Autore: Bergoglio Jorge Mario – Papa Francesco
Gesuita, è stato arcivescovo di Buenos Aires dal 1998 fino al 13 marzo 2013, quando è stato eletto Papa con il nome di Francesco.
La corruzione è una mala pianta che ha invaso la politica, l’economia, la società, e che minaccia anche la chiesa. Il tema non è trattato dal punto di vista economico o sociologico bensì scendendo alla radice: il cuore umano, che si attacca a quello che crede essere il suo tesoro…
È lì che si annida il cancro della corruzione, che è qualcosa di diverso dal peccato, tanto che l’autore invita il lettore a una «scelta» di fondo: «Peccatore, sì. Corrotto, no!». Tanto da far dire al futuro papa Francesco che per il peccato c’è sempre perdono, per la corruzione, no. O meglio, dalla corruzione è necessario guarire. Ed è un cammino faticoso, dove persino la parola profetica stenta a far breccia.
Una meditazione morale profonda, alla luce della parola di Dio e della spiritualità di sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti (l’ordine cui appartiene il nuovo papa), che mette il lettore davanti ad aspetti della corruzione su cui meno si riflette. E lo scuote mostrandogli l’urgenza di una decisione: quella di non rimanere complici di una vera e propria «cultura» della corruzione, dotata di una sua «capacità dottrinale, linguaggio proprio, modo di agire peculiare».
Postfazione di Pietro Grasso, Presidente del Senato della Repubblica Italiana.
anno: 2013
formato: 12×16,5
pagg. 64
euro 6,90
INDICE
Introduzione, 7
Corruzione e peccato.
Alcune riflessioni intorno al tema della corruzione, 13
Medoto, 17
L’immanenza, 18
Simulare, 21
Paragonare, 24
Dalla comparazione al giudizio, 26
E dal giudizio alla sfacciataggine, 26
Trionfalismo, 27
Guardando al tempo di Gesù, 30
Riassumendo, 33
La corruzione del religioso, 36
Note, 43
Postfazione
La ricostruzione morale è possibile, 53
di Pietro Grasso
PRESENTAZIONE
Nelle riunioni degli organi arcidiocesani e civili della nostra città appare frequentemente, quasi costantemente, il tema della corruzione come una delle realtà abituali della vita.
Si parla di persone e di istituzioni apparentemente corrotte che sono entrate in un processo di decomposizione e hanno perso la loro consistenza, la loro capacità di essere, di crescere, di tendere alla pienezza, di servire la società intera. Non è una novità: da quando l’uomo è uomo, sempre si è avuto questo fenomeno che, ovviamente, è un processo di morte: quando la vita muore, c’è corruzione. Frequentemente noto che si identifica corruzione con peccato. In realtà, non è esattamente così. Situazione di peccato e stato di corruzione sono due realtà distinte, anche se intimamente legate tra loro.
Tenendo presente questa situazione, mi è sembrato opportuno pubblicare di nuovo un articolo che scrissi nel 1991. All’epoca i mezzi di comunicazione dedicarono molto spazio e tempo a questo argomento. Era il momento in cui il caso di Catamarca focalizzava l’attenzione nazionale su di sé e molti si stupivano del fatto che potessero succedere cose di quel tipo. Poi iniziammo ad abituarci alla parola… e ai fatti, come se fossero parte della vita quotidiana. Sappiamo che siamo tutti peccatori, però la novità che venne introdotta nell’immaginario collettivo è che la corruzione sembrava far parte della vita normale di una società, una dimensione denunciata e tuttavia accettabile nella convivenza sociale. Non voglio dilungarmi in esempi: i giornali ne sono pieni.
La diocesi è riunita in assemblea. Non possiamo far finta di non vedere l’argomento che, come ho detto, appare nei nostri discorsi e riunioni. Ci farà bene riflettere assieme su questo problema e anche sulla sua relazione con il peccato. Ci farà bene percuoterci l’anima con la forza profetica del Vangelo, che ci colloca nella verità delle cose, rimuovendo il pretesto che la debolezza umana, assieme alla complicità, crea l’humus propizio alla corruzione. Ci farà molto bene, alla luce della parola di Dio, imparare a discernere le diverse situazioni di corruzione che ci circondano e ci minacciano con le loro seduzioni. Ci farà bene tornare a ripeterci l’un l’altro: «Peccatore sì, corrotto no!», e a dirlo con timore, perché non succeda che accettiamo lo stato di corruzione come fosse solo un peccato in più.
«Peccatore, sì». Che bello poter sentire e dire questo, e allo stesso tempo immergerci nella misericordia del Padre che ci ama e ci aspetta ad ogni istante. «Peccatore, sì», come diceva il pubblicano nel tempio («O Dio, abbi pietà di me peccatore!», Lc 18,13); come lo provò e lo disse Pietro, prima con le parole («Allontanati da me, Signore, che sono un peccatore», Lc 5,8) e poi con le lacrime al sentire il canto del gallo quella notte, momento che Bach plasmò nella sublime aria Erbarme dich, mein Gott (Abbi pietà di me, Signore). «Peccatore, sì», così come Gesù ci insegna con le parole del figliol prodigo: «Ho peccato contro il Cielo e contro di te» (Lc 15,21) e dopo non seppe continuare il discorso perché rimase ammutolito dal caldo abbraccio del padre che lo aspettava. «Peccatore, sì» come ce lo fa dire la Chiesa all’inizio della messa ed ogni volta che guardiamo il Signore crocifisso. «Peccatore, sì» come lo disse Davide quando il profeta Natanaele gli aprì gli occhi con la forza della profezia (2Sam 12,13).
Ma quanto è difficile che il vigore profetico sciolga un cuore corrotto! È talmente arroccato nella soddisfazione della sua autosufficienza da non permettere di farsi mettere in discussione. «Accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio» (Lc 12,21). Si sente a suo agio e felice come quell’uomo che pianificava la costruzione di nuovi granai (Lc 12,16-21), e se le cose si mettono male conosce tutte le scuse per cavarsela, come ha fatto l’amministratore corrotto (Lc 16,1-8) che ha anticipato la filosofia degli abitanti di Buenos Aires del «fesso chi non ruba». Il corrotto ha costruito un’autostima che si fonda esattamente su questo tipo di atteggiamenti fraudolenti: passa la vita in mezzo alle scorciatoie dell’opportunismo, al prezzo della sua stessa dignità e di quella degli altri. Ha la faccia da non sono stato io, «faccia da santarellino», come diceva mia nonna. Si meriterebbe un dottorato honoris causa in cosmetica sociale. E il peggio è che finisce per crederci. E quanto è difficile che lì dentro possa entrare la profezia! Per questo, anche se diciamo «peccatore, sì», gridiamo con forza «ma corrotto, no!».
Una delle caratteristiche del corrotto di fronte alla profezia è un certo complesso di «inquestionabilità». Si offende dinanzi a qualunque critica, discredita la persona o l’istituzione che la emette, fa in modo che qualsiasi autorità morale in grado di criticarlo sia eliminata, ricorre a sofismi ed equilibrismi nominalistico-ideologici per giustificarsi, sminuisce gli altri e attacca con l’insulto quelli che la pensano diversamente (cfr. Gv 9,34). Il corrotto è solito perseguitarsi inconsciamente, ed è tale l’irritazione che gli genera questa autopersecuzione che la proietta sul prossimo e, da autoperseguitato, si trasforma in persecutore. San Luca mostra la furia di questi uomini (cfr. Lc 6,11) di fronte alla verità profetica di Gesù: «Ma essi, pieni di rabbia, discutevano fra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù». Perseguitano imponendo un regime di terrore su tutti coloro che li contraddicono (cfr. Gv 9,22) e si vendicano espellendoli dalla vita sociale (cfr. Gv 9,34-35). Temono la luce perché la loro anima ha acquisito le caratteristiche del lombrico: nelle tenebre e sotto terra.
Il corrotto compare nel Vangelo giocando con la verità: ingannando Gesù (cfr. Gv 8,1-11; Mt 22,15-22; Lc 20,1-8), cospirando per toglierlo di mezzo (cfr. Gv 11,45- 57; Mt 12,14), corrompendo chi potrebbe tradire (cfr. Mt 26,14-16) o i funzionari di turno (cfr. Mt 28,11-15). San Giovanni li include in una sola frase: «La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta» (Gv 1,5). Uomini che non accolgono la luce. Possiamo rileggere i Vangeli cercando i tratti tipici di questi personaggi e le loro reazioni alla luce che il Signore porta.
Nel presentare nuovamente questo scritto vorrei che, in questo momento di assemblea diocesana, risultasse utile per aiutarci a comprendere il pericolo di crollo personale e sociale che si annida nella corruzione; e vorrei anche favorire la nostra costante vigilanza, perché una condizione di quotidiana complicità con il peccato ci può condurre alla corruzione. Il tempo d’Avvento è un tempo favorevole per essere vigili e attenti a ciò che ci impedisce di aprire il nostro cuore al desiderio di incontrare Gesù Cristo che viene. Lasciamoci incontrare da Lui per percorrere, nuovamente, il cammino della vita cristiana.
Voglio ringraziare specialmente padre Gustavo O. Carrara per il suo aiuto morale nel portare a termine questa pubblicazione.
di EMI – Editrice Missionaria Italiana
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