Ti chiamano pure a benedire il gatto che sta morendo (estrema unzione?), oppure a sgridare quel «giovinastro» che a casa e a scuola sta combinando disastri, ma anche, per fortuna, a un incontro missionario in una parrocchia o gruppo.
I giovani considerano il prete più un amico che un «ponte tra Dio e l’uomo», ma nello stesso tempo ammirano la sua scelta decisa, appassionata e «per sempre» per Dio. Non credono più di tanto che siamo poveri, obbedienti e, soprattutto, casti, ma vedono che il missionario è davvero lì per Dio e per la gente, soprattutto poveri e disadattati. Osservano i nostri più semplici gesti: per esempio quando usi il cellulare e scrolli i messaggi whatsapp, o rispondi al telefono. Se lo fai troppo spesso, vuol dire che sei altrove, non sei con loro, anche se, magari, stai rispondendo all’amico assente che ti sta dicendo che arriva in ritardo, oppure all’adulto rompi scatole che vuole sapere perché l’incontro è stato spostato!
Quale missione però?
Papa Francesco, ai nostri confratelli che partecipavano al capitolo generale dei Missionari della Consolata nel maggio scorso, ha detto: «Mentre con gioia ringrazio il Signore per il bene che voi andate compiendo nel mondo, vorrei esortarvi ad attuare un attento discernimento circa la situazione dei popoli in mezzo ai quali svolgete la vostra azione evangelizzatrice. Non stancatevi di portare conforto a popolazioni che sono spesso segnate da grande povertà e da sofferenza acuta […]. Lasciatevi continuamente provocare dalle realtà concrete con le quali venite a contatto e cercate di offrire nei modi adeguati la testimonianza della carità che lo Spirito infonde nei vostri cuori».
In risposta a questo appello, di lasciarci «continuamente provocare dalle realtà concrete», e in continuità con il lavoro già svolto in passato, il capitolo generale ha prodotto i progetti missionari continentali (cfr MC ottobre 2017). Come per dire: voi missionari in Africa dovete essere e fare certe determinate cose; voi in America Latina altre cose, ecc. Il progetto missionario per l’Europa prevede alcune priorità:
• un impegno deciso verso i migranti, rifugiati e categorie sociali emarginate;
• il lavoro con i giovani, soprattutto quelli che sono lontani e spesso dimenticati;
• l’animazione missionaria e vocazionale, per tener vivo il fuoco missionario nelle diocesi;
• il lavoro nelle parrocchie, soprattutto nelle periferie;
• l’impegno creativo e qualificato nei mezzi di comunicazione come per esempio nelle riviste «Missioni Consolata» e «Amico».
Queste priorità, in Italia, sono già realtà: 25 presenze con un esercito di 200 missionari di tutte le età e provenienze impegnati a realizzarle.
Prendersi cura
Se con il termine pastorale si intende il «prendersi cura», la pastorale giovanile è un prendersi cura delle giovani generazioni, un continuo generare. Generare, cioè dare vita, spiritualmente, socialmente e umanamente. Noi missionari in Italia siamo abituati a parlare di animazione: dare anima, movimento, nuovo slancio, scaldare. Tramite le attività di animazione missionaria e vocazionale sono tanti i giovani, parrocchie, adulti, gruppi che conoscono i missionari della Consolata, e si scaldano attorno al fuoco della missione con percorsi formativi, esperienze in missione, o la semplice presenza dei nostri padri, fratelli, suore e laici. Molti sono i missionari che «si prendono cura» dei giovani, famiglie, bambini e anziani. Molteplici sono le iniziative che vengono realizzate per tener vivo lo spirito missionario nella chiesa locale e per sostenere le comunità. Alcuni dei nostri missionari hanno fatto di questo la ragione della loro vita. È una vocazione altissima, quella di dare anima dove è andata persa o si è indebolita.
«I ragazzi sono come i polmoni…»
«I ragazzi sono come i polmoni, portano il respiro nel mondo. Risentono immediatamente dell’inquinamento che sta attorno, ma sono i primi segnalatori dell’aria fresca in arrivo», ecco perché ci chiedono autenticità. Se parliamo di Cristo, dobbiamo essere di Cristo, se parliamo di accoglienza, dobbiamo accogliere, se diciamo di essere gente di comunione, dobbiamo dimostrarlo. C’è poco da fare. È una grammatica essenziale ed è quello che Gesù ci chiede.
La cura dell’ambiente umano che i nostri giovani frequentano è di importanza enorme. Essi hanno bisogno di vivere in un contesto di relazioni forti e significative, tra di loro e con gli adulti, sia laici che consacrati. Inutile dire che le relazioni sono alla base della comunità educante. Nelle nostre comunità quindi vanno coltivate le relazioni prima di ogni programma fatto a tavolino e di ogni astratto orientamento pastorale.
Nel cammino che ci attende dopo il capitolo generale, inseriti anche nel percorso della Chiesa che si prepara per il sinodo dei vescovi sui giovani, «ci interroghiamo con fiducioso ottimismo, pur senza sottovalutare i problemi. Non ci seduce certo la prospettiva ingenua che, di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, possa esserci una formula magica. No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: io sono con voi!» (Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, n. 29).
«Un’ansia» vocazionale
L’aspetto vocazionale si inserisce nella grande cornice della pastorale giovanile. Come missionari della Consolata in Europa abbiamo tre case di formazione: a Roma, Lisbona e Alpignano (Torino). In totale sono 35 seminaristi, due latinoamericani, gli altri africani. Le vocazioni italiane o europee scarseggiano, e il vuoto si sente.
Benché sappiamo bene che le vocazioni non sono un nostro merito ma un dono del Signore, viviamo «un’ansia» vocazionale che non ci aiuta a essere oggettivi nella lettura della realtà e dei giovani. Così non riusciamo a dare risposte adeguate e a creare percorsi che aiutino i giovani a discernere la loro vocazione.
Non si tratta di inventare un nuovo programma: «Il programma c’è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra […] in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste» (Nmi, 29).
Per la nostra pastorale giovanile, come per il resto delle nostre presenze in Italia, è in gioco la nostra chiamata personale e la vita delle nostre comunità che deve essere autentica e fraterna, la nostra spiritualità e attaccamento al Signore, l’amore alla gente e la sollecitudine che va al di là delle simpatie. Al di là delle tecniche e strategie di pastorale vocazionale e giovanile, è l’esempio che dice ai giovani che possono investire la loro vita al seguito del Signore che sì, chiede molto, ma molto promette.
Finché i giovani ci vedranno ansiosi, disorganizzati, insoddisfatti e in lotta, non sapranno apprezzare la nostra chiamata. Quando ci vedranno impegnati ma sereni, entusiasti e dunque significativi, sapranno che il Signore è vivo e operativo in mezzo a noi e risponderanno di sicuro alla «sublime» chiamata ad essere missionari del Vangelo, del suo amore e missione.
di Nicholas Muthoka
Leggilo, scaricalo, stampalo da MC marzo 2018 sfogliabile.
Nicholas Muthoka
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