Slow page dei Missionari della consolata

Dio diventa uomo perché l’uomo diventi dio

Dio diventa uomo perché l’uomo diventi dio

Il violetto, il silenzio della notte, la luce dell’alba

Il violetto

Il violetto è il colore liturgico dell’avvento, nasce dalla mescolanza del rosso e del blu. Il rosso è simbolo dell’umanità, della fatica del vivere, del sangue, delle guerre e dei poveri. Il blu è simbolo del cielo, di Dio. Quindi, più che di penitenza, digiuno, lutto, è simbolo di incontro, di trasformazione, di fusione, di unità degli antipodi… è un progetto. Nel violetto i due colori sono così profondamente fusi che non è più possibile separarli; proprio come le gocce d’acqua che il sacerdote aggiunge al vino nel momento dell’offertorio: l’acqua si fonde, si perde nel vino al punto che non solo non si può più separare da esso, ma diventa anch’essa, nella consacrazione, «sangue di Cristo».

Il violetto è simbolo del progetto di Dio: fare della comunità divina e della comunità umana, una sola famiglia; perché, come dice Papa Francesco (Fratelli tutti, 66): «La vita non è tempo che passa, ma tempo di incontro».

Dio ama l’uomo, la sua creatura più bella e riuscita, e proprio per questo si fa pellegrino alla ricerca dell’uomo che nella sua insipienza si era smarrito. Dio entra nella storia dell’umanità, si fa prossimo, si abbassa sull’uomo ferito e abbandonato ai bordi della strada della vita… per rimetterlo in piedi, farlo ripartire, farlo sbocciare; perché nessuno «rimanga ai margini della vita».

«Dio diventa uomo perché l’uomo diventi dio», dirà arditamente San Leone Magno.

Papa Francesco ci ha donato un’enciclica, la «Fratelli tutti», che «fa tremare le vene», prima di tutto a noi missionari, perché non ci permette di scendere incontro ai poveri solo fino a un certo punto … L’amore scende, fino in fondo, è radicale. «Se vuoi sollevare un uomo dalla melma e dal fango, non credere di poter restare in alto e accontentarti di stringergli una mano soccorrevole. Devi scendere giù tutto, nella melma e nel fango. Allora afferralo con forti mani e riconducilo con te alla luce» (Martin Buber).

L’amore è sempre a favore degli uomini prima che di Dio, perché così fa Dio. Nella parabola del Samaritano (cf Luca 10,30ss), il sacerdote e il levita passano accanto al malcapitato e se ne vanno, hanno altri impegni urgenti, per di più verso Dio! Ma, dice il Papa, «il fatto di credere in Dio e di adorarlo non garantisce di vivere come a Dio piace» (Fratelli tutti, 74). Persone religiose tutte intente a dar gloria a Dio, e che non sono mai a favore degli uomini, non possono capire il mistero del violetto.

Il silenzio della notte

«Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose e la notte era a metà del suo rapido corso, la tua Parola dal cielo si lanciò in mezzo a quella terra» flagellata dal dolore e senza speranza (Sapienza 18,14-15).

La notte è, in realtà, la metà della vita umana, è il tempo del riposo che dà vigore al giorno, è la sorgente che dà luce al cammino della vita. Nella notte regna il silenzio e nel silenzio accadono le cose importanti: un bimbo è concepito e comincia l’avventura della vita; nasce per noi il Salvatore e la vita cambia. Il silenzio della notte è speranza, attesa dell’alba di un giorno nuovo. Nel silenzio Dio parla e la sua Parola interpella, chiama; nel silenzio nasce la fede: risposta alla Parola che invita al dialogo. Nel silenzio nasce una vocazione, un progetto di vita. Nella fede che nasce dal silenzio della notte, riesco a capire il mistero di questa pandemia che ha travolto sistemi economici, sociali e religiosi: non è una punizione che Dio manda all’uomo cattivo e peccatore e neppure una maledizione; è una voce che grida al cuore, occasione unica per guardarci dentro e guardare oltre, per ricostruire relazioni di umanità. C’è una benedizione in tutto questo. Riempire il silenzio della notte di ogni schiamazzo e baldoria, è effetto di paura e condanna del nulla, e in ultima analisi è rimanere sfiniti, ciechi e paralizzati, ai bordi della vita senza futuro.

La luce dell’alba

Nel silenzio della notte, mentre lo sterminatore passava (cf Esodo 12,23) e il popolo mangiava l’agnello della pasqua, Israele è nato come popolo libero ritrovando identità e dignità, lasciando indietro il suo passato di schiavitù.

Il silenzio della notte è tempo dell’ascolto della Parola, è decisione di credere e capacità di ringraziare. Qui nasce la piccola chiesa domestica, dove la Parola risuona di nuovo in tutta la sua forza e fa rinascere la fede nel Signore della vita e della storia che viene a salvarci. Dalla Parola nasce la Chiesa: nasciamo noi come credenti, come famiglia cristiana. È questo il momento di darsi da fare a ricostruire il tessuto cristiano del mondo a partire dalla piccola chiesa domestica. La grande tentazione è lamentarsi, mormorare, insoddisfatti che certa tradizione non è rispettata. Abbiamo la Parola che è la luce di un’alba nuova che ci fa nascere al progetto di Dio.

Il discepolo è uomo di speranza, di attesa vigile, come sentinella che annuncia la luce del giorno che spunta (cf Isaia 21,11). Natale è saper dire la luce, il nuovo: Gesù Cristo salvatore.

Per la vostra amicizia e il vostro sostegno ai nostri poveri in questo tempo duro e difficile della pandemia e della inutile, insensata guerra in Etiopia, semplicemente ringrazio Dio e vi benedico.
Anche voi ringraziate per tutto e sempre: il saper ringraziare ha la capacità di svelenire le fatiche e le delusioni della vita e di donare la gioia del vivere insieme.

E allora, «per tutto ciò che è stato, grazie; a tutto ciò che sarà, sì» (Dag Hammarskjöld).

BUON NATALE.

padre Paolo Angheben, imc Etiopia

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