In Vaticano, nel marzo scorso, si sono riuniti gran parte dei vescovi delle aree calde del mondo. Quelle zone nelle quali la fede cristiana è messa a dura prova. I prelati, provenienti da Egitto, Siria, Iraq, Libano, Giordania, Palestina, Israele, Cipro, Gibuti, Somalia, Yemen e Penisola Araba, incontratisi con Papa Francesco si sono uniti nella preghiera ricordando una suora martire, la missionaria della Consolata suor Leonella Sgorbati che verrà proclamata beata il 26 maggio 2018 a Piacenza.
Suor Leonella fu uccisa a Mogadiscio nel 2006. Dall’ottobre 2008, la sua croce è conservata nella basilica di San Bartolomeo sull’Isola a Roma, consacrata alla memoria dei nuovi martiri del XX e del XXI secolo.
Una suora specializzata in scienze infermieristiche e ostetricia
Suor Leonella, al secolo Rosa Maria Sgorbati, nacque nel 1940 a Rezzanello di Gazzola, in provincia di Piacenza. Nella provincia emiliana trascorse la giovinezza. Per un breve periodo visse con la famiglia anche nella periferia milanese, dove il padre Carlo, agricoltore, si era trasferito per migliorare la situazione economica della famiglia. Rosa Maria, però, non contenta del soggiorno milanese, tornò presto al suo paese.
A 16 anni compiuti espresse in una confidenza alla madre il proposito di partire per la missione, ma la mamma le propose di attendere fino a quando non avesse compiuto i 20 anni. Rosa Maria aspettò, e quattro anni dopo entrò nell’ordine delle suore missionarie della Consolata cambiando il suo nome in suor Leonella.
Entrò tra le missionari della Consolata nel 1963 per emettere i primi voti nel 1965. Fu destinata in Gran Bretagna dove, per due anni, dal 1966 al 1968, studiò da infermiera. La sua prima missione africana fu il Kenya, paese nel quale arrivò nel 1970 per rimanervi, con qualche breve interruzione, fino al 2001. In Kenya prestò il suo servizio sia presso il Consolata Hospital Mathari, a Nyeri, sia al Nazareth Hospital di Kiambu vicino a Nairobi. In questi ospedali lavorava soprattutto come ostetrica. Corre voce che abbia fatto nascere ben 4.000 bambini.
La sua specializzazione in scienze infermieristiche proseguì poi nel 1983, cosicché nel 1985 suor Leonella fu riconosciuta come la più importante tutor della scuola infermieri incorporata al Nkubu Hospital, a Meru. E si dimostrò un’insegnante di indiscutibile valore formativo: non si limitava a fare lezioni solo di natura accademica, ma instaurava con le singole allieve rapporti umani sinceri e profondi per infondere loro coraggio e incitarle sempre al bene.
Nel novembre del 1993 fu eletta per sei anni superiora delle suore missionarie della Consolata in Kenya. Suor Leonella, come organizzatrice di scuole di infermieristica e ostetricia, fece spesso anche la spola tra il Kenya e la Somalia, anche prima del suo trasferimento del 2001. Prestava servizio presso i malati dell’ospedale pediatrico di Mogadiscio, e progettò una scuola infermieri presso l’ospedale diretto e gestito dall’organizzazione SOS Children’s Village.
Grazie all’iniziativa di suor Leonella, la scuola infermieri di Mogadiscio prese vita nel 2002. Quattro anni dopo ne uscirono le prime 34 infermiere, certificate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’Istituto fondato dalla suora non poté essere riconosciuto dal governo somalo, in quanto l’assetto istituzionale del paese era praticamente assente per via della spietata guerra civile in atto da 10 anni.
La realtà politica e sociale della Somalia era contrassegnata da anarchia, carestie, morti senza numero, campi profughi, banditismo e da un fondamentalismo religioso che prendeva di mira soprattutto i missionari cattolici, specie se bianchi. Nonostante queste oggettive difficoltà, i progetti di suor Leonella non conobbero mai interruzione. Lei desiderava formare altri insegnanti per la scuola infermieristica e di ostetricia. Fece ritorno in Kenya con tre nuove infermiere diplomate, al fine di iscriverle poi a un corso della scuola di formazione sanitaria. Dopo questi lieti avvenimenti, non riuscì a ottenere il visto per rientrare in Mogadiscio a causa delle restrizioni imposte dal governo islamico locale. Dovette aspettare il 13 settembre del 2006 per rimettere piede a Mogadiscio. Quattro giorni dopo, il 17 settembre, fu assassinata a colpi d’arma da fuoco a pochi passi dall’ospedale pediatrico, insieme alla sua guardia del corpo.
Le indagini avrebbero ipotizzato poi, senza poter però provare in modo evidente tali supposizioni, che l’omicidio fu una rappresaglia in seguito alla lezione tenuta da papa Benedetto XVI a Ratisbona il 12 settembre, durante la quale pronunciò frasi considerate offensive dal mondo islamico. In diversi paesi a maggioranza musulmana esplosero proteste. La tensione era alta anche nella capitale somala, dove le cosiddette corti islamiche, gruppi di formazione estremista, erano pronte a fare stragi di cristiani e lo sceicco Abubukar Hassan Malin esortò a «dare la caccia» e uccidere il Pontefice. Raccontano a tal proposito alcune consorelle di suor Leonella: «Una mattina suor Leonella, che si alzava molto presto per pregare, disse sconvolta alle sorelle che si doveva pregare ed offrire molto per il Papa e per la Chiesa perché aveva sentito dalla radio che il mondo musulmano era in grande agitazione a causa di un discorso del Papa fatto a Ratisbona». Se quel discorso del papa fu il movente dell’omicidio di suor Leonella e del suo uomo di scorta non è mai stato accertato, né provato. Certo è, comunque, che poco tempo prima, quando il primo gruppo di infermiere aveva conseguito il diploma, alcuni fondamentalisti islamici avevano accusato suor Leonella di proselitismo.
Il giorno dell’omicidio
Suor Leonella, il giorno in cui fu uccisa, stava tornando a casa dall’ospedale. La sua casa era poco distante. Era circa mezzogiorno. Suor Leonella uscì dall’edificio, sorrise a Mohamed, la guardia del corpo che la stava aspettando per accompagnarla e proteggerla, e si avviò verso casa. Dopo pochi passi, a pochi metri di distanza dalla sua abitazione, si udì un primo sparo. La guardia cercò di reagire, ma fu colpita anch’essa. La suora tentò di ritornare verso l’ospedale, ma fu colpita di nuovo, le forze la abbandonarono e si accasciò sulla strada. In quel mentre sibilarono nell’aria altri 7 colpi che ferirono a morte la suora e Mohamed Mahmud, musulmano, padre di quattro figli. Suor Leonella, che ebbe il cuore lacerato da una pallottola, si stava dissanguando. Fu trasportata immediatamente in sala operatoria, ma le cure prestatele non sortirono a nulla, nonostante molti somali facessero a gara nel donarle il sangue, sapendo che lei era solita donare ogni 3 mesi il suo per gli ammalati dell’ospedale. Essa spirò, tenuta per mano da una consorella, suor Marzia Ferra, che le sentì sussurrare, mentre sudava freddo e le forze la stavano abbandonando, con una flebile voce, per 3 volte, la parola: «Perdono». Aveva 66 anni. I suoi due assassini appartenevano all’Unione delle corti islamiche, gruppo estremista musulmano che mirava a conquistare il governo del paese e imporre la Shari’a, la legge islamica. Il vescovo di Djibouti, mons. Giorgio Bertin, francescano, incaricato del processo di beatificazione di suor Leonella, in conseguenza della morte violenta della suora e della sua guardia del corpo musulmana, disse: «La morte di un’italiana e la morte di un somalo. La morte di una europea, la morte di un africano. Una bianca, uno nero. La morte di una cristiana e la morte di un musulmano. La morte di una donna e la morte di un uomo. Questo ci dice che è possibile vivere insieme, se insieme è anche possibile morire. Vivere insieme nella speranza di un mondo migliore».
Come si consumò il delitto
Il delitto si sarebbe consumato in questa maniera: due uomini erano nascosti dietro un taxi, vedendo la suora uscire dall’ospedale, le spararono alla schiena. Le suore all’interno dell’ospedale si erano stupite a sentire gli spari, perché da tempo non avveniva più qualcosa di violento. Fu un ragazzo somalo che corse dentro ad avvertire dell’agguato. Le suore si precipitarono fuori e subito soccorsero la loro consorella immersa in una pozza di sangue, a pochi metri dal cancello della scuola dell’ospedale. Da alcune testimonianze emerse poi che le guardie dell’ospedale risposero al fuoco dei terroristi, i quali ebbero il tempo di scappare. Tutto avvenne nell’arco di pochissimi minuti. Una volta in sala operatoria, distesa su un lettino, suor Leonella perdeva sangue. Nonostante le trasfusioni effettuate con 4 o 5 sacche di sangue, il chirurgo che aveva disposto di trasportarla in aereo verso l’ospedale di Nairobi, disse alla fine che non c’era più niente da fare.
Un susseguirsi di omicidi di cristiani in terra somala
Questo duplice omicidio (della suora e della sua guardia del corpo) arrivò dopo altre uccisioni di italiani, sia di volontari laici, sia di personale religioso in Somalia: Graziella Fumagalli, medico, uccisa il 22 ottobre 1995 nel Centro antitubercolosi della Caritas Italiana a Merca; Annalena Tonelli, uccisa da estremisti islamici il 5 ottobre 2003 a Borama, dopo 33 anni di dedizione agli ultimi; il vescovo Salvatore Colombo, francescano, ucciso il 9 luglio 1989 a Mogadiscio durante la messa.
Alcuni aneddoti biografici di suor Leonella
Nell’aprile del 1952 Rosa si sentì «abitata» dal Signore, e se ne innamorò. Il fatto avvenne in una cappella del collegio di suore dove fu mandata dalla famiglia dopo la morte del padre Carlo. Aveva ricevuto in dono, un giorno, dalla direttrice di quel collegio un libricino, il Vangelo. Lo sfogliò, lo lesse e ne fu letteralmente presa.
Una volta entrata nella famiglia religiosa delle Suore missionarie della Consolata in una loro casa del Cuneese, tutti constarono come la giovane professa si rivelasse sin dall’inizio di carattere schietto e aperto, dinamico e attivo, sempre sorridente, allegra, affabile e generosa, intelligente e di prontissima memoria.
Dopo la vestizione e aver assunto il nome nuovo di suor Leonella, trascorse il noviziato a Nepi, in provincia di Viterbo. Il 22 novembre 1965 emise la prima professione religiosa. Destinata in Inghilterra per intraprendere gli studi infermieristici, nel 1969 conseguì il diploma di State Enrolled Nurse e l’anno successivo concluse la prima parte del corso di Midwifery.
Quando poi fu trasferita in Kenya, suor Leonella pronunciò queste testuali parole nell’affrontare quel periodo di adattamento e inculturazione: «Era un po’ come calzare scarpe nuove che, fino a quando non prendono la forma del piede, stringono e fanno male, ma poi, per fortuna, diventano comodissime».
La grande capacità di suor Leonella nel formare in modo qualificato le sue allieve infermiere e future ostetriche sta, per esempio, nella testimonianza di una giovane tirocinante: «Dio è buono come una mamma. Voi missionari e tu, in particolare, ce lo fate capire».
Riguardo al suo amore per il fondatore Giuseppe Allamano e per la Madonna Consolata, suor Leonella usava dire: «Bisogna avere tanta carità da dare la vita. Noi missionari siamo votati a dare la vita per la missione».
«Dovremmo avere per desiderio quello di servire la missione anche a prezzo della nostra vita. Dovremmo essere contenti di morire sulla breccia», diceva il fondatore dei missionari della Consolata, il beato Giuseppe Allamano. Suor Leonella passava il suo tempo a studiare la sua spiritualità per incarnarla nella propria vita. Negli scritti di suor Leonella, redatti in occasione della sua prima professione, è riportata questa affermazione: «Io spero che un giorno il Signore nella sua bontà mi aiuterà a darGli tutto o… se lo prenderà… Perché Lui sa che questo io realmente voglio». Il proposito di donarsi totalmente al Signore si concretizzava come ella scrisse ancora nel suo «dare tutto», nel suo «amare tanto», «amare tutti» e nel suo «perdonare sempre», anche quando tutto diventa più difficile e tocca le corde più intime e più fragili dell’animo umano.
A scuola e in ospedale le consorelle la vedevano sempre operativa, instancabile, in grembiule e con le maniche rimboccate. Erano dieci anni che la popolazione in Somalia aspettava una scuola di formazione sanitaria qualificata per la preparazione professionale di infermieri e ostetrici, suor Leonella realizzò questo sogno, tenendo conto in particolar modo della convivenza con i musulmani: era infatti necessario dimostrare che le nozioni scientifiche che lei offriva non erano contro il Corano. Bisognava convincere i ragazzi e l’ambiente in generale che lei non faceva proselitismo, anzi, che rispettava e valorizzava il dialogo interreligioso.
Eppure c’era chi non lo credeva e pensava che suor Leonella usasse la scuola per convincere i giovani e farsi cristiani. Le suore avvertivano una sensazione di disagio, ma non sospettavano che il pericolo fosse dietro la porta. Alcuni gruppi di somali, islamici estremisti, stavano sobillando la gente contro i cristiani, e contro le suore, insinuando il dubbio che con la scusa di formare degli infermieri, si stavano al contempo catechizzando gli allievi al cristianesimo.
Molte testimonianze riferiscono che suor Leonella fosse sempre pronta al sorriso, tanto che alcuni le domandavano sopresi: «Perché sorridi anche a chi non conosci?», e lei subito rispondeva: «Perché così chi mi guarda, sorriderà a sua volta. E sarà un po’ più felice!».
Anche in terra di Somalia, dove la guerra civile imperversava, e ovunque si poteva incappare in una situazione di grave pericolo, usava dire alle sue consorelle: «C’è una pallottola con scritto sopra il mio nome e solo Dio sa quando arriverà». Il suo eroico coraggio era sostenuto da quest’altra affermazione: «La mia vita l’ho donata al Signore e Lui può fare di me ciò che vuole».
Suor Leonella scriveva nel suo diario: «La missione Somalia è ciò che Tu mi chiedi ora. Ti dono la mia vita in Tutto e per Tutto come Tu desideri… Mi chiami ad amare Te, ad amare le Sorelle, ad amare la gente, i Fratelli dell’Islam… Possiedimi Signore e ama in me… che io sia una cosa sola in te e Tu possa donare la gioia di sentirsi amati da Te».
«Dare consolazione oggi – scriveva suor Leonella in una lettera alle consorelle negli anni in cui era superiora regionale in Kenya – significa accogliere che il Figlio sia libero in ciascuna di noi, in me, libero di perdonare attraverso la mia persona a chi mi reca offesa, libero di amare attraverso di me con l’Amore più grande, l’Amore che va fino alla fine, che è più forte dell’odio e dell’inferno».
Da una testimonianza di una consorella emerge un episodio che aveva coinvolto emotivamente suor Leonella: «Negli anni ’90 in Kenya perdurava una grande instabilità politica caratterizzata da gravi disordini e uccisioni con l’espulsione violenta di tribù da territori di altre tribù. Nel 1997 la nostra parrocchia di Likoni-Mombasa era diventata punto di riferimento e rifugio per famiglie intere di profughi riversatisi nel “compound” della chiesa. I missionari e le sorelle si erano organizzati per dare aiuto e protezione alla gente, chiedendo anche l’aiuto della Polizia. In quell’emergenza suor Leonella era arrivata da Nairobi per sostenerci e aiutarci nel prestare assistenza alla popolazione sfollata, sapendo che, a causa della violenza scatenatasi, il rimanere lì comportava rischiare la vita. Quando Suor Leonella dovette ripartire per Nairobi noi la salutammo all’ingresso della missione, il mattino presto. Il giorno dopo la sua partenza, presso il portone di entrata alla missione, ci fu una sparatoria che causò la morte di vari civili. Erano le 7:30 circa del mattino, la stessa ora, lo stesso luogo in cui, il giorno precedente, noi ci si trovava lì a salutare Suor Leonella. Informata poi dell’accaduto, commentò con quella sua disarmante naturalezza: «Se fosse successo ieri quando ci trovavamo proprio lì, avremmo potuto salvare, con la nostra vita, quella di altre persone».
Suor Leonella era consapevole che il suo personale obiettivo di vita era quello di spendersi per gli altri, perciò usava ripetere: «Non abbiamo che una vita da donare, doniamola senza esitare: chi dà la sua vita la ritroverà. Dopo la nostra morte solo l’amore sopravvivrà».
Il perdono, cuore della sua vita
Una suora tanzaniana, suor Redenta Nabei, ha condiviso un’esperienza di perdono vissuta grazie all’aiuto di suor Leonella: «Nell’anno 2000, mio fratello Andrea fu ucciso da un gruppo armato, sulla strada che va dal mio villaggio, Baragoi, verso Maralal in Kenya. Una città distante 110 km. Io mi trovavo in una delle comunità delle Missionarie della Consolata in Kenya, quando ricevetti questa dolorosa notizia. Accompagnata dalle mie consorelle, partii verso Maralal per prendere parte al funerale. Con mia grande sorpresa, quando arrivai, Andrea era già stato seppellito nel cimitero dei musulmani. Questa notizia fu per me e per mia mamma, anche lei appena arrivata, motivo di grandissimo dolore. La decisione era stata presa da mio fratello maggiore, convertito all’islam da nove anni. Mia mamma rimase sconvolta perché il tutto era stato fatto senza il suo consenso e all’insaputa di mio padre, rimasto a casa per motivi di salute. Lei voleva a tutti i costi riprendere la bara dal cimitero musulmano e portarlo nel nostro villaggio, nel cimitero cristiano, dove avrebbe potuto visitarlo in qualunque momento. Io, comprendendo benissimo i sentimenti della mamma e degli altri miei fratelli e sorelle, non sapevo come consolarli perché anch’io mi trovavo nella stessa situazione di dolore. Insieme alle mie consorelle e familiari, partimmo verso il cimitero dei musulmani, con la speranza che ci lasciassero almeno entrare per pregare sulla tomba di Andrea. Io avevo poca speranza, sapendo che la maggior parte di noi eravamo donne, suore e cristiane. È stato proprio a questo punto che suor Leonella mi è stata di grande aiuto, con il suo coraggio, speranza e certezza, sentimenti che potevo ben leggere nei suoi occhi. Al nostro arrivo nel cimitero mio fratello maggiore, i suoi amici musulmani ed i capi religiosi erano lì ad attenderci. Suor Leonella chiese gentilmente se potevamo entrare. Il capo rispose che era impossibile, anzitutto perché eravamo donne e neppure le loro donne hanno questo permesso. Inoltre, ci dissero, loro avevano già fatto tutto: riti e preghiere secondo la loro fede; la nostra presenza avrebbe rovinato tutto! Suor Leonella con serenità rispose loro: “La nostra preghiera non pretende togliere nulla di ciò che avete fatto. Anzi pregheremo nella lingua che voi capite bene”. Finalmente ci lasciarono entrare a condizione che la sosta fosse breve e nessuno piangesse. Suor Leonella guidò la preghiera, semplice ma profonda. Prima di partire suor Leonella invitò mio fratello con i suoi amici musulmani a partecipare all’Eucaristia che sarebbe stata celebrata subito dopo, chiedendo il riposo eterno del mio fratello Andrea. Essi accettarono e rimasero in fondo alla Chiesa. Dopo tutto quanto avevamo vissuto non mi era facile perdonare mio fratello. Suor Leonella mi invitò a farlo dicendomi: “Lo so che è molto difficile parlartene ora ma è proprio in questo momento che il tuo perdono diventerà un grande dono per tuo fratello. Anche lui sta soffrendo cercando il perdono da voi. Egli ha fatto ciò che secondo lui era meglio. La terra dove Andrea è stato seppellito è la stessa terra dove voi lo avreste seppellito. Ricordati: Dio, per accettarci in Paradiso, non tiene in conto in quale cimitero uno è stato seppellito. Tutti siamo suoi”. Suor Leonella mi ha aiutata a vedere come il mio perdono avrebbe aiutato gli altri membri della mia famiglia a perdonare e come questo gesto sarebbe stato un dono di pace per i miei genitori, sorelle, fratelli e parenti tutti. Lei mi diceva ancora: “Sei tu che devi cominciare a fare questo gesto di perdono, non aspettare che tuo fratello si scusi, ma offri a lui il perdono. Costa, ma sarà un dono prezioso per lui e per tutti”. Suor Leonella mi ha insegnato ad offrire il perdono, a non attendere, a non aspettare tempi fissi. Il tempo è adesso. Mi ha insegnato che il perdono è la forza dei coraggiosi, di tutti quelli che credono nel Dio Misericordioso. Che il perdono è lo strumento della pace. In questo mondo di oggi, distrutto dalla guerra. In questa società dove tendiamo a separarci o ad allontanarci l’uno dall’altro, la realtà del perdono è fondamentale per creare rapporti di pace. Oggi possiamo dire che il perdono è il cuore dell’amore, senza il quale è impossibile dare ossigeno alla vita. Suor Leonella è stata e continua ad essere un dono per noi. Lei è il perdono personificato».
Considerazioni a caldo della postulatrice Suor Renata Conti
«Il 17 settembre del 2012 è caduto il 6° anniversario del martirio di suor Leonella Sgorbati, avvenuto a Mogadiscio nel 2006. Il servizio di Postulatrice del processo di riconoscimento del martirio di suor Leonella Sgorbati che mi è stato richiesto dalla direzione Generale, mi ha animato a ricercare il perché del martirio cristiano oggi, in una società che si dice pluralista e aperta a tutte le espressioni di religiosità, ed ho pensato che, se la contraddizione della Croce, del dono di sé fino all’effusione del sangue è ciò che fa paura all’uomo e alla donna di oggi, varrebbe la pena impegnarsi per dimostrare che la santità è possibile ed è più che mai visibile nei membri della chiesa, anche oggi».
«Suor Leonella era una donna innamorata di Dio Padre, di Gesù Eucaristico e di Maria. Durante lo scorrere dei giorni Suor Leonella fu particolarmente e gradualmente attratta dal e nel mistero eucaristico, e Gesù Eucaristia le concesse speciali grazie di intima unione, fino al punto di sentirsi una cosa sola con Lui, secondo le parole stesse di Gesù: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me” (Gv. 6, 56-57). Una cosa sola in amore. Diceva: “Se il Suo corpo e il mio sono una cosa sola, se il Suo sangue e il mio sono una cosa sola, allora è possibile essere sempre in Lui dono d’amore, dono di Lui, per tutti. Sempre, in ogni momento! Allora è possibile testimoniare, sempre che Lui c’è e ci ama”. Da quel giorno la sua preghiera fu una continua intercessione a Maria Consolata perché l’aiutasse a essere “fedele” a questa indescrivibile grazia. Fu proprio nel vivere da questa esperienza e in questa esperienza che Suor Leonella percepì chiaramente la chiamata di Gesù a vivere il mistero eucaristico fino alla fine, fino al dono della vita, fino allo spargimento del sangue, come Lui. “Nessuno ha un amore più grande di questo…” (Gv. 15,13). E a questo invito rispose con il suo Sì d’amore. Non sapeva come questa chiamata si sarebbe concretata; era sicura però che si trattasse del dono della sua stessa vita, in maniera radicale e in un tempo breve. E lei ha detto il suo Sì, e quando fu colpita a morte le sue ultime parole, non potevano essere se non quelle di Gesù, “Perdono!”. L’ultima volta che è ritornata in Somalia è partita dal Kenya, così dicono le sorelle, con questa certezza: Il Signore la chiamava a dare la vita! Il martirio di Suor Leonella non fu un evento improvvisato, ma fu il compimento di un desiderio durato una vita intera».
«Il nostro Istituto ha letto, nel Martirio di Suor Leonella, un richiamo forte del Signore alla fedeltà alla Missione, anche a costo della vita. Alla luce delle parole del nostro Fondatore, che ci esortava: “Dovremmo avere per voto di servire alla Missione anche a costo della vita. Dovremmo essere contente di morire sulla breccia… Quando farete i voti ricordatevi che in mezzo i tre voti c’è pure questo quarto voto”».
Che cosa hanno detto i papi su suor Leonella
Questa suora «che da molti anni serviva i poveri e i piccoli in Somalia», disse all’Angelus del 24 settembre 2006 Papa Benedetto XVI, «è morta pronunciando la parola “perdono”: ecco la più autentica testimonianza cristiana, segno pacifico di contraddizione che dimostra la vittoria dell’amore sull’odio e sul male».
Durante l’Udienza privata del 5 giugno 2017, Papa Francesco così si rivolgeva alle Capitolari MC e ai Capitolari IMC: «La storia dei vostri Istituti, fatta – come in ogni famiglia – di gioie e di dolori, di luci e di ombre, è stata segnata e resa feconda anche in questi ultimi anni dalla Croce di Cristo. Come non ricordare i vostri Confratelli e le vostre Consorelle che hanno amato il Vangelo della carità più di sé stessi e hanno coronato il servizio missionario col sacrificio della vita? La loro scelta evangelica senza riserve illumini il vostro impegno missionario e sia d’incoraggiamento per tutti e tutte a proseguire con rinnovata generosità nella vostra peculiare missione nella Chiesa».
I primi passi relativi al processo di beatificazione di suor Leonella:
Il 4 aprile 2012 la Direzione generale MC nominò suor Renata Conti postulatrice per la causa di canonizzazione di suor Leonella Sgorbati.
Il primo passo realizzato da suor Renata fu di raccogliere e sistematizzare la documentazione che riguardava la «fama di martirio e di segni» di cui godeva suor Leonella.
Il giorno 25 Settembre 2012 mons. Giorgio Bertin, vescovo di Djibouti e amministratore apostolico di Mogadiscio, diede inizio ufficiale al percorso dell’inchiesta diocesana con la s. Messa celebrata nella cappella MC di Nepi, con la partecipazione numerosa di consorelle e confratelli e con un intervento di mons. Romano Rossi, vescovo di Civita Castellana, che metteva in risalto la «forza trainante ed incisiva» della testimonianza la quale, come grazia, scaturisce da una beatificazione in una comunità religiosa od ecclesiale.
Madre Simona Brambilla, superiora generale, a nome dell’Istituto, e accompagnata dalla postulatrice suor Renata Conti, lesse il Supplex libellum. Bertin rispose con il seguente messaggio: «Con immensa gioia e gratitudine verso Dio, accolgo la vostra domanda di dare inizio all’inchiesta diocesana per il riconoscimento del martirio di suor Leonella Sgorbati, uccisa nella mia giurisdizione ecclesiastica, in Somalia; la sua vita e il suo martirio nel segno del perdono ci sono di esempio e di motivo per dare inizio al cammino di verifica e di ricerca attraverso le testimonianze e lo studio dei documenti allegati al dossier. Possa lo Spirito di Dio illuminare e sostenere quanti saranno impegnati nel portare avanti l’inchiesta diocesana».
In seguito, suor Renata Conti, presentò a mons. Bertin il dossier con i documenti raccolti dal 2006 e contenenti la fama di martirio e di segni necessari per dare inizio alla causa del riconoscimento del martirio in odium fidei.
Da settembre 2012 a settembre 2013 mons. Giorgio Bertin, in collaborazione con la postulatrice, prepararono tutto ciò che concerneva l’organizzazione del tribunale per l’inchiesta diocesana.
Il 16 ottobre 2013 a Djibouti, sede della diocesi di Djibouti e di Mogadiscio, si diede inizio alle sessioni di apertura dell’inchiesta che si concluse il 15 gennaio 2014.
Il 19 settembre 2014 è stato emanato dalla congregazione delle cause dei santi il decreto della validità giuridica dell’inchiesta diocesana.
Il 7 aprile 2016 la postulatrice ha consegnato la positio alla congregazione delle cause dei santi.
Il 6 aprile 2017 il congresso dei teologi ha dato il suo giudizio sul martirio in odium fidei della serva di Dio suor Leonella Sgorbati ottenendo la totalità dei voti favorevoli.
Il 17 ottobre 2017 il congresso dei cardinali e vescovi ha dato il giudizio unanimemente positivo.
Per approfondire: http://leonellasgorbati.blogspot.it/
di Nicola Di Mauro