Decine di migranti in arrivo… e il paese che fa?
Venegono Inferiore è un piccolo paese alle pendici delle Prealpi varesine, non troppo distante da Varese, Como e Milano, dove molti giovani vanno per studiare, ma anche per divertirsi. Venegono Inferiore è conosciuto, nel mondo, perché qui c’è un campo di aviazione e la fabbrica di aerei Aermacchi, quella delle Frecce Tricolori, per intenderci. È famoso anche perché ospita un seminario diocesano, il più grande d’Europa e il secondo più grande del mondo.
Venegono è un paese di grandi lavoratori, di aziende e commercio, entrambi settori molto colpiti dalla crisi e che hanno costretto molte persone a chiudere la loro attività, non senza dolore. È anche un paese che ha sempre avuto una vita parrocchiale molto attiva, per i giovani e i meno giovani, una fede che ha sempre sconfinato, però, portando molti a impegnarsi non solo in chiesa, ma anche nel sociale e nella politica. Come tutti i paesi piccoli, è anche un posto dove la gente mormora molto e dove è difficile togliersi di dosso certe etichette o certi pregiudizi, un posto dove tutti sanno tutto, ma cosa sanno davvero, poi, non è, forse, la realtà.
È in questo piccolo paese che una domenica di luglio si è diffusa la voce che sarebbero arrivati 63 “migranti”. Qualcuno li ha definiti “clandestini”, altri “ospiti”, altri ancora “turisti”, o “profughi”. Tante definizioni, e forse nessuna che desse conto della complessità della situazione di chi arrivava. Tante definizioni per cercare di descrivere cosa sarebbe successo, o cosa era già successo, in quel piccolo e tranquillo paese. Infatti, in seguito alla richiesta del Prefetto di Varese, l’amministrazione comunale aveva accettato di ospitare sul proprio territorio, nella palestra dell’Istituto Superiore Don Milani (ex scuole medie) gestita dalla provincia di Varese, dei richiedenti asilo. La soluzione sarebbe stata temporanea (fino a fine agosto) per permettere poi alla scuola di riprendere regolarmente le proprie attività. Durante l’estate il prefetto, insieme ai sindaci degli altri comuni della Provincia, avrebbe cercato una soluzione per i richiedenti asilo. Quello che si auspicava era la divisione in piccoli gruppi (da 3 a 5 persone) ospitati nei diversi comuni della provincia piuttosto che mantenere un unico gruppo di maggiori dimensioni.
Molti sono stati gli articoli usciti sui periodici locali, sugli aspetti positivi e negativi di questa situazione. È stato convocato un consiglio comunale aperto a cui hanno partecipato anche esponenti politici di livello regionale e provinciale e molti cittadini, anche non di Venegono Inferiore, perché avvertivano, comunque, la situazione come un problema che riguardava anche loro. Molte sono state le critiche sia rispetto ai procedimenti amministrativi sia rispetto all’impegno di ogni amministrazione di garantire innanzitutto la sicurezza dei propri cittadini. Molte sono state anche le risposte, però, sia quelle ufficiali, che spiegavano le motivazioni della scelta e degli iter amministrativi e di sicurezza seguiti, sia quelle di tutto quel tessuto di associazioni e volontari che, nei due mesi trascorsi, si sono dati di fare non solo per garantire una situazione umana e dignitosa a chi si trovava ospitato nella palestra della scuola, ma, soprattutto, per cercare di far coesistere quei due mondi così diversi e farsi poi testimoni presso i loro concittadini delle storie ascoltate e della complessità delle situazioni apprese. Sono stati un centinaio i volontari che hanno davvero cercato di trasformare quello che poteva essere un problema in un’opportunità e regalato ai ragazzi ospitati e a se stessi un’estate di condivisione, di intercultura, di apertura al mondo e che li aiuterà anche a interpretare da qui in poi con spirito critico, le notizie allarmistiche che ogni giorno propongono i mass media. Tutto questo è stato fatto in modo molto spontaneo, senza la pretesa di insegnare nulla, attraverso la musica, l’insegnamento della lingua e la semplice condivisione del tempo, insieme.
Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad arrivi massicci, non solo in Italia, ma anche nel resto d’Europa, in Grecia, in Ungheria, in Macedonia, in Serbia. Questi arrivi richiedono delle risposte a livello europeo, ma anche a livello nazionale e locale e un maggior coordinamento tra i tre livelli, e non sono da considerare una patata bollente che viene semplicemente rimpallata fino a quando arriva all’ultimo sindaco di un paesino di provincia che non può o non riesce, anche per i valori in cui è cresciuto, a dire di no.
Purtroppo al momento per le persone ospitate a Venegono la soluzione è stata il trasferimento in gruppo in un’altra struttura a Tradate, paese confinante. Per motivi soprattutto legati al calcolo politico, molti sindaci della zona non se la sono sentita di ospitare neanche dei piccoli gruppi. La Croce Rossa che già li aveva seguiti a Venegono continuerà ad assisterli. La loro udienza per sapere se potranno o meno godere dello status di rifugiato è fissata per febbraio 2016. Tanto tempo. Speriamo però che sia un tempo proficuo per lo sviluppo di soluzioni concrete e non emergenziali che garantiscano una situazione ottimale sia per le persone ospitate sia per i piccoli e grandi paesi che li ospitano.
di Viviana Premazzi
Viviana Premazzi
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