Slow page dei Missionari della consolata

Cronache da Tong Du Chon

Nella zona Nord della Corea del Sud.

Nella zona Nord della Corea del Sud una comunità dei missionari della Consolata formata da padre Tamrat Defar (etiope), padre Clement Kinyua Gachoka (keniano) e da padre Gian Paolo Lamberto (italiano) lavora dal 2007 con i  bisognosi e i migranti, allo scopo di «evangelizzare i poveri».

La comunità cattolica internazionale di Tong Du Chon, cittadina di poco meno di 100mila abitanti nel Nord della Corea del Sud, continua a crescere. Sono tanti quelli che abbiamo seguito «dal pancione al fonte battesimale», ma abbiamo battezzato anche adulti: negli ultimi mesi due nigeriani, e ora c’è una coppia musulmana del West Africa che sta frequentando il catecumenato.
Ultimamente abbiamo ristrutturato il piano superiore della casa per ricavare una sala per riunioni. Fino a quel momento, le stanze di sopra le usavamo per ospitare casi di emergenza, ma ultimamente non veniva quasi più nessuno. Uno degli ultimi casi è stato quello di una coppia peruviana: venuti in Corea con un contratto di lavoro, si sono subito accorti che qualcosa non andava e che erano sorvegliati a vista. Allora, dopo pochi giorni, sono scappati al buio, per non essere visti dalle telecamere, e mentre i portinai bevevano. Li abbiamo ospitati una settimana finché non hanno trovato un altro lavoro per pagarsi il biglietto di ritorno in Perù. Ma il caso più simpatico è stato quello di Roy: una sera ci arriva in casa un ragazzone brasiliano sorridente senza documenti e con i soli vestiti che aveva addosso. Dice che ha già mangiato, ma quando gli porgiamo del cibo, lui butta giù tutto, persino il pane tolto da poco dal freezer. Salta fuori che Roy parla correntemente arabo e portoghese, è laureato in francese, e sa anche l’inglese. E poi pronuncia un mucchio di frasi nelle lingue dei tanti posti in cui è stato: dal russo all’italiano al coreano. È arrivato in Corea illegalmente su una nave cinese. Vive suonando la «Bossa Nova» con la chitarra nei parchi, e i soldi che guadagna li spende subito per mangiare e dormire. Vive così, alla giornata. Dopo un paio di giorni gli diciamo di cercarsi un lavoro: giovane, intelligente e sano, per lui non sarà un problema trovarne uno, mentre le stanze della nostra casa servono per ospitare casi più bisognosi. E così entriamo nella sua stanza: in un paio di giorni era riuscito a fare un caos incredibile di spazzatura e sporcizia. Dopo un po’ di giorni lo convinciamo ad andare.

Un’atmosfera piena di Spirito
In zona stiamo cercando di integrare sempre più i nostri stranieri: alla festa del cinquantesimo della parrocchia abbiamo preparato cibo e giocato insieme. I nostri amici immigrati erano contentissimi, e giorni dopo ci dicevano: «Sapete, adesso i parrocchiani ci salutano per la strada, ci riconoscono, ci considerano parte della comunità». Abbiamo anche organizzato dei corsi di coreano. A poca distanza dalla parrocchia i volontari cattolici della Rafael Clinic offrono servizi sanitari ai lavoratori stranieri. Anche alcuni dei nostri vanno a farci volontariato, nonostante giornate di lavoro lunghe fino a 12 ore.
Qualche mese fa, un prete filippino in partenza per tornare in patria ci ha affidato la messa in tagalog. Si tratta della messa che si celebra ogni giovedì per le giovani filippine che lavorano nei bar qui intorno come intrattenitrici e che non possono venire alla messa della domenica. Ovviamente noi celebriamo in inglese ma i canti son tutti nella loro lingua, e per l’entusiasmo delle fedeli è la messa che ci da più consolazione.
Per darvi un’idea del clima «interculturale» in cui viviamo, vi racconto un episodio risalente allo scorso dicembre: durante l’avvento a ogni messa abbiamo fatto una raccolta di fondi per i poveri che abbiamo poi portato l’ultima domenica di dicembre a una casa di riposo delle suore Vincenziane per donne anziane. «Molti di noi – ci ha detto Belle, filippina – erano appena tornati dal lavoro e avevano dormito al massimo due o tre ore. Ma poi andare dalle vecchiette e cantare i canti di Natale ci ha dato così tanta gioia che per tutto il giorno non abbiamo sentito la stanchezza». Tornati dalla casa di riposo, essendo ora di pranzo, abbiamo invitato tutti a casa nostra (una ventina di persone), e abbiamo improvvisato una spaghettata. Ho preparato il mio peggior sugo degli ultimi dieci anni, ma tutti erano contenti lo stesso. C’era un’atmosfera di serenità e confidenza, si vedeva che si sentivano a loro agio tra loro, coreani, nigeriani e filippini, e con noi. Appena sono usciti di casa ho detto a padre Tamrat: «Hai visto l’ambiente che c’era?», «Sì oggi c’era proprio lo Spirito Santo».
Ma non pensate che i nostri siano tutti dei santi. Per dirne una: noi ci aspettavamo conflitti tra le due comunità etniche (nigeriani e filippini), oppure incomprensioni di carattere culturale, invece i problemi più grossi sono stati di carattere personale: causati da qualcuno che voleva affermare il proprio io a ogni costo, prendere controllo del gruppo, causare divisioni e fratture all’interno della comunità. Ma alla fine siamo riusciti a risolvere la cosa redistribuendo gli incarichi. Un aiuto ci è venuto da suor Franz e suor Sacro Cuore, coreane che parlano un po’ d’inglese, che hanno anche un grande ruolo nell’avvicinare e aiutare le donne della comunità. E poi la maturità e l’unione tra noi e i responsabili è stata fondamentale. Alcuni di loro hanno particolarmente sofferto perché, essendo illegali (e quindi doppiamente poveri), non potevano difendersi e hanno dovuto ingoiare molte umiliazioni. Ma il clima di collaborazione, corresponsabilità e comunicazione costante instaurato da padre Tamrat si è rivelato vincente.
E così questa è la comunità cattolica internazionale di Tong Du Chon. Mi piacerebbe farveli conoscere un po’: c’è Mariah, un donnone nigeriano, colonna della fede, che cerchiamo di tenere il più possibile lontana dal coro: molta voce e poca intonazione. Agata, coreana, che si fa le trecce come se fosse una bambola dell’800, la nostra fedele sacrestana: quando le abbiamo chiesto di lasciare l’ufficio di lettrice agli stranieri per un altro ufficio che dava molto meno visibilità, ha accettato subito, e continua a svolgere il suo ruolo con gioia. Jennifer, che ha studiato matematica all’Università di Ibadan, che ci delizia cantando il responsorio del salmo. Alice, che ha un dono speciale per i bambini e li intrattiene durante la messa. Non manca mai, ma… è buddista. Ivan, Kiko, Hil e Toto i nostri musicisti. John il presidente del consiglio pastorale, saggio e rispettato sia dai suoi nigeriani che da tutti noi.
Ecco, queste sono state un po’ delle nostre gioie e dei nostri crucci dell’anno passato, le condividiamo con voi perché anche voi abbiate parte alla nostra gioia.
Incoraggiamoci a vicenda a proclamare l’amore del Signore.

Gian Paolo Lamberto

di Gian Paolo Lamberto

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