Una festa per il passaggio all’età adulta.
Quando una cara amica peruviana, sposata con un italiano, mi ha invitato alla Quinceañera di sua figlia non sapevo proprio cosa aspettarmi. La parola sembra facile perché tradotto è “colei che compie quindici anni”, ma non sapevo perché proprio il compimento dei 15 anni fosse per lei e per la loro comunità così importante.
Così ho cominciato a documentarmi un po’: “Quinceañera” è la festa per il quindicesimo compleanno, una festa tradizionale molto importante per le ragazze (non esiste una versione della festa “maschile”) nella maggior parte dei Paesi latinoamericani, che segna la fine dell’infanzia e il passaggio all’età adulta, una di quelle feste che, insieme ad altre cerimonie, tradizioni, usi e costumi, i latinoamericani di prima e seconda generazione residenti all’estero continuano a celebrare per diversi motivi.
La festa segna il passaggio per le ragazze all’età adulta e quindi “all’età del matrimonio”, ed è considerata la presentazione formale della giovane alla società.
Se una volta la cerimonia aveva una dimensione prevalentemente famigliare: era la famiglia che “benediceva” e celebrava l’ingresso nell’età adulta, ora, sempre di più, questo momento viene condiviso con i coetanei e le coetanee e con la comunità più allargata, fino a forme di festeggiamenti che arrivano a escludere i genitori e i parenti più stretti. Non esiste infatti un unico modo per celebrare la Quinceañera e sempre di più si sperimentano nuove forme e nuovi modi, come viaggi con gli amici in Europa o negli Stati Uniti (soprattutto per le classi medio-alte) o feste organizzate da multinazionali o parchi di divertimento come Disneyland, trasformando l’occasione in un vero e proprio business.
La cerimonia tradizionale può avvenire a casa della ragazza o in un salone preso in affitto dalla famiglia. I festeggiamenti iniziano con l’arrivo della ragazza vestita in abito lungo, spesso bianco, e, soprattutto, comprato apposta per l’occasione (sono moltissimi i siti specializzati su internet), accompagnata da suo padre e da alcune damigelle con i loro compagni.
I ragazzi generalmente sono in giacca e cravatta così come il padre della ragazza mentre le ragazze vestono abiti eleganti di tonalità diverse dal bianco (la festeggiata è l’unica a indossare un vestito di questo colore che richiama esplicitamente il tema del matrimonio).
La formalità e l’eleganza sono estremamente importanti e mostrano il carattere solenne della celebrazione.
Padre e figlia ballano insieme il primo ballo dando il via ufficialmente della cerimonia e alle danze a cui si uniscono anche gli altri partecipanti alla festa.
La cerimonia è ricca di simboli come il cambio delle scarpe, le ballerine senza tacco vengono sostiuite da scarpe con il tacco, altro segno dell’ingresso nella vita adulta, del passaggio dalla condizione di bambina a quella di donna.
Dopo il primo ballo con il padre, la ragazza balla con i diversi maschi membri della famiglia, secondo il loro grado di vicinanza: fratelli, zii, cugini, nonni, ecc.
In alcune cerimonie poi, se la ragazza è in grado e lo desidera, esegue anche una coreografia fatta per l’occasione insieme ad alcuni amici.
La stanza dove ha luogo la festa è decorata con palloncini del colore del vestito della ragazza e oltre ai balli è sempre previsto un ricco buffet per gli ospiti.
Dopo i primi balli, alcuni membri della famiglia della ragazza, padre e madre e padrino e madrina in particolare, prendono la parola per qualche minuto per esprimere la gioia di quel particolare momento e fare gli auguri o dare alcuni consigli alla ragazza per la nuova fase della sua vita.
La festa prosegue poi con altri balli meno formali rispetto a quelli della prima parte, e più legati ai gusti dei giovani (salsa, hip hop, rock).
La cerimonia e il fatto che essa continui ad essere praticata da giovani ragazze latinoamericane nate in Italia o arrivate in Italia da piccole – o addirittura, nel caso della festa a cui ho avuto la fortuna di partecipare, di figlie di coppie miste – si può interpretare come un rito vissuto per dare conferma della propria identità e della propria di appartenenza alla comunità (peruviana, ecuadoriana, ecc.). Si dimostra ai genitori e ai propri coetanei di non aver tradito le proprie origini, ma, anzi, di considerarle una parte fondamentale della propria vita.
Tanti studi sostengono che le seconde generazioni, così come sono definiti i figli di immigrati nati in Italia o arrivati da piccoli, siano il “test dell’integrazione” o del “transnazionalismo” (con il termine si intende il coinvolgimento a livello economico, politico, sociale, culturale, emotivo, simbolico del migrante nei due contesti, di destinazione e di origine).
Quello che è vero è che starà a loro, non senza fatica, trovare il modo di far convivere nella loro vita e nelle loro pratiche quotidiane la loro doppia cultura, la loro doppia appartenenza.
Non è un processo facile e gli esiti non sono scontati poiché molte sono le dinamiche che intervengono come fenomeni di discriminazione subita che spingono a rifugiarsi nella cultura di origine o a preferire una strategia di mimetismo con gli italiani, occultando o rinnegando le proprie origini. Così celebrazioni come la Quinceañera condivise non solo con amici e parenti latinoamericani ma anche con amici e amiche italiani sono importantissime occasioni di incontro e confronto che mostrano di quante anime e culture diverse è ormai fatta l’Italia.
di Viviana Premazzi
Viviana Premazzi
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