La morte e il lutto sono il nostro pane quotidiano. Il lamento, il pianto e l’affanno, una postura consolidata. La fame e la sete non si smorzano mai. Nessun riparo dall’arsura, nessuna tenda da abitare (cfr Ap 7, 9-17), nessuno sguardo al quale affidare la nostra vita. Tantomeno un Dio che elimina la sofferenza.
«È triste, ma è così», dicevo.
Allora, quando ti ho visto passare tra la folla che t’insultava, anch’io ti ho sputato. E quando eri in croce, anche io ti ho detto di scendere, di salvare te stesso (e me) dalla morte, se veramente eri Dio (cfr Lc 23, 35-39).
Quando hanno chiuso il sepolcro con la pietra, ho dato una mano a sigillarla, e ho portato cibo e bevande alle guardie perché tenessero la tua morte, la tua speranza morta, sotto controllo (cfr Mt 27,66).
La speranza, quand’è illusione, fa male, bisogna tagliarla via e togliere le radici dal terreno. E io ce l’ho messa tutta per farlo.
Poi è successo l’imprevedibile. Un terremoto, la pietra ribaltata, i guardiani stesi a terra, la tomba vuota. Quei codardi dei tuoi amici che ti dicevano risorto.
«Davvero quella speranza era un’illusione?», mi sono chiesto.
E alla fine ho ceduto. Ce l’ho messa tutta per tenerti a bada, ma tu sei più forte e mi hai vinto. Senza lasciarmi sconfitto.
Mi hai mostrato che il male non è la sofferenza, ma l’assenza di amore, e che ogni assenza d’amore può essere colmata con la tua presenza, amore eccedente. Hai beffato la morte passandoci dentro, hai restituito alla vita la pienezza desiderata da Dio fin dal principio.
Quella che credevo illusione si è rivelata speranza. Bisogna coltivarla perché porti frutto e lo porti per tutti.
Buon tempo di Pasqua, da amico
Luca Lorusso
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Luca Lorusso
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