Quando diverse famiglie missionarie e organizzazioni si passano il testimone della cura dei lebbrosi.
Un piccolo assaggio della storia dell’ospedale di Gambo per gli amici di amico.
Caro padre Renzo, ci puoi descrivere la zona di Gambo? Da quanto tempo l’Imc si trova lì. Come mai è stata scelta proprio quella zona?
La zona era stata affidata nel 1922 ai cappuccini, che hanno costruito un lebbrosario, divenuto, poco per volta, un ospedale rurale. I missionari della Consolata sono arrivati lì verso il 1970. Quando l’ospedale è entrato in carico all’Istituto nel 1984, noi lì avevamo già la parrocchia.
Nel tempo, attorno all’ospedale, è cresciuto un centro abitato. Piccolo, perché non c’è terreno.
La missione possiede una quarantina di ettari dove c’è l’ospedale, la fattoria e la parrocchia.
Nella zona c’è il villaggio dei lebbrosi, le case degli operai, e un altro villaggio abusivo in cui vivono
lebbrosi e non.
La lebbra a noi occidentali sembra una malattia antica e debellata. Ce la descrivi? Che conseguenze porta alla vita dei malati e delle loro famiglie?
Oggi i lebbrosi vengono emarginati di meno rispetto una volta. Però accade ancora. Ricordo un episodio delle scorsa estate a Gambo. C’è una casa con diverse stanzette in cui vivono donne lebbrose che hanno bisogno di tutto. Ognuna di esse ha una persona che la guarda giorno e notte. Erano otto. Due di loro sono mancate ultimamente.
Una delle due era ortodossa.
Due giorni dopo il funerale è arrivato da me il responsabile del reparto con tre persone: un fratello della donna morta, un figlio, e la moglie del figlio. Io non avevo mai saputo che quella donna avesse famigliari.
Quando sono arrivato a Gambo 18 anni fa, lei era già lì. È emerso che se nel villaggio in cui il figlio viveva fossero venuti a sapere che aveva una mamma lebbrosa, lui non avrebbe avuto modo di formare una famiglia. In seguito mi è stato detto che erano venuti altre volte a trovare la donna, ma sempre in visite veloci.
La lebbra è una malattia che fa ancora paura. Ma più al di fuori della nostra zona. Nella nostra zona
sono tutti mescolati. Come anche ad Addis Abeba. Il nostro è il centro di riferimento per tutto il Sud dell’Etiopia.
Un lebbroso può guarire. La zona di pelle lesionata, però, quando guarisce rimane insensibile. E
succede spesso che il lebbroso torni a ferirsi. C’è gente che è lì da noi anche da due, tre anni.
Luca Lorusso
di Luca Lorusso
Luca Lorusso
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