Celebrazione dell’Avvento
L’avvento segna l’inizio di un nuovo anno liturgico. È un tempo durante il quale la Chiesa esorta tutti i fedeli a mettere in atto momenti specifici di preparazione spirituale per celebrare con un forte memoriale la venuta del Salvatore.
Le profezie, che nell’Antico Testamento avevano annunciato la venuta del Messia, si realizzano con l’incarnazione del Figlio di Dio.
La venuta in potenza del Messia era attesa nell’Antico Testamento, è stato un evento storico con la sua nascita a Betlemme, ed è una realtà attuale nella vita odierna della Chiesa. In quanto tale, essa tende verso la sua consumazione e postula il ritorno glorioso del Signore.
La Parusia è il termine ultimo che polarizza tutto il processo della salvezza.
In ogni caso non bisogna mai dimenticare che questa realtà è un mistero sempre in atto come continuo avvento nei sacramenti e nella vita cristiana. La sua celebrazione apre prospettive immense di salvezza perché investe tutta l’opera salvifica del Cristo, investe tutte le generazioni che si susseguono nella storia e, non ultima, la vita della comunità ecclesiale.
Di conseguenza l’Avvento non va considerato come un evento meramente storico, ma come la memoria perennemente presente del Verbo di Dio nella storia: annunciato nell’Antico Testamento, realizzato nel Nuovo, e vissuto nel fluire del tempo dalla Chiesa.
Avvento come preparazione
Il Messia, di cui noi celebriamo la venuta in terra nella pienezza dei tempi, fu atteso con passione dalle generazioni che si sono succedute nella prima economia di salvezza. Di certo l’Antico Testamento è il luogo dell’annuncio della venuta del Messia, come ci assicura il Vangelo di Luca. Agli undici e a quelli che erano con loro radunati nel Cenacolo, infatti, il risorto dice:
Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi.
Lc 24,44
Di seguito ci soffermeremo su alcuni testi messianici che riguardano la venuta del Signore. Solo di di essi, e non su quelli che riguradano gli altri momenti della vita di Gesù e della sua attività.
In Gen 3,15 si legge:
Io porrò inimicizia tra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno.
Gen 3,15
In questo testo viene adombrata la presenza di uno che è definito «stirpe», «progenie» di una donna, il quale dovrà prevalere sul male. È un accenno lontano, ma la testa chiacchiata del serpente potrebbe far pensare alle parole che descrivono la vittoria del Signore sul male: «Io ho vinto il mondo» (Gv 16,29).
In Gen 12,1-3 si legge:
Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela, e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò e renderò grande il tuo nome e possa essere tu benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te saranno benedette tutte le familie della terra.
Gen 12,1-3
Abramo, a cui Dio ordina di lasciare la terra e la sua parentela, riceve una promessa messianica: “In lui tutte le famiglie saranno benedette”.
Essa si realizza attraverso la discendenza abramitica che arriva fino al Cristo. A questo proposito Paolo precisa che “in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passa ai pagani e a noi, mediate la loro fede” (Gal 3,14).
Troviamo un simile riferimento anche nel profeta Geremia:
Ecco verranno giorni, oracolo del Signore, nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele vivrà tranquillo, e lo chiameranno con questo nome: Signore-nostra-giustizia.
Ger 23,5-6 e 33,14-16
Secondo il testo di Geremia, la tribù di Davide avrebbe avuto il privilegio di annoverare tra i suoi discendenti un germoglio giusto, destinato a regnare con diritto e giustizia. Questa profezia di Geremia ha senza dubbio una valenza messianica (cf. 1Cor 1,30; Eb 1,9).
La stessa nascita di Gesù a Betlemme è facilmente leggibile nelle parole del profeta Michea:
E tu, Betlemme di Efrata… da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti.
Mi 5,1-2
Le parole del profeta Michea sono riprese dall’evangelista Matteo, che le applica a Gesù, descritto come colui che nasce a Betlemme (Mt 2,3-6). Di certo Matteo le considera una profezia messianica.
Il testo di Isaia 7,14 preannuncia la nascita da una giovane vergine di un bambino il cui nome sarà Emmanuele. Questo fatto eminentemente storico riguardante la nascita del figlio del re Acaz, è riletto in chiave messianica da Matteo (cf. 1,20-23). L’arcangelo Gabriele, appare a Maria e comanda a Giuseppe di chiamare il bambino, Gesù. Dopo ciò Matteo cita le parole di Isaia presentandole come una profezia messianica. Gesù diventa veramente il «Dio con noi», realtà prefigurata dal figlio naturale del re Acaz.
Infine va notato che l’arrivo del Messia è preparato dall’invio di un precursore, il Battista, che in Matteo è introdotto sulla scena da una citazione del profeta Isaia (40,3-5; cf. Mal 3,1):
Voce di uno che grida nel deserto: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”.
Mt 3,3
Questo preannunciato messaggero per bocca del profeta Malachia diventa «il mio messaggero», che «prepara la via davanti a te» (Mt 11,9-10).
Tutte le attese e le speranza sono raccordate dall’arrivo del Messia, Gesù Cristo, che deve guidare il popolo di Dio per sentieri nuovi.
Secondo l’oracolo di Isaia, la sua venuta deve essere preparata adeguatamente. Ogni valle e ogni collina va livellata per far nascere in noi nuovi sentieri da percorrere. Bisogna rompere con il passato ed imprimere nella nostra vita una direzione nuova e definitiva. Il suo arrivo segna una svolta epocale in quanto la sua venuta è il più grande evento della storia: il Messia-Dio elimina la distanza che lo separava dagli uomini e si insedia in mezzo a loro. Il Dio tre volte Santo, il Dio trascendente, il Dio lontano, diventa il Dio con noi, il Dio visibile, palpabile. La sua voce si può finalmente ascoltare e non rimane più velata dalla caligine della nube.
Avvento come evento
Con «evento» intendiamo un avvenimento che accade una sola volta nella storia. Un evento è senza dubbio l’Incarnazione del Verbo di Dio.
Gli evangelisti iniziano ciascuno il proprio Vangelo con un’introduzione che rivela la loro linea teologica.
Marco apre il suo scritto con una interessante trittico che mette uno accanto all’altro l’apparizione del Battista, il battesimo di Gesù e le tentazioni. Subito dopo presenta l’inizio dell’attività pubblica di Gesù (Mc 1,14-15).
Matteo, dal canto suo, introduce il suo Vangelo con una genealogia, che inizia con Abramo e si estende fino a Gesù (Mt 1,1-17). Luca invece apre la sua opera con un’introduzione che ha un sapore più scientifico:
Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.
Lc 1,1-4
Giovanni invece ha un inizio totalmente diverso dagli altri tre, infatti egli parte dal Logos-Parola e dalla sua pre-esistenza, di cui egli godeva prima della stessa creazione (cf. 1Cor 8,6; Col 1,16); continua poi descrivendo la perenne comunione del Verbo con il Padre e la sua divinità. L’evangelista invita il credente non solo ad andare indietro nel tempo, alla creazione, ma addirittura prima della stessa creazione, dove il Logos-Parola esisteva già con Dio (Gv 20,28).
Il prologo del Vangelo di Giovanni ci presenta la venuta della Parola tra noi in un triplice movimento di discesa allo scopo di eliminare la distanza che separava Dio dall’umanità.
Il primo movimento è riportato al v. 9: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo». La luce viene dove gli uomini vivono, e cioé nel mondo. Arriva là dove stanno le persone, allo scopo di illuminarle. Il verbo usato è in forma perifrastica «stava venendo», e questo significa che la sua venuta è costante, in un processo continuo di illuminazione del mondo. Che si voglia o no, d’ora in poi tutti devono confrontarsi con il fulgore della sua luce.
A questo primo movimento discendente del Verbo, si oppone una reazione degli uomini. La loro risposta è negativa. Essi sono incapaci di riconoscere il Verbo come luce del mondo e mostrano di preferire le tenebre.
Il secondo movimento: «Venne tra i suoi e i suoi non l’hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio» (vv. 11-12 erchomai e paralambano). Queste parole sembrano riguardare un’area geografica specifica: il Verbo si reca in Israele, tra i suoi, nella sua eredità (cf. Sal 135,4; Es 19,5; Dt 7,6; Is 19,25). A questo movimento corrispondono due tipi di reazione: uno positivo e l’altro negativo.
Nonostante Israele avesse avuto l’esperienza di un tenero amore da parte di Dio nel corso della sua storia, ora, nel tempo opportuno, nella pienezza del tempo, si rifiuta di accogliere il Figlio di Dio. Israele sa di essere il figlio primogenito di Dio (Es 4,22) e sembra fare fatica a rinunciare a questo privilegio. Israele non mostra di essere capace di leggere i segni dei tempi (Luca parla di segni atmosferici per indicare l’incapacità di Iesraele Lc 12,54-59: nuvola, pioggia, scirocco, caldo). Israele ha paura della novità e di mettere in discussione i fondamenti della sua Teologia. Riconosce Gesù come Figlio di Dio significava scardinare la sua fede in un Dio unico (ehad).
Al contrario alcuni accolgono la venuta del Verbo e ricevono qualcosa di completamente nuovo: il grande dono di diventare figli di Dio alla stregua del Logos (Gv 11,52; 1Gv 3,1-2.10; 5,2). Accogliere il Verbo, dunque, costituisce un’autentico atto di fede nella capacità del Signore di trasformare l’umanità.
Il terzo movimento: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (v. 14), segna il momento in cui il Verbo entra nel tempo e nello spazio in modo definitivo. La distanza tra Dio e l’umanità è abolita. Il Dio trascendente, il Dio lontano diventa un Dio alla nostra portata e, dunque, visibile, palpabile ed udibile.
Il movimento discendente, iniziato nell’Antico Testamento con la richiesta di Dio a Mosè di costruire una tenda per lui, trova la sua piena realizzazione nella persona del Verbo che si stabilicse in mezzo a noi.
Al terzo movimento del Verbo corrisponde una risposta variegata, che include i discepoli, il Battista e la comunità cristiana.
- La comunità dei discepoli, che, indicata dal pronome «noi» (v. 14), ha contemplato, ha ascoltato e toccato il Verbo della vita (cf. 1Gv 1,1-4). Nel testo della 1Gv si può notare la sequenza: evento storico, esperienza e proclamazione.
- Il Battista: «Giovanni gli dà testimonianza e proclama: Era di lui che io dissi: colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me» (v. 15), grida a gran voce e gli rende testimonianza. Se Gesù è il Verbo, il Battista ne è la voce. È la voce a completa disposizione del Verbo. Giovanni dà visibilità al Verbo incarnato e lo indica al popolo.
- Infine la comunità cristiana entra in gioco, attingendo vigore dalla pienezza del Logos stesso. Tale comunità riceve una grande grazia, la quale sostituisce quella antica. Il dono nuovo è il Cristo incarnato che è la irradiazione del Dio invisibile.
L’evento storico dell’incarnazione segna in modo definitivo l’inizio di una nuova era e si identifica con il tempo opportuno deciso dal Padre.
Attraverso questo movimento discendente, il Verbo irrompe nella storia dell’umanità «facendosi carne», per una rivelazione definitiva del mistero divino. In questa visione si ha che:
- La preesistenza del Verbo diventa un’esistenza per noi.
- La sua eterna relazione con il Padre diventa una relazione con noi.
- La sua divinità rende effettiva l’immagine divina che è in noi.
La parola «carne» descrive l’incarnazione in termini molto realistici in quanto significa la realtà umana nella sua totalità. Anche se il termine indica una realtà con un connotazione di debolezza, fragilità e mortalità, tuttavia è capace di ricevere lo Spirito di Dio. Gesù deve essere inteso come colui che realmente è diventato carne (cf. 1Gv 4,2; 2Gv 7), e non come pensavano i docetisti per i quali «sembrava» che avesse assunto la natura umana. È veramente divenuto una persona visibile, palpabile e tangibile (cf. 1Gv 1,1-3), come noi.
Al versetto 14 la parola greca tradotta con «stabilirsi», «prendere posto», connota l’idea della presenza di Dio che sceglie un posto in cui rendersi visibile. È esattamente quello che Dio ha fatto durante il peregrinare del popolo nel deserto. Egli ordinò a Mosè di costruire una tenda per lui perché potesse vivere in mezzo al suo popolo:
Essi mi faranno un santuario (skhnh) ed io abiterò in mezzo a loro. Eseguirete ogni cosa secondo quanto ti mostrerò, secondo il modello della Dimora e il modello di tutti i suoi arredi.
Es 25,8-9
La tenda del convegno diventa, dunque, il luogo dove Dio vuole manifestare la sua presenza e soprattutto il luogo che gli permette di essere Emmanuele (il Dio con noi). A sua discrezione, Dio scendeva a prendere possesso della Tenda, come leggiamo in Es 40,34: «Allora la numbe coprì la tenda del convegno e la gloria del Signore riempì la Dimora». Decidendo Dio di avere una Tenda in mezzo al suo popolo manifesta la chiara volontà di abitare in permanenza con il suo popolo (cf. Num 12,5; 2Re 7,6; Sal 78,60).
La stessa idea di piantare la tenda è anche usata dai profeti per annunciare l’imminente restaurazione di Israele:
Tu conoscerai che Io sono il Signore tuo Dio, che fisserà (kataskenoun) la sua tenda in Sion.
Gioele 2,10
Alla fine dell’esilio di Babilonia, il Signore ritorna a Gerusalemme e il profeta Zaccaria lo descrive come segue:
Gioisci, esulta, figlia di Sion, perché, ecco, io vengo ad abitare (kateskenoun) in mezzo a te.
Zac 2,14
Il profeta Ezechiele descrive il Tempio come il luogo privilegiato della presenza di Yahweh:
Il mio nome abiterà in mezzo ai figli di Israele, per sempre.
Ez 43,7
Tornando al prologo del Vangelo impariamo che l’evangelista Giovanni vuole indicarci che la «carne» di Gesù è il luogo privilegiato della presenza di Dio sulla terra, che, quindi, sostituisce la Tenda del Convegno dell’Antico Testamento.
Noi abbiamo visto la sua gloria
«E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi e noi abbiamo contemplato la sua gloria gloria come di unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e verità».
Il pronome personale «noi» del versetto 14 si riferisce al gruppo dei testimoni oculari, che hanno visto la gloria del Maestro. La «gloria» indica una potente manifestazione di Dio e spesso, nell’Antico Testamento, si trova in connessione con La Tenda del convegno o con il Tempio.
Troviamo la connessione di Gloria e Tenda nel contesto della ratificazione dell’alleanza:
Mosè salì sul monte e la nube di Dio venne a dimorare sul monte. La gloria di di Dio venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per 6 giorni. Al 7° giorno il Signore chaimò Mosè dalla nube. La gloria del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna
Es 24,15-17
Ritroviamo la stessa idea in Es 40,34:
Allora la nube (הֶעָנָ֖ן) coprì la enda del Convegno e la gloria (כְב֣וֹד) del Signore riempì la Dimora (הַמִּשְׁכָּֽן). (cf. Dedicazione del Tempio 2Re 8,10-11).
Appena prima che i Babilonesi distruggessero il Tempio, leggiamo in Ez 11,23 che la Gloria di Dio lasciò la città. Nella visione della ricostruzione del stesso Tempio il profeta vede la Gloria di Dio tornare ed abitarvi di nuovo (44,4).
Trasposizione spirituale
Ora è il momento di raccogliere gli elementi emersi dall’analisi dei testi dell’Antico Testamento e del prologo del quarto Vangelo per sottolineare la valenza spirituale che deve investire la nostra vita. Vanno tenuti in conto senza dubbio l’immagine della tenda e quella della nube-ombra. Queste immagini si possono osservare nell’episodio della annunciazione, quando l’angelo Gabriele, volendo rispondere all’obiezione di Maria, le dice:
Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio.
Lc 1,35
La nube, simbolo della presenza di Dio, non scenderà più sul monte Sinai o sulla Tenda del Convegno, ma scenderà su Maria. La divinità non fisserà più la tenda in mezzo al popolo di Israele, ma, come dice il Prologo giovanneo, la fisserà inmezzo a noi: «E il Verbo si è stabilito in mezzo a noi».
La conseguenza di una tale teologia simbolica è molto evidente e riguarda il ruolo di Maria nella storia della salvezza. La pienezza del tempo ha fissato come punto di raccolta delle tribù della terra non più il Tempio di Gerusalemme, né la Tenda del Convegno, ma il grembo di Maria dove il Figlio di Dio si è compiaciuto di fissare la sua tenda. Lo Spirito Santo si è posato su Maria e la potenza dell’Altissimo l’ha ricoperta (obumbrabit tibi). Qui si verifica un cambiamento radicale perché il Tempio antico è sostituito dal grembo di Maria e perché l’ombra della nube si è posata su di lei.
Nel deserto le tribù solevano radunarsi attorno alla Tenda del Convegno per consultare Dio, per espiare le loro colpe e per ottenere la riconciliazione con lui. La stessa funzione è anche esercitata da Maria che attira attorno a sé popoli dalle diverse tradizioni, costumi e lingue. Lei, come fece con i pastori e i Magi, offre il Figlio perché questi possa ottenere per tutti il perdono dei peccati e la riconciliazione con il Padre.
di Antonio Magnante
Antonio Magnante
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