«Con oltre 250mila cittadini stranieri provenienti da 160 differenti nazioni, il capoluogo lombardo è da tempo in linea con l’evoluzione di tutte le grandi metropoli europee e occidentali. Questo libro tenta di tracciare una mappa della Milano multietnica del terzo millennio»1.
È un libro che si legge con piacere. Scritto bene, ben organizzato (e quindi facilmente consultabile), pieno d’informazioni e anche di aneddoti e curiosità, e addirittura di ricette.
La Milano multietnica descritta dagli autori Donatella Ferrario e Fabrizio Pesoli è una città ricca di storia perché ricca di storie, quelle «dei nuovi milanesi – si legge nel risvolto di copertina -: gli immigrati che, ormai da diverse generazioni, hanno intrecciato la loro cultura di origine con quella della società che li ha accolti».
Storie di comunità
Ogni capitolo parla di una «comunità straniera» raccontandone la presenza in città, dalle origini a oggi. Si viene a scoprire ad esempio che il primo gruppo di cinesi, composto da alcune decine di venditori ambulanti «di collanine e chincaglierie», tutti maschi, si stabilì tra le vie Canonica, Bramante e Paolo Sarpi verso la fine degli anni ’20, e che la maggior parte di loro non proveniva direttamente dalla Cina, ma da Parigi, dove si erano trasferiti durante la Prima Guerra Mondiale, quando la Francia aveva reclutato circa 140mila lavoratori cinesi e indocinesi da impiegare nell’industria bellica. Si viene a sapere anche che l’attuale comunità bengalese in Italia è la seconda in Europa dopo quella del Regno Unito, nonostante la sua presenza sia iniziata solo dopo il 1990, e che i suoi settori di impiego – dopo l’iniziale gavetta che generalmente avviene nella vendita ambulante di bigiotteria, ombrelli, oggettistica e fiori – sono l’industria (28,3%), il commercio (26,9%), i servizi alberghieri (20,2%) e che in essa è molto diffusa l’impresa privata: nel 2014 erano 1.790 le imprese con titolari bengalesi nella sola Milano. Rispetto alla comunità rom e sinti si viene guidati attraverso i secoli per scoprire che i primi Rom arrivarono in Italia, probabilmente, nel XIV secolo, e che da subito furono, come oggi, oggetto di leggi e pratiche discriminatorie e persecutorie: il primo bando della città di Milano contro di loro fu del 1493, e la storia purtroppo si ripete.
Oltre alla descrizione dello sviluppo delle singole comunità straniere a Milano, il libro allarga lo sguardo alla storia dei loro paesi di provenienza, e quindi alle motivazioni – diverse nelle diverse fasi storiche dei singoli paesi – che hanno spinto in passato e spingono oggi molte persone a emigrare verso l’Italia: il regime oppressivo e violento dell’Eritrea, la guerriglia di Sendero Luminoso del Perù, la dittatura comunista di Nicolae Ceausescu e la povertà della Romania, e così via.
La parola ai «nuovi milanesi»
Il racconto storico viene poi arricchito dalla descrizione di usanze, piatti, feste, e da interviste a persone comuni o impegnate in associazioni culturali o di volontariato.
Nel capitolo dedicato alla presenza cinese ad esempio leggiamo le parole di Alessandro Cheung, giovane proprietario del ristorante Oren in zona Fiera e vicepresidente dell’Uniic (Unione imprenditori Italia Cina), che racconta: «Mi dicono: “Sai benissimo l’italiano”. E vorrei ben vedere… sono nato qui, e al liceo ci hanno fatto una testa così con la grammatica! […] Siamo una generazione fortunata perché abbiamo avuto degli apripista. Il mio bisnonno è arrivato a Milano da solo, negli anni ’20, poi nel ’60 mio nonno, mio papà nel 1970».
Le parole di Ardavast Serapian, padrone delle pelletterie Serapian, si trovano invece nel capitolo intitolato Armenia: «Mio padre era armeno, mia madre italiana, io sono nato a Milano e ho studiato alla Bocconi. L’armeno lo capisco un po’, ma non lo parlo perché in casa si usava l’italiano. […] Mio padre Stefano, nato in Turchia, era sfuggito ai massacri del 1915 (dei turchi ai danni degli Armeni, ndr) e dopo mille vicissitudini era giunto in Italia (all’età di 15 anni) con suo fratello Aramays nel 1922».
Dire «comunità» è altro da dire «stranieri»
Il criterio scelto dagli autori per decidere le 15 comunità di cui indagare la storia a Milano tra le 160 nazionalità presenti oggi è stato quello di selezionare le prime dieci per numero di immigrati nel 2015 – Filippine, Egitto, Cina, Perù, Sri Lanka, Romania, Ecuador, Ucraina, Marocco, Bangladesh -, più altre cinque particolarmente legate alla storia della città – Armenia, Senegal, Eritrea, comunità ebraica e comunità rom e sinti -.
Qui vale forse la pena di fare un breve ragionamento sui termini «immigrati» e «comunità etniche o straniere» spesso usate in modo interscambiabile, purtroppo anche nel libro di cui parliamo. Quando Milano multietnica cita il dato dei 250mila cittadini stranieri presenti in città, si riferisce agli «immigrati», a quelle persone cioè che sono prive della cittadinanza italiana. Quando invece parla delle «comunità etniche o straniere», si riferisce alle più ampie «comunità» di persone che hanno origini straniere ma che possono anche avere la cittadinanza italiana. La comunità, per esempio, filippina a Milano comprende sia immigrati filippini arrivati di recente e senza cittadinanza italiana, che persone con origini filippine che hanno la cittadinanza. Uno degli obiettivi (e dei meriti) di Milano multietnica è proprio quello di mettere l’accento sul fatto che molti degli «stranieri» che vivono nelle nostre città non siano affatto stranieri, ma italiani, e che le loro origini, magari lontane una, due o più generazioni, contribuiscono ad arricchire con le loro sfumature culturali quella del nostro paese. Questi cittadini italiani di origine straniera non sono contati tra i 250mila stranieri residenti nel capoluogo lombardo citati nel risvolto di copertina. L’Istat infatti, quando pubblica i dati sulla «popolazione straniera residente»2 nella città di Milano al 31-12-2015, ci informa che, su 1.345.851 residenti italiani e non, gli stranieri erano 254.522, e che in quest’ultimo numero non erano comprese le 6.820 persone che durante l’anno avevano acquisito la cittadinanza.
L’assenza di questa semplice, ma essenziale, puntualizzazione sui termini è, a nostro parere, l’unico limite che vale la pena segnalare in un volume che, per il resto, riesce invece molto bene nel suo intento di mostrarci la ricchezza storica, sociale, culturale della Milano di oggi.
Milano multietnica non è un faticoso dossier statistico sulle migrazioni, ma un testo gustoso e leggibile che offre un racconto originale sull’«altro» che fa ormai parte di un «noi» più ampio di quanto siamo soliti pensare.
Il libro
Donatella Ferrario, Fabrizio Pesoli, Milano multietnica, Meravigli editore, Milano 2016, 208 pagine, 15 Euro.
Note:
1- Dal risvolto di copertina.
2- http://demo.istat.it/str2015/index03.html
di Luca Lorusso
Da Missioni Consolata, gennaio-febbraio 2017, pp. 81-82.
Luca Lorusso
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