Appunti di un missionario keniano a Torino per una pastorale giovanile a partire dalla Christus vivit.
Le nostre comunità cristiane sono sempre alle prese con i loro giovani. Saranno anche pochi quelli che vediamo nelle nostre chiese, ma noi non rinunciamo a loro, anzi, ci sentiamo interpellati dalla loro vita, dalle loro esigenze, dall’imperativo di trasmettere loro quello che la Chiesa ha di bello e forte.
I giovani stessi, a modo loro, cercano la Chiesa. Nonostante molte volte ci siano delle distanze nei modi di comprendere alcune cose, nonostante gli scandali all’interno della Chiesa, oppure i pasticci che i giovani stessi combinano, c’è sempre un reciproco interesse e stima.
Giovani: novità e provocazione per la Chiesa
Papa Francesco, nell’esortazione apostolica Christus vivit, scrive: «Anche se ci sono giovani che sono contenti quando vedono una Chiesa che si mostra umilmente sicura dei suoi doni e anche capace di esercitare una critica leale e fraterna, altri giovani chiedono una Chiesa che ascolti di più, che non stia continuamente a condannare il mondo. […]. Una Chiesa sulla difensiva, che dimentica l’umiltà, che smette di ascoltare, che non si lascia mettere in discussione, perde la giovinezza e si trasforma in un museo» (Cv 41).
Già, perché, nonostante i buoni propositi, può capitare che l’atteggiamento di un adulto nei confronti di un giovane sia giudicante, di lamento e critica. Può capitare anche il contrario, che l’atteggiamento sia di ammirazione a dismisura, di eccessiva indulgenza. In entrambi i casi si perde l’occasione di educare.
«[…] i fedeli della Chiesa non sempre hanno l’atteggiamento di Gesù. Invece di disporci ad ascoltarli a fondo, “prevale talora la tendenza a fornire risposte preconfezionate e ricette pronte, senza lasciar emergere le domande giovanili nella loro novità e coglierne la provocazione”. D’altra parte, quando la Chiesa abbandona gli schemi rigidi e si apre ad un ascolto disponibile e attento dei giovani, questa empatia la arricchisce, perché “consente ai giovani di donare alla comunità il proprio apporto, aiutandola a cogliere sensibilità nuove e a porsi domande inedite”» (Cv 65).
Cosa fare?
Innanzitutto, l’adulto deve porsi come padre, come madre. Una madre, un padre non giudicano i loro figli. Possono fare osservazioni, correggere, con molto amore e, spesso, fatica e sofferenza. Ma mai si pongono come giudici dei loro figli. Lo dice in modo più chiaro papa Francesco: «Lo sguardo attento di chi è stato chiamato ad essere padre, pastore e guida dei giovani consiste nell’individuare la piccola fiamma che continua ad ardere, la canna che sembra spezzarsi ma non si è ancora rotta (cfr. Is 42,3). È la capacità di individuare percorsi dove altri vedono solo muri, è il saper riconoscere possibilità dove altri vedono solo pericoli. Così è lo sguardo di Dio Padre, capace di valorizzare e alimentare i germi di bene seminati nel cuore dei giovani. Il cuore di ogni giovane deve pertanto essere considerato “terra sacra”, portatore di semi di vita divina e davanti al quale dobbiamo “toglierci i sandali” per poterci avvicinare e approfondire il Mistero» (Cv 67).
Perché ogni giovane porta con sé la sua storia, la sua bellezza, le sue fragilità. Dice infatti papa Francesco: «La gioventù non è un oggetto che può essere analizzato in termini astratti. In realtà, “la gioventù” non esiste, esistono i giovani con le loro vite concrete. Nel mondo di oggi, pieno di progressi, tante di queste vite sono esposte alla sofferenza e alla manipolazione» (Cv 71).
Stare tra i giovani per dire loro «vi voglio bene»
«Sentiamo il bisogno di una parola che ci scaldi il cuore, una parola che, innanzitutto, ci tenga compagnia: la vita non sempre mantiene ciò che promette…». San Giovanni Bosco lo diceva e, soprattutto, lo praticava, e chiedeva agli educatori una presenza costante nella vita dei giovani.
Anche il beato Giuseppe Allamano voleva essere costantemente presente nella vita dei suoi: attraverso la corrispondenza, i colloqui personali, il racconto dei diari.
Nel mondo di oggi, dove il contatto fisico è importante, ma dove i social prendono la scena, la comunicazione tra l’adulto e i giovani ha possibilità e dimensioni importanti. I giovani cercano una parola, un contatto, un’attenzione che dica loro che qualcuno li pensa, li ama, si interessa di loro, li salva. Un contatto personale, un dialogo, un messaggio, può essere un modo efficace per veicolare la parola di Dio ed evangelizzare.
Pastorale giovanile popolare
L’attenzione ai giovani deve essere un’attenzione missionaria, che cerchi, come dice papa Francesco, «specialmente i giovani che non sono cresciuti in famiglie o istituzioni cristiane, e sono in un cammino di lenta maturazione». Continua papa Francesco: «Cristo ci ha avvertito di non pretendere che tutto sia solo grano (cfr Mt 13,24-30). A volte, per pretendere una pastorale giovanile asettica, pura, caratterizzata da idee astratte, lontana dal mondo e preservata da ogni macchia, riduciamo il Vangelo a una proposta insipida, incomprensibile, lontana, separata dalle culture giovanili e adatta solo ad un’élite giovanile cristiana che si sente diversa, ma che in realtà galleggia in un isolamento senza vita né fecondità. Così, insieme alla zizzania che rifiutiamo, sradichiamo o soffochiamo migliaia di germogli che cercano di crescere in mezzo ai limiti» (Cv 232). Quindi, «oltre al consueto lavoro pastorale che realizzano le parrocchie e i movimenti, secondo determinati schemi, è molto importante dare spazio a una “pastorale giovanile popolare”, che ha un altro stile, altri tempi, un altro ritmo, un’altra metodologia. Consiste in una pastorale più ampia e flessibile che stimoli, nei diversi luoghi in cui si muovono concretamente i giovani, quelle guide naturali e quei carismi che lo Spirito Santo ha già seminato tra loro. Si tratta prima di tutto di non porre tanti ostacoli, norme, controlli e inquadramenti obbligatori a quei giovani credenti che sono leader naturali nei quartieri e nei diversi ambienti. Dobbiamo limitarci ad accompagnarli e stimolarli, confidando un po’ di più nella fantasia dello Spirito Santo che agisce come vuole» (Cv 230).
A proprio agio nella storia
L’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, nel documento Chiesa dalle genti, responsabilità e prospettive, scrive: «La nostra tradizione cristiana vive con una pacifica naturalezza la storia. Non ne soffre come di una prigione, non l’idealizza come un paradiso, non vi si perde come in una confusione inestricabile. Vive i momenti di euforia con un certo scetticismo, vive i momenti di depressione senza rassegnarsi […]. Noi i problemi li chiamiamo prove, le emergenze le chiamiamo appelli, le situazioni le chiamiamo occasioni. Siamo accompagnati da una fiducia radicale che viene dall’esperienza e dalla fede, dagli esempi del passato e dalla compiacenza per quello che i nostri giovani riescono a fare, anche perché sono sostenuti dagli adulti».
Una pastorale giovanile quindi che si svolge nella storia e nella situazione dei giovani, senza un atteggiamento di paura, ma profetico, cioè, capace di ascolto, presenza e accompagnamento. Un accompagnamento nella concretezza della situazione dei giovani, e quindi del singolo giovane, nei suoi interessi, nella sua vocazione, nelle sue fragilità e potenzialità.
Leggi, scarica, stampa da MC marzo 2020 sfogliabile.
Nicholas Muthoka
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