Ci aspettavamo di poter vivere il lutto, l’angoscia, l’assenza. Con tranquillità. Era l’ultima certezza, l’ultimo rifugio che ci rimaneva, dopo aver perso ogni punto di riferimento con la sua morte.
Avevamo predisposto tutto, con l’abituale determinazione ed efficacia che ci caratterizza. Quella che ci ha sempre permesso di preparare pasti e sistemare giacigli nei luoghi più inospitali in cui il suo cammino nomade ci ha portati in questi tre anni.
Dopo la sua morte avevamo seguito Giuseppe senza preoccuparci di infastidirlo, prima che il crepuscolo venisse a impedirci di preparare il necessario. L’avevamo seguito fino alla tomba scavata nella roccia, e avevamo osservato quel corpo straziato dalla violenza, deposto con amore, ma frettolosamente. Avevamo faticato molto per trattenerci dall’entrare anche noi in quella tomba, per vincere il desiderio di lasciare lì le nostre vite, di farci chiudere con lui in modo definitivo nelle tenebre della morte.
Ed eravamo scappate appena in tempo per evitare di vedere la grossa pietra sigillare quell’alveo che l’avrebbe trattenuto nel suo grembo freddo per sempre. Eravamo corse a casa per preparare gli aromi e gli oli profumati, e avevamo trovato gli uomini intenti a discutere tra loro, a deprimersi, a disperare. Non eravamo tutti: quelli che mancavano sarebbero tornati durante la notte, alla spicciolata, ciascuno dalla sua personale tenebra, portandosela dentro. Solo Giuda non l’abbiamo ancora rivisto.
Siamo arrivate al sepolcro di buon mattino con il peso delle due lunghissime giornate di angoscia nel cuore. Una di noi, in modo inspiegabile, aveva avuto lungo la strada l’improponibile idea che l’avremmo trovato sveglio e affamato, in attesa di essere liberato dalla roccia che lo serrava nel buio. Forse era stato tutto un equivoco. Non era morto. Non era accaduto veramente.
Abbiamo dovuto farci violenza per non cedere a quell’illusione, e quella che tra noi aveva dato voce alla sua folle speranza era subito scoppiata in pianto, il primo veramente fragoroso di quei giorni sommessi.
Quando abbiamo avuto a portata di vista la tomba, siamo rimaste paralizzate: la pietra era stata rotolata via. Il corpo di Gesù era esposto al vento e agli sguardi impudichi dei suoi assassini. Solo quando ci siamo avvicinate abbastanza da poter toccare la parete di roccia con le dita ci siamo rese conto che quel corpo da lavare e sistemare non c’era più. Dentro quella cavità oscura di pietra abbiamo sentito un brivido di paura. Ci sentivamo confuse. Tutta la nostra mesta determinazione era persa. Come avremmo potuto affrontare anche solo un altro giorno di vita con quella straordinaria vacuità dentro cui eravamo cadute? Nuovamente abbiamo desiderato che qualcuno ci chiudesse dentro, in quel ventre sterile e desolante di materia sorda. Anche senza il suo corpo.
Non siamo riuscite a metterli a fuoco subito, quei due uomini. Quando ce li siamo trovati lì, sulla soglia del nostro sepolcro, nel loro abito sfolgorante, che ci invitavano col sorriso a uscire, abbiamo lottato ferocemente per non scoppiare in quel pianto che si accumulava dentro di noi con le dimensioni di un mare in tumulto. Eravamo indecise. Non sapevamo se odiare o amare quegli sconosciuti che entravano nel nostro antro per prenderci le mani e guidarci fuori nel tepore del mattino.
«Perché cercate tra i morti colui che è vivo?», ci hanno detto. Perché cercavamo nella tenebra, rimestando in essa la nostra spossatezza, colui che stava nella luce?
«Non è qui. È risorto». È stato allora che una di noi ha iniziato a ballare in modo incontrollabile. Ed è stata quella danza tra i raggi del sole nuovo che sorgeva a farci tornare alla mente le sue parole. Quelle che molte volte ci avevano spaventate, o addirittura scandalizzate. Ora le capivamo.
Abbiamo lasciato alle nostre spalle il sepolcro senza nemmeno voltarci. Non abbiamo sentito il dolore delle pietre sotto i nostri piedi che nella corsa avevano perso i sandali mal legati nell’ora notturna dello sguardo basso. E siamo arrivate dagli Undici per raccontare tutto, e cantavamo stordite di incredula speranza le parole di quegli uomini: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?», «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?». «Non è qui. Non è qui. È risorto». È con noi.
Buona Pasqua da Amico.
di Luca Lorusso
Luca Lorusso
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