Padre Santo Zanchetta, nato il 29 giugno 1946 a Pederobba, Treviso, è missionario in Congo R. D. da quattro decenni. Sua ultima missione in ordine di tempo è quella di St. Hilaire, nella periferia della grande capitale Kinshasa.
Padre Santino, lei ha celebrato 40 anni di
sacerdozio e 40 anni di presenza in Congo. Sentimenti a caldo?
La cifra tonda riempie il cuore di magia. Innalzo l’inno di lode al Signore con un infinito grazie. Voglio dire grazie anche all’Istituto: in questa comunità religiosa ho realizzato la mia vita di sacerdote e di missionario. Nei volti dei confratelli conosciuti ho scoperto la serenità di una vita messa a disposizione; con loro ho nutrito la «mia missione» di creatività, impegno e coraggio. Ho amato e amo la missione. Quarant’anni di sacerdozio e quarant’anni di missione: coincidono. È esaltante, è bello… è tutta la vita!
Ci racconta in breve la sua vita missionaria?
Sì. Quattro periodi l’hanno segnata.
1. L’infanzia e la gioventù. Sono nato a Pederobba (Treviso) un bel giorno del mese di giugno del 1946, quando il sole e la creazione erano in festa. Sono venuto al mondo per rallegrare mamma Assunta e papà Albino che, anche nella povertà, volevano dare un fratellino alla piccola Lina nata nelle ristrettezze della guerra. La famiglia, governata dal nonno Giuseppe possiede un lotto di terreno e qualche mucca che le permette di vivere. Cresco frequentando la scuola elementare del paese e la parrocchia nei vari gruppi d’azione cattolica.
Non esistendo le scuole medie superiori nei dintorni, entro nel Piccolo Seminario dei Missionari della Consolata a Biadene. È in questo ambiente che matura la vocazione sacerdotale e missionaria. Il contatto con i missionari reduci dall’Africa, i loro racconti e avventure, fanno nascere nel mio cuore una passione, un desiderio di realizzare la mia vita in Africa.
Continuo gli studi nelle diverse case dell’Istituto: noviziato a Bedizzole, filosofia a Rosignano, teologia in Canada. Ottenuta la licenza in pastorale, sono ammesso al sacerdozio e destinato allo Zaire, l’attuale R. D. Congo. Ordinato sacerdote in settembre, sono in Zaire in novembre.
2. 1974-1987: missione nell’Alto Zaire a Bangadi. I missionari della Consolata, nel 1974, lavorano da quasi due anni nella diocesi di Wamba e nella diocesi di Dungu Doruma. Io arrivo nella missione di Bangadi (Dungu Doruma). La vita trascorre «errando» da un villaggio all’altro per incontrare le piccole comunità cristiane sparse in un territorio senza frontiere. Vengo a contatto con le tradizioni ancestrali, le abitudini e usi degli Azande: una ricchezza di conoscenze e di valori che mi permettono di penetrare in profondità l’anima africana…
Per raggruppare i giovani che vivono nella savana, organizzo un villaggio «a taglia umana» in cui sono presenti i servizi essenziali alla vita: chiesa, scuola, maternità, dispensario, laboratorio meccanico, di cucito, cooperative agro commerciali. L’esperienza dura 13 anni.
3. 1987-2001: a St. Mukasa (Kinshasa). La periferia di Kinshasa, a un missionario che ha conosciuto gli spazi della savana, una cultura semplice e penetrabile, fa paura. Il carattere della gente della città, le tradizioni e gli usi adattati alla mentalità della città, rende esitante anche un esperto. È con pazienza e curiosità, con il desiderio di assimilare questa mentalità, che mi avvicino, che studio l’ambiente per trovare una maniera di dare il meglio di me stesso e creare con la comunità cristiana locale delle strategie di pastorale adattata. Da questa esperienza nascono le Cevb (comunità ecclesiali di base) dei giovani, il gruppo Minzoto (per i bambini di 7-10 anni), il gruppo Bakanja (per gli adolescenti di 13-15 anni), il gruppo Agar (per le ragazze madri). La «programmazione pastorale» diventa uno strumento di crescita della comunità. La parrocchia è agli inizi. Nascono così le scuole, il Centro di recupero delle ragazze e dei ragazzi, la sala polivalente. Nel quadro dello sviluppo viene concepito il progetto «vendita mais», la strada che collega l’arteria principale alla parrocchia è continuamente rinnovata, delle cabine elettriche installate, la rete dell’acquedotto prolungato. È un ricco periodo di spiritualità pastorale e di sviluppo.
4. Dal 2001 a St. Hilaire. Nel 2000, la Diocesi di Kinshasa affida ai missionari della Consolata il territorio di St. Hilaire, nella parte Est della città. Sono nominato parroco nel settembre 2001. La parrocchia nasce dal nulla e prende un volto proprio.
St. Hilaire è oggi una bella realtà, una comunità che vuol crescere. Nelle sue problematiche:
disoccupazione, gioventù senza lavoro, non scolarizzata, segnata da delinquenza e prostituzione; la parrocchia è luce di vita, di fraternità. Le opere parlano: chiesa, canonica, cabina elettrica, centro di recupero per ragazze e ragazzi non scolarizzati con apprendistato di mestieri, sala polivalente, ponte, pozzo per l’acqua…
Oggi è quindi nella periferia di Kinshasa.
«Periferia» è una parola chiave per il papa, quando parla di evangelizzazione. Com’è la «sua» periferia?
I problemi che ci angosciano sono immensi.
Problemi sociali come la disoccupazione (il 54% delle persone in età da lavoro), la bassa scolarizzazione (il 47% dei bambini non frequentano la scuola), la mancanza di acqua potabile (solo il 64% vi accede), di elettricità (il 14%), di trasporti pubblici, la difficoltà per i giovani di sposarsi, sia per mancanza di lavoro, sia per la dote esorbitante. Le conseguenze morali, soprattutto presso la gioventù, sono la prostituzione, il banditismo, la droga, il fenomeno delle ragazze madri (67% delle ragazze dai 15 ai 20 anni sono ragazze madri), l’aborto (il 20% per cento delle ragazze abortisce), i ragazzi di strada (il 30% dei ragazzi di strada di Kinshasa sono originari dei nostri quartieri). Le conseguenze psicologiche invece sono la mancanza di ideali che permettano di vivere da protagonisti la propria vita, la proiezione nel sogno della «vita comoda» in Europa, la ricerca di «strade facili» come la corruzione, i miracoli proposti dalle sette religiose, il disimpegno sociale e comunitario.
Poi ci sono i problemi religiosi: la paura dell’invisibile che porta a interpretare in senso magico tutte le disgrazie della famiglia e personali; la proliferazione delle chiese/sette con uno stile di preghiera più chiassosa e danzante, ma che relativizzano l’appartenenza alla Chiesa e promuovono il disimpegno sociale e l’abbandono della pratica religiosa; il ricorso a maghi, a esorcisti, a guaritori per trovare la soluzione a malattie e
disgrazie; una preghiera magica praticata anche dai cristiani che frequentano la parrocchia.
Quali sono le sue preoccupazioni?
Sono tantissime. L’obiettivo del nostro lavoro è di far crescere la comunità affinché, nella sua vivacità spirituale, liturgica, formativa, diventi fermento di vita del quartiere.
Dal punto di vista umano è preoccupazione del mio cuore che tutti coloro che non frequentano la scuola, possano imparare a leggere e scrivere e quindi un mestiere. È difficile accettare che il 46% dei giovani non sappiano manipolare una penna biro o leggere un testo. Saranno sempre gli emarginati della vita, in balia dei più scaltri.
Dal punto di vista della salute siamo preoccupati per l’alto tasso di mortalità infantile. Esso è dovuto all’insalubrità dell’ambiente e alla poca educazione all’igiene. Ma è anche dovuto alla mancanza di mezzi finanziari per le cure mediche. I bambini sono sempre i primi a pagare il conto.
Quali sono le sfide della missione nel suo ambiente?
Le sfide sono tante. I giovani attirano tutte le nostre attenzioni. Il quartiere è essenzialmente abitato da giovani: il 60% della popolazione ha meno di 20 anni. Cova nel loro spirito una mentalità rischiosa: riuscire nella vita a ogni costo e con qualsiasi mezzo. Si formano così bande che commettono atti di violenza, latrocini. Si accentua la prostituzione come ricerca di mezzi finanziari per i propri bisogni personali. La corruzione a tutti i livelli è il pane quotidiano: dalle note scolastiche, all’ottenimento di diplomi, ai dossier burocratici. Vivere nel febbrile tentativo di realizzare sogni, come quello di andare in Europa, dove il denaro facile pagherà tutto.
In attesa di realizzare i sogni impossibili, essi vivono in maniera disordinata la loro crescita, le tappe dell’amore, ipotecando la loro formazione umana e intellettuale. La scuola, a causa del costo, è diventata selettiva.
Il matrimonio tra i giovani diventa un sogno a occhi aperti. Le condizioni economiche delle famiglie, il costo della dote, l’impossibilità di costruire o trovare la casa, differiscono il sogno nel tempo, fino all’infinito. I giovani sono obbligati a vivere l’amore con incontri rischiosi, e sovente si trovano con la responsabilità di una maternità senza averne i mezzi e la voglia.
Il quartiere sforna una miriade di ragazzi di strada che vanno a vivere le loro avventure in centro città, alla stazione o ai mercati pubblici.
Come essere significativi con la vostra presenza?
Vivendo in armonia e collaborando con il clero locale in tutte le iniziative e programmi. La chiesa locale sta crescendo numericamente e in qualità. Con la nostra presenza, noi offriamo esperienza, idee, animazione. Proponiamo documentazione per la formazione dei catechisti, per la pastorale giovanile, delle famiglie… Il nostro stile di fare pastorale diventa sorgente di idee. In parrocchia abbiamo creato due centri di recupero per giovani ragazze e ragazzi: un modo per avvicinarci a loro e invitarli a non perdere il treno della vita.
Un desiderio del suo cuore?
Ho sempre voluto comunicare «ai missionari più giovani» l’esperienza, l’entusiasmo, la creatività, il vedere in grande la missione, la pastorale. Mi piacerebbe vedere i missionari giovani innamorati della missione. Mi piacerebbe che i giovani missionari, di cui tanti sono africani, aiutassero noi «vecchi» missionari a scoprire le nuove sfide, le esigenze attuali, i nuovi risvolti della missione.
È mio vivo desiderio che i giovani della parrocchia trovino un modo per inserirsi nella vita, che prendano in mano la loro esistenza. Noi non cambiamo la realtà con un incantesimo, ma con la trasformazione dei loro cuori e attraverso il loro coraggio di buttarsi. Per questo abbiamo aperto i Centri di ricupero dei giovani non scolarizzati. Perché imparando un mestiere non si sentano emarginati dalla vita. È possibile, è fattibile.
Chiara Viganò
di Chiara Vigano’
Chiara Vigano
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