La preghiera deve partire dal cuore che è la matrice generativa delle azioni. Il Vangelo di Matteo traccia la strada per viverla in pienezza. Ecco la seconda di tre puntate sulla spiritualità missionaria.
Giustamente quello di Matteo è stato definito il Vangelo della Chiesa. Il termine Chiesa per l’evangelista sta a indicare la relazione che i credenti hanno con Gesù, il Figlio di Dio, atteso come giudice della storia umana. In breve si può affermare che la Chiesa per Matteo è la convocazione dei discepoli di Gesù che sono disposti a eseguire la volontà di Dio. Data l’importanza che la Chiesa riveste nel primo Vangelo, le sue linee di spiritualità hanno una valenza ecclesiale e comunitaria. La preghiera comunitaria, quindi, è fondamentalmente vissuta come un’esperienza di fratelli e sorelle che si radunano insieme nel nome di Gesù. Per il semplice fatto che si radunano nel suo nome, essi riescono a percepire la sua presenza in mezzo a loro (cf. 18,20), e sono capaci di rivolgersi al Padre come figli.
Tutti i membri della comunità devono accettare la stessa logica del Vangelo, che richiede loro un continuo impegno di conversione e di abbandono agli insegnamenti del Maestro. Unicamente accettando una simile logica evangelica si può produrre molti frutti e rendere visibile, attraverso le nostre azioni, la presenza di Dio nella storia. Il cuore della spiritualità di Matteo è qui: farsi piccoli per ricevere l’amore del Padre e riversarlo sui propri fratelli e sorelle, che sono anche essi i «piccoli» del regno.
Esempi di preghiera in Matteo
Quando preghi, entra nella tua camera
Questa esortazione di Gesù fa parte della triade: elemosina, preghiera e digiuno. Queste richiedono che ogni azione sia genuina e nasca dal profondo del cuore. Le parole di Gesù sono chiare e taglienti: «quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (6,6). Gesù esorta la comunità alla coerenza e ad eliminare la dicotomia tra l’intenzione e l’azione.
La preghiera deve partire dal cuore che è la matrice generativa delle azioni. Essa fa entrare in comunione con il Padre attraverso un atto genuino di fede. Tale comunione profonda con il Padre riesce a curare tutte le venature malate della nostra persona. Tristezza e gioia, tensioni e armonie, amore e odio raggiungono il cuore di Dio e si perdono in lui. Una volta che il nostro cuore si sente guarito nella sua parte più intima, nasce spontaneo un inno di lode e di ringraziamento all’indirizzo del Padre celeste.
Non «parecchie parole» ma «molta fede»
Subito dopo la sua esortazione alla preghiera, Gesù ne aggiunge un’altra: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate» (6:7-8). Solo Gesù è il modello della nostra fede e non i pagani che credevano che l’esaudimento delle loro preghiere fosse proporzionato alla quantità delle parole usate.
Già la letteratura sapienziale aveva ammonito a non usare troppe parole: «Non essere precipitoso con la bocca e il tuo cuore non si affretti a proferire parole davanti a Dio, perché Dio è in cielo e tu sei sulla terra; perciò siano poche le tue parole» (Qoh 5:1). Dobbiamo tener presente che la preghiera non è una formula magica usata per piegare a nostro favore la volontà di Dio, ma è invece il tentativo di entrare in intima comunione con lui per capire quale sia la sua volontà e ottenere la forza e la determinazione di eseguirla. Va tenuto conto che Gesù qui non vuole stigmatizzate una preghiera prolungata vuole solamente condannare l’uso sterile e vuoto di parole, che non siano ispirate dal un profondo spirito di fede e docilità quasi che Dio avesse bisogno di essere ragguagliato circa il tumulto dei nostri pensieri e angosce che tormentano il nostro spirito. Di certo egli già conosce le fibre più intime della nostra vita. Dio si coglie nel silenzio contemplato. Dio non ama il rumore delle parole, ma la gentile brezza del mattino, il silenzio del cuore (cf. 1Re 19:11-12). Dobbiamo entrare nel silenzio del nostro cuore e mormorare le parole che lo Spirito Santo ci sussurra.
Pregare per coloro che ci perseguitano
Nel discorso della montagna Gesù esorta ad amare i nemici. La nuova legge che egli sta inaugurando sul monte richiede che i cristiani d’ora in poi siano contraddistinti da questo difficile impegno. Infatti egli afferma: «Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: “amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano”» (5:43-44).
Il cristiano non solo è chiamato ad amare i suoi nemici ma anche a pregare per loro. Gesù dà anche il motivo teologico per una simile esortazione: perché il Padre celeste non fa distinzione tra il buono e il cattivo, tra il giusto e l’ingiusto. La preghiera del cristiano rimane inesorabilmente sterile se non segue l’esempio di Gesù, che sulla croce dice: «Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Anche le parole di Paolo sono illuminanti a questo riguardo: «Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita» (Rom 5,8-10). Il termine «nemici» va inteso in senso lato. Nemici sono tutti coloro che rompono l’armonia della nostra esistenza, tutti coloro che nutrono sentimenti di gelosia nei nostri confronti.
In ultima analisi la preghiera individuale è sempre un’espressione di fede e di obbediente sottomissione alla volontà del Padre. La preghiera personale è l’elemento fondamentale perché si possa avere una preghiera comunitaria.
Conclusione
La preghiera missionaria nel Vangelo di Matteo ha una coloritura cristologica. Cristo è senza dubbio l’unico interprete del Padre. I missionari impareranno gradualmente, attraverso un’assidua meditazione della parola di Cristo, a conformarsi a lui allo scopo di pensare e agire come lui. Essi impareranno che i contorni del volto del Padre sono adombrati dalle parole che Cristo ha pronunciato nel suo ministero pubblico. I missionari devono radunare le comunità che sono nate dal loro lavoro apostolico e insegnare a cogliere in se stesse la potenza energizzante del Risorto e a sentire la gioia di essere rigenerati nuovamente e rallegrarsi di essere diventati figli di Dio.
I missionari saranno capaci di generare nuove comunità di fede e aiutarle a crescere solo se essi stessi previamente sono stati capaci di ritirarsi nelle loro «camere private», e lì sono stati capaci di percepire la presenza del Cristo risorto. Una osmosi spirituale con la ricchezza di Cristo renderà capaci tali missionari a trasmettere alle comunità cristiane la grandezza della misericordia del Padre.
di Antonio Magnante
(continua)
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Antonio Magnante
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