ft 67).
Dinamica: ciascun ragazzo è invitato a scrivere su un foglio, che poi lascerà vicino alle foto, una parola, un’azione che gli è suggerita dal buon samaritano e che si potrebbe attuare dinanzi alle povertà rappresentate nelle immagini.
Un’altra strada
Si tratta di imboccare una strada nuova, una strada che si apre solo a chi decide di avere orizzonti ampi, di mettere da parte il proprio io per andare incontro all’altro, riconoscendo con umiltà che ciascuno è «un altro» per gli altri, un diverso, un povero, anche se forse non economicamente (cfr. Ft 69).
L’animatore legge l’articolo «Usa-Messico, l’altalena che abbatte il muro: la sorpresa al confine»: «Il progetto si chiama “Teeter totter wall” (il muro delle altalene) e i primi disegni risalgono al 2009. Ma solo a luglio 2019 Ronald Rael e Virginia San Fratello, una coppia di architetti e docenti universitari, hanno visto realizzata la loro idea. A Sunland Park, in New Mexico, dove un alto muro divide il territorio statunitense da quello messicano, Rael e San Fratello hanno installato alcune altalene a bilico dipinte di rosa acceso facendole passare attraverso il muro. Le persone, tra cui molti bambini, sul lato messicano, quando hanno visto quello che stava accadendo sono accorse a giocare con chi si trovava dall’altra parte del muro.
“Il muro è diventato il fulcro delle relazioni Usa-Messico e i bambini e gli adulti sono stati collegati in modo significativo da entrambe le parti con la consapevolezza che le azioni che hanno luogo da una parte hanno una conseguenza diretta dall’altra”, ha scritto su Instagram Ronald Rael, parlando di questa come “una delle esperienze più incredibili” della sua carriera e di quella di Virginia» (cfr. Martina Tartaglino, 30/7/2019, su video.repubblica.it/socialnews).
Video: l’animatore mostra il video e alla fine legge le seguenti parole di papa Francesco: «Se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita» (Ft 195).
Brainstorming: quali sono i frutti del farsi prossimo? I ragazzi e gli adulti che hanno partecipato a questa iniziativa delle giostre attraverso il muro, come si sono sentiti? Che frutti hanno visto nascere dai loro atti? Se la solidarietà è la strada principale, i suoi frutti sono come una ragnatela di vicoli che partono da essa: gioia, pace, amicizia…
Call to action: personalmente o a gruppi ci chiediamo cosa potremmo fare insieme di concreto: collaborare con associazioni che aiutano i poveri, realizzare una raccolta di alimentari, visitare qualche famiglia bisognosa, ecc.
Preghiera
L’incontro si conclude con la preghiera del Padre nostro. I ragazzi si dispongono in cerchio lasciando uno spazio aperto a simboleggiare l’accoglienza verso chi ancora non fa parte della nostra cerchia.
Felicia Romano e Gonzalo Salcedo
(Ufficio educazione alla cittadinanza globale della comunità missionaria di Villaregia)
Leggi, scarica, stampa da MC ottobre 2021 sfogliabile.
Felicia Romano e Gonzalo Salcedo
Ultimi post di Felicia Romano e Gonzalo Salcedo (vedi tutti)
- Fratelli tutti. Solidarietà - 15 Ottobre 2021
- Fratelli tutti. L’altro - 1 Luglio 2021
- Fratelli tutti. Migrazioni - 4 Maggio 2021