Presentate come vie di salvezza e di pace oppure come un atavico e violento inganno, le multiformi esperienze religiose hanno vinto la sfida della secolarizzazione e restano cruciali per capire il nostro tempo.
"Fattore R" offre una guida agile e autorevole per penetrarne il senso e prospettarne il futuro.
In questo volume introduttivo della collana "Fattore R" si parla di:
• "Uscita" dalla religione o "ritorno" al sacro?
• Religioni globali oltre la secolarizzazione
• La religione come costante antropologica
• Figure del religioso oggi
• Dalla religione degli italiani all’Italia delle religioni
• La futura geografia del sacro
In appendice, un’intervista a Raimon Panikkar.
Autore: Salvarani Brunetto
Teologo e scrittore, è nato e risiede a Carpi (Modena). Dirige il mensile interculturale "CEM mondialità" e il periodico del dialogo cristiano-ebraico "QOL". È membro del comitato editoriale della trasmissione di Rai "Protestantesimo" e docente di Missiologia e Teologia del dialogo presso la Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna di Bologna.
anno: 2012
formato: 12×21
pagg. 160
euro 12,00
visita la nuova collana "Fattore R"
INDICE
Preludio
Una coincidenza davvero splendida!, 11
"Uscita" dalla religione o "ritorno" del sacro?, 19
Oltre la secolarizzazione, religioni globali, 27
La religione, una costante antropologica, 45
Le parole per dirlo…, 55
Si può definire la religione?, 61
Studiare le religioni, 71
Figure del religioso oggi, 75
Parole chiave, 85
Excursus. Dalla religione degli italiani all’Italia delle religioni, 111
Il futuro delle religioni. Una nuova geografia del sacro, 117
Concludendo (senza concludere). In spirito e verità, 133
Appendice
Intervista a Raimon Panikkar, 135
Bibliografia, 143
Indice dei nomi, 153
PRESENTAZIONE
Tre flash, per cominciare. Il primo: a inizio 2009, i media riportano una curiosa notizia sulla famiglia gialla per eccellenza (quella a cartoni animati dei Simpson, ovvio). Si riferisce della messa in onda di un nuovo episodio della serie, dal titolo Mypods and Boomsticks, in cui, per la prima volta, Homer & Co. fronteggiano il rappresentante della religione che, negli ultimi vent’anni, ha fatto più rumore su scala mondiale: l’islam. Su cui, in effetti, sinora nella serie era calato un velo di silenzio, che a qualche commentatore era parso persino sospetto…
Qui, Homer si autoconvince progressivamente che il suo nuovo vicino mediorientale stia complottando per far saltare in aria un centro commerciale di Springfield, mentre il figlioletto Bart prende le difese di Bashir (suo coetaneo musulmano) quando viene offeso a scuola, e stabilisce buoni rapporti di vicinato. Alla fine, come da copione, il sospetto si smonta e si scopre l’equivoco, sorto dal fatto che il capofamiglia Amid lavora nel campo delle demolizioni. Nel frattempo, Homer ha la possibilità di mostrare, al solito, una speciale ignoranza anche nei confronti della fede musulmana, storpiando il nome di Allah in Oliver e chiamando il Corano la Corona. Peraltro, era bastata l’anticipazione della trama dell’episodio per creare un discreto scompiglio! "Spero che i musulmani non si accorgano della trasmissione", aveva detto il portavoce del Centro islamico della moschea di Londra al tabloid Daily Star. Quanto al papà dei Simpson, Matt Groening, aveva naturalmente gettato acqua sul fuoco, rilevando che "i cartoon trattano stereotipi, cerchiamo di essere sensibili". Fino all’agognato happy end, a trasmissione avvenuta. Infatti, la puntata piacerà talmente al Cair (Council on American-Islamic Relations), operante sin dal 1994, da spingerlo a invitare i suoi aderenti a scrivere una lettera di ringraziamento allo stesso Groening. In perfetto stile obamiano, dopo aver evidenziato che l’intenzione era di combattere la preoccupante piaga dell’islamofobia, l’associazione conclude: "Questo episodio ha mostrato come gli americani possano lavorare per il rispetto reciproco e l’inclusione attraverso i rapporti tra i vicini di casa". Regalandoci così l’ennesima dimostrazione di come una piccola cosa, un cartone animato, possa contribuire a smorzare le tensioni interreligiose e interculturali, che restano un tratto – ahinoi – più che caratteristico di questi tempi liquidi, incerti e segnati da una crisi economica di proporzioni ancora inimmaginabili.
Secondo flash. Il giorno dopo la notizia dell’uccisione di Osama Bin Laden in Pakistan, avvenuta il 2 maggio 2011, l’ex premier britannico Tony Blair scrive un articolo che prende le mosse da quell’evento drammatico per segnalare la necessità di comprendere il fattore R, le religioni, per capire e cambiare il mondo: "Molti si chiederanno il motivo per cui sia così importante studiare religione ed esaminare i suoi legami con la globalizzazione (…). Si può essere cattolici, protestanti o semplicemente agnostici. Ma al di là del credo personale, si può essere efficaci senza una comprensione della religione nella sfera pubblica? (…) Ovunque voi guardiate, la religione assume un significato determinante. La fede motiva. Capire la religione può essere importante quanto conoscere il Prodotto interno lordo di un paese, le sue imprese, le sue risorse". Difficile da negare… Anche se nel frattempo un nuovo ateismo ha fatto la sua (rumorosa) comparsa, scalando le classifiche di vendita, suscitando vasto dibattito sulla base di una lettura razionale della fede e sul posto ambiguamente occupato dalle religioni nella società contemporanea. In particolare, quelli che la pubblicistica ha definito i Quattro cavalieri dell’Apocalisse – Richard Dawkins, Sam Harris, Daniel Dennett e Christopher Hitchens – hanno lanciato un attacco aggressivo, aspro, a qualsiasi tipo di religione. Mentre concede scarsa attenzione a un’analisi rigorosa delle evidenze, il nuovo ateismo eccelle nell’uso della retorica, in cui la religione è rappresentata come intrinsecamente pericolosa, tossica e cattiva. Non esiste prova, dal suo punto di vista, che la religione possa avere almeno uno o due aspetti di redenzione…
Terzo flash. Poco più di una curiosità, per chiudere sorridendo (amaramente) questo preludio: dove si dimostra che, all’accennato boom delle religioni, con tutte le ambiguità del caso, non stia facendo seguito un corrispondente aumento della conoscenza relativa. Anzi… Alcune settimane or sono, in uno dei classici quiz televisivi pre-Tg, una ragazza all’apparenza acculturata si trova di fronte alla domanda: Che cosa conteneva l’Arca dell’Alleanza durante il cammino del popolo ebraico nel deserto? e a quattro ipotesi di risposta: la Bibbia; il corpo di Mosè; il sacro Graal; le Tavole della Legge. Dopo un gran pensamento, la sventurata risponde, in perfetto stile para-new age: "Il sacro Graal". Come testimonia una ricerca britannica di qualche anno fa, presso gli stessi cristiani – il 70% degli abitanti, stando alle dichiarazioni dei medesimi – c’è una grande ignoranza delle più elementari dottrine. Ad esempio, oltre il 40% degli intervistati in quell’occasione non conosceva quale sia l’evento commemorato a Pasqua, tanto che le chiese si sono viste costrette a rispondere con misure d’emergenza che, verosimilmente, avrebbero fatto sorridere le generazioni precedenti. Così, il foglietto informativo offerto ai visitatori dell’antica cattedrale di York esordisce con la domanda Che cosa credono i cristiani?, e prosegue: La cattedrale del monastero di York è costruita a forma di croce per simboleggiare il più importante articolo di fede cristiano, che Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è morto sulla croce per i nostri peccati… Il teologo domenicano Timothy Radcliffe racconta, del resto, che un giorno un seminarista si avvicinò tutto contento al priore della comunità (domenicana) di Sydney, esclamando: "Ho appena scoperto che Gesù è morto il Venerdì santo. Non è una splendida coincidenza?".
Questo libro…
Questo libro ha pretese sobrie. Esso intende, infatti, presentare sinteticamente e a larghe falcate il quadro attuale della riflessione sulle religioni, con l’obiettivo di fornire – soprattutto ai (tanti) non addetti ai lavori e comunque ai curiosi di ogni genere – gli attrezzi di base grazie ai quali provare a raccapezzarsi in un paesaggio non certo agevole e accessibile a tutti. Alcune panoramiche, le parole chiave, i concetti cruciali, un po’ di storia, qualche cifra. Partendo dall’oggi e chiudendo di nuovo sull’oggi; anzi, sul domani.
Sono soprattutto le metamorfosi delle religioni al tempo della globalizzazione, con il loro paradossale e fragoroso riaffacciarsi sulla scena pubblica quale fenomeno nuovo (pur se in realtà antichissimo), infatti, che ci chiamano a provare a comprendere, se vogliamo capire noi stessi e il mondo che abitiamo, quanto sta avvenendo nel patchwork magmatico del sacro postmoderno. Dove fedi, spiritualità, credenze oltrepassano i loro confini tradizionali, sempre più fluttuanti, e le loro frontiere consolidate. Per di più, la coscienza storica degli ultimi due secoli, con l’evidente spinta al relativismo che essa implica, ha allargato il nostro sguardo: mai si è avuta tanta coscienza della moltitudine delle religioni, e oggi se ne conterebbero oltre 10.000 denominazioni!
Certo, il prodotto che convenzionalmente siamo abituati a definire religione offre da sempre, su scala planetaria, una scena complessa e articolata, non riducibile a un modello univoco e neppure riconducibile a un’unica realtà superiore e inafferrabile, di cui esse rappresenterebbero le concrete manifestazioni.
Le analogie formali tra l’una e l’altra religione, poi, nascondono differenze spesso profonde, e il vocabolario con cui esse vengono abitualmente descritte ha – storicamente – la funzione di ridurre alle consuetudini concettuali della cultura occidentale il diverso, l’altro da sé. Perché la religione, va detto da subito, come siamo soliti immaginarla e pensarla oggi, è, di fatto, un’invenzione dell’Occidente. E di questi tempi, dato che non va per nulla sottovalutato, gode di un’immagine non sempre positiva, anzi. A essa viene imputata, infatti, più o meno a ragione, una porzione non secondaria dei mali del mondo, delle guerre e dei conflitti culturali in corso. Un fine letterato come Giorgio Pressburger, in una meditazione autobiografica sulla fede nell’odierno tornante storico, ammette: "Parlare di fede oggi è un compito spaventoso. La sola parola evoca assassinii, gole tagliate nei villaggi e donne e bambini inermi, bombe e razzi che cadono uccidendo centinaia di esseri umani, mura che si ergono, attentati suicidi, templi che saltano in aria, città devastate, vite spente con crudeltà e cinismo". Del resto, una delle canzoni simbolo del Novecento, la splendida Imagine di John Lennon, si augura apertamente la fine di ogni esperienza religiosa, e immagina un pianeta migliore se avrà "no religion too". Lo evidenzia proprio Dawkins, dando voce a un sentire popolarmente radicato: "Immaginiamo, con John Lennon, un mondo senza religione. Immaginiamo un mondo senza attentatori suicidi, senza 11 Settembre, senza crociate, cacce alle streghe, congiure delle polveri, spartizioni dell’India, guerre israelo-palestinesi, massacri serbo-croatimusulmani, persecuzioni di ebrei deicidi, disordini nell’Irlanda del Nord, delitti d’onore…". Mentre lo scrittore angloindiano Salman Rushdie si spinge ancora oltre, quando – di fronte a una domanda su come immaginare il futuro fra vent’anni, postagli dalla rivista francese La Règle du Jeu – dichiara: "(…) se non avessi diritto che a un solo auspicio, meno religione mi andrebbe benissimo. Molta meno religione. Preferibilmente, che la religione non ci fosse affatto. Questo abbasserebbe il livello di idiozia mondiale di almeno una buona metà. Forse di più. Sarebbe sufficiente". Beh, sul versante opposto si potrebbe ricordare che oggi c’è anche chi, pur proclamandosi ateo senza se e senza ma, ipotizza apertamente l’utilità sociale delle istituzioni religiose. Come ammette Alain de Botton in un libro non privo di spunti interessanti, "si può rimanere atei convinti riuscendo, almeno sporadicamente, a trovare nella religione una qualche utilità, un qualche motivo di interesse o fonte di conforto, e prendendo in considerazione l’ipotesi di adattare alla vita laica alcune norme e consuetudini religiose".
Certo, è curioso, se guardiamo la situazione attuale e il peso specifico del religioso nelle nostre società, riandare a quella stagione – erano appena gli anni Sessanta, Settanta del secolo scorso – in cui trionfavano le teorie sociologiche della secolarizzazione e quelle, persino sul versante teologico, della cosiddetta morte di Dio. Che prendevano le mosse da due dati principali: da una parte, la minore incidenza, un dato oggettivo, del cristianesimo nelle sue varie declinazioni sulla società, sulla politica, persino sulla vita quotidiana; dall’altra, il fatto che delle religioni altre ben poco si sapeva, ritenute non di rado un relitto medievale del passato, destinate a scomparire, prima o poi, quando fossero venute a contatto con la modernità e i suoi aspetti, l’avanzare impetuoso della scienza e la tecnologia su tutti. Senza dimenticare che le teorie della secolarizzazione incorporavano almeno tre significati, prossimi ma distinti: il declino della religione tout court; la sempre più netta differenziazione tra le sfere del sacro e del profano; e, infine, la privatizzazione del rapporto con la fede.
Di EMI editrice missionaria italiana
emi.it
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