La spiritualità missionaria nasce dall’incontro intimo, sensibile, con Gesù, quel Gesù storico visto, ascoltato, toccato, annusato, gustato dai discepoli.
Ecco la sesta puntata sulla spiritualità missionaria.
La testimonianza di Gesù non è intellettuale ma si presenta al servizio della vita (cf. 1Gv 1,2). Il Verbo discende dove le persone vivono, sceglie di «essere con», di piantare la sua tenda tra le tende degli uomini. Egli è «la luce che è venuta nel mondo» (3,19; cf. 1,10) per liberare l’umanità dal potere delle tenebre (cf. 12,46) e introdurla nella vita.
La Parola eterna del Padre si rivela come la via da percorrere, per questo Giovanni annota: «Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (8,12; 12,46).
La persona di Gesù, che risplende come luce, è una sfida per l’umanità chiamata a scegliere: «Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita» (5,24). Gesù è mandato dal Padre «perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (3,16). E ancora, Gesù si qualifica come il Buon Pastore che viene «perché [le pecore] abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (10,10). La vera vita esiste solo nel Cristo (cf. 6,53) che guida i credenti a conoscere Dio (cf. 17,3).
Ecco perché Giovanni, nel suo Vangelo, parla raramente del giudizio di Dio e del Figlio: è la persona stessa che pronuncia il giudizio su di sé nel momento in cui decide di chiudere gli occhi alla luce e di rifiutare la testimonianza di Cristo (cf. 1,11).
La parola e l’opera
La presenza di Gesù nella storia è una rivelazione di amore.
Sin dall’inizio la Parola è rivolta verso il seno del Padre (cf. 1,1.18) e, quando assume la natura umana in Gesù, parla solo le parole del Padre.
Spesso Gesù ripete che egli parla con le parole del Padre (cf. 3,11.34; 12,49; 14,10). Di conseguenza il Padre viene conosciuto solo attraverso le parole pronunciate da Gesù.
Anche l’opera di Gesù rivela il Padre, lo fa conoscere, toglie il velo che impedisce di cogliere quanto amore proviene dal suo cuore.
Nella sua missione Gesù ha il ruolo di condurre tutti all’unità. Difatti, egli è inviato «per riunire i figli di Dio che erano dispersi» (11,52; cf. 17,21-22). La sua missione parte dal cuore del Padre per raggiungere gli estremi confini della terra.
Nella teologia del quarto Vangelo, solo attraverso il volto del Figlio si possono scoprire i contorni del volto «dell’unico e vero Dio» (17,3). In Gesù «noi possiamo vedere il Padre» (cf. 14,9) che ha la vita (cf. 6,44).
Gesù è il punto focale verso cui tendere. Siamo chiamati a contemplarlo quale luce del mondo (cf. 8,12; 9,5) e ad assaporarlo come pane che dà la vita e come acqua zampillante che spegne ogni nostra sete (cf. 4,14).
Contemplare il volto
Un’autentica spiritualità missionaria consiste nel mettersi in cammino verso la Parola fatta carne per ascoltare le sue parole e per contemplare sul suo volto il volto del Padre.
La spiritualità missionaria, secondo il quarto Vangelo, è una profonda e genuina esperienza del Cristo. Solo raggiungendo una relazione spirituale e armoniosa con lui, possiamo metterci in cammino per incontrare i nostri fratelli e sorelle, possiamo sentirci inviati da lui per parlare delle meraviglie operate dal Padre, per essere luce delle nazioni, e mostrare la via che conduce alla salvezza.
È una spiritualità che mostra a tutti come il Cristo sia luce, vita e verità. Le nostre parole saranno le parole di Gesù, che sono le parole del Padre.
Testimoni oculari
L’esperienza spirituale dei testimoni oculari è il modello della spiritualità missionaria.
Il prologo della prima Lettera di Giovanni contiene tutti gli elementi per una spiritualità missionaria, espressi in categorie sensoriali: «Noi vi annunciamo quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita […] noi vi annunciamo quello che abbiamo visto e sentito, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo» (1,1.3).
L’esperienza di ascoltare, vedere, toccare che Giovanni descrive per esprimere la comunione con Dio, è in linea con la realtà dell’incarnazione. Infatti, il Verbo si è reso visibile, tangibile, palpabile, e udibile. L’uso di tutti i sensi è necessario per un’esperienza totalizzante del Verbo incarnato. Per arrivare al Padre, dobbiamo passare attraverso la realtà concreta del Gesù di Nazareth. Questa è l’esperienza che i testimoni oculari hanno avuto.
Vista, udito, tatto
La visione, nel quarto Vangelo, è molto importante, in quanto permette di percepire la vera identità che si cela dietro la cortina fumogena dell’umanità di Gesù. La folla gli chiede: «Che segno operi perché possiamo vedere e quindi credere in te?» (6,30). Per incontrare la vera identità di Gesù, si richiede la capacità di andare oltre la sua umana apparenza.
Altrettanto importante nel quarto Vangelo è l’ascolto: Gesù va ascoltato perché «egli viene dall’alto», e viene per rendere testimonianza di quanto ha visto e udito dal Padre (3,31-32; 8,40). Di conseguenza i veri discepoli di Gesù devono disporsi all’ascolto attento di quanto il loro Maestro dice. Come Gesù ha ascoltato la voce del Padre, così ora i discepoli devono ascoltare Lui, perché le sue parole e la sua voce sono il riverbero delle parole e della voce del Padre. Non si dimentichi che nel Nuovo Testamento il discepolato scaturisce dall’ascolto. Si pensi ai due discepoli del Battista, che iniziano a seguire Gesù dopo aver ascoltato le parole del loro maestro.
Non meno importante in Giovanni è l’esperienza tattile. I discepoli hanno toccato e accarezzato il Verbo della vita, e da questa esperienza nasce la loro certezza che l’incarnazione non è immaginazione, fantasia, ma realtà storica e concreta. Il verbo usato da Giovanni, pselafao, si ritrova anche alla fine del Vangelo di Luca, quando Gesù invita gli Undici a toccare, accarezzare il suo corpo per rendersi conto che egli non è uno spirito (cf. Lc 24,39).
Comunicare la vita
Una simile esperienza descrive quanto profonda e intima è la comunione che i discepoli hanno con il Maestro. Questo è richiesto anche a quanti vogliano diventare veri discepoli dell’uomo di Nazareth.
Si accarezza il Verbo della vita per comunicare la vita agli altri.
Il centro dell’esperienza spirituale e missionaria nel quarto Vangelo è senza dubbio la persona di Cristo. Il vero e genuino discepolo, prima di proclamare l’evento Cristo e far germinare negli altri la fede nel Verbo, deve aver avuto una profonda e rigenerante esperienza del Gesù della storia.
di Antonio Magnante
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Antonio Magnante
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