Caro Amico, l’altro giorno, passeggiando per le campagne, ho incontrato un uomo. Mi ha raccontato delle storie e, nella foga dell’ascolto, ho dimenticato di chiedergli la cosa fondamentale: il nome.
Mi è dispiaciuto molto, ma poi, riflettendoci, ho capito che forse il suo nome non era importante e per me è rimasto “quell’uomo”, “quel tale”.
In questo modo, mi sono detta, posso metterci il nome che voglio, magari anche il mio o il tuo. Quel tale mi ha raccontato quattro brevi, ma intense, storie. Ci siamo seduti in un campo, ho chiuso gli occhi e aperto le orecchie.
La zizzania e il campo bello
Molto tempo fa un signore possedeva un appezzamento di terra. Si prendeva cura ogni giorno dei suoi averi aiutato anche da altri lavoratori. Dopo aver seminato, passato qualche mese, incominciarono a crescere grano e zizzania assieme. I lavoratori, allora, dopo aver osservato, decisero di strappare la zizzania, per far crescere solo ciò che era buono. Il padrone del campo, invece, capace di vedere da un’altra prospettiva, impartì l’ordine di lasciar crescere entrambi e poi, una volta mietuto il campo, si sarebbe tenuto il grano buono e scartata la zizzania cattiva. I lavoratori stupiti dall’ordine del padrone cominciarono a mormorare. Il padrone, al contrario, si meravigliò del proprio campo e lo guardò con benevolenza. Non si focalizzò solo su ciò che era male, è mantenne la calma invitando i suoi lavoratori all’ascolto. E tra sè pensò: “Occorre accostarci al mondo con uno stile particolare”.
L’essenziale è invisibile agli occhi
“Quale stile?”, ho domandato io al tale, e lui ha risposto: “L’essenziale è invisibile agli occhi, non si vede che con il cuore”. A quel punto ho capito che il mio sguardo doveva essere profondo, verticale per cogliere la bellezza del campo. È stato così che il tale mi ha raccontato un’ulteriore storia, di un uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico, un uomo che aveva deciso di prendersi una pausa e di darsi ai piaceri del mondo di Caino seguendo la logica del consumismo, della fretta e del piacere immediato, del potere, della sopraffazione. Quest’uomo durante la strada incappò nei briganti. Passarono a fianco a lui un uomo di culto e uno di legge, ma lo lasciarono per terra. Solo un povero samaritano, scartato e odiato dalla maggior parte della gente, passandogli accanto lo vide ne ebbe compassione, gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino, poi lo caricò sulla sua cavalcatura e lo portò in un albergo e si prese cura di lui. “Vedi”, ha aggiunto il tale, “il pellegrino che andava verso Gerico non riuscì a centrare il bersaglio dell’esistenza. L’uomo di culto e di legge non si erano fatti intaccare dalla logica di Caino, ma nemmeno guardarono l’altro con occhi impreziositi. Il samaritano invece, uomo umile e semplice, vide ed ebbe compassione, guardò con il cuore, ebbe un sussulto interiore. Non bastano la legge e il culto, è necessario anche fasciare le ferite dell’altro”.
Senza fare rumore, ma facendo bene il bene
“Ma come posso fare ciò?”, ho domandato meravigliata dall’azione del Samaritano. L’amico senza nome allora mi ha risposto dicendomi che noi siamo il sale della terra. Basta scoprire la propria identità per capire che siamo già come il Samaritano. Non sono necessari gesti estremi. Siamo come il sale che, mischiato nell’acqua, si confonde, ma allo stesso tempo dà sapore. La testimonianza si gioca in modi differenti: c’è chi è sale e chi è la luce del mondo. È vivendo insieme alla massa, senza sbandierare la propria identità, che diamo sapore al regno. C’è chi è chiamato a stare sul candelabro e chi, invece, agisce quotidianamente nel mondo senza fare rumore, ma facendo bene il bene. È operando in questo modo che ci si contagia a vicenda di un “virus” bianco, positivo, gioioso, che attrae per lievitazione.
Guardare con benevolenza il mondo
Sempre più meravigliata delle parole di quel tale ho osato chiedere ancora una piccola questione. “Io sono il sale della terra, come posso mischiarmi senza rischiare di diventare insipida con il tempo?”. Quell’uomo si è alzato e ha disteso lo sguardo verso l’orizzonte più lontano, ha fatto un sospiro, ha spalancato gli occhi e mi ha detto: “Impegnati a guardare il mondo con benevolenza, utilizza un metodo, studia la realtà che ti circonda e opera nel rispetto delle leggi. Sul volto dell’uomo c’è l’immagine di Dio. E ogni qual volta viene schiacciata anche solo una piccola parte del volto di Dio, opponiti, senza rivoluzione, ma applicando lo sguardo del cuore, dando sapore a questo mondo”.
Solo allora sono riuscita a comprendere chi era quel tale.
di Ilaria Ravasi
Ilaria Ravasi
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