Intervista a p. Medina Gómez José Salvador, missionario della Consolata colombiano: uno dei cinque membri della nuova Direzione Generale dei missionari della Consolata eletta nel giugno scorso.
P. Salvador condivide le sue riflessioni ed esperienze on line: http://salvadormedina.blogspot.com/
Perché hai deciso di diventare missionario e, soprattutto, perché missionario della Consolata?
Nel 1962, terminata la scuola elementare, ho iniziato il mio cammino con missionari dalle lunghe barbe e dall’accento strano, e ho cambiato la Madonna Addolorata della mia gente per quella Consolata torinese. Così ho iniziato questo bel processo umano, spirituale, accademico e ministeriale (non ancora finito) per divenire Missionario della Consolata.
Puoi raccontare brevemente la tua storia missionaria?
Uscire dal piccolo (se stesso, famiglia, paese e parrocchia) per entrare nel grande (seminario, città e chiesa Cattolica, universale), è stata la prima esperienza di questa storia.
Studiare, ma anche lavorare per pagare gli studi, è stato il secondo passo nel mio processo formativo. Vivere come laico la fede, facendo parte del movimento
di Gesù con altri giovani.
Fare apostolato missionario ed essere accompagnato, mi ha portato fino alla Consacrazione Religiosa e all’Ordinazione Presbiterale (1982).
Dove hai lavorato?
Prima dell’Ordinazione già lavoravo al Seminario Filosofico e lì sono rimasto, col desiderio di andare in Africa, per 12 anni. Dopodiché sono andato in Brasile
per altri 13 anni, fino al 2005, quando sono rientrato in Colombia come Superiore Regionale.
Adesso mi trovo a Roma, parte della Direzione Generale.
Puoi dire due parole sul paese in cui ti trovi oggi?
Parlare dell’Italia in Colombia equivale a parlare di Papa, Roma, Sicilia e mafia. Ora che sono qui contemplo la ricca storia cristiana occidentale, ammiro la saggezza dell’unità costruita nella diversità, godo del valore dell’ospitalità e della convivenza interculturale aperta alla Comunità Europea.
Quali sono le sfide missionarie principali di questo paese?
Coltivare la memoria per non perdere le radici; assumere la “filialità” (Dio papà e mamma) per convivere nella fraternità; assumere la propria identità (personale, culturale, religiosa) aperta al dialogo e alla convivenza.
Puoi raccontare un episodio significativo della tua vita missionaria?
Mi posso autoproclamare un “esperto di visite”. Ho fatto e ricevuto visite in molte culture e dappertutto ho trovato ospitalità. Ogni visita lascia un timbro di umanità, anche quella alla casa, barraca, di Donna Maria, alla periferia di San Paolo. In una piccolissima stanza aveva tutto il suo mondo: letto, cucina, guardaroba e bagno. Una sera d’inverno sono andato a trovarla e dopo una lunga conversazione è venuta la notte e con essa il pericolo. “Non si può andare”, mi ha detto. “È pericoloso! Deve rimanere con me, questa notte! Dio è grande e ci protegge!”. Alla fine, dopo tanta sua insistenza, ho accettato. Donna Maria mi ha lasciato il suo letto puzzolente e lei ha passato la notte seduta. Dio è grande!
Quali sono, secondo te, le grandi sfide della missione del futuro? In concreto, come pensi di affrontarle nel tuo ambiente, con la gente con cui lavori?
La prima è una sfida etica che interpella ogni uomo, ogni religione, ogni organizzazione: l’attenzione all’alterità, che scaturisce dall’esperienza che l’affamato e l’assetato, lo straniero e l’impoverito, l’orfano e la vedova, l’ammalato e l’afflitto sono i luoghi della rivelazione e della salvezza di Dio.
La seconda è una sfida religiosa che riguarda tutte le religioni spingendole a lavorare al servizio della vita, nel dialogo e nella condivisione.
La terza e una sfida spirituale che noi cristiani siamo chiamati, oggi più che mai, a raccogliere mostrando con la nostra vita cammini di comunione, ispirati dalla Trinità, di umanizzazione, guidati da Gesù incarnato, morto e risorto, di consolazione secondo la scuola del Consolatore, il Paraclito, e di Maria, la donna consolata e consolatrice.
La quarta è una sfida ecologica: gli uomini sono creature interconnesse e interdipendenti, chiamate a coltivare e curare tutto il creato con responsabilità per il presente e il futuro.
Che cosa possiamo offrire al mondo come Missionari della Consolata?
Di fronte alle strutture patriarcali della società, la Famiglia Consolata può contare su uomini e donne che cercano l’equilibrio di genere.
Di fronte alle strutture clericali e gerarchiche della chiesa, la Famiglia Consolata, formata da religiosi, religiose e laici, favorisce la fraternità evangelica, l’esercizio dei diversi ministeri, lo sviluppo delle vocazioni specifiche.
Di fronte al passato coloniale e all’egemonia contemporanea del pensiero unico, la Famiglia Consolata riconosce in ogni suo membro l’immagine particolare del Dio Creatore, e in ogni popolo l’immagine collettiva di questo stesso Dio che è comunità trinitaria.
Di fronte al dominio di una “macro cultura” neocoloniale, diffusa e sostenuta dai mass media e dal sistema economico, la Famiglia Consolata è spazio d’identità, libertà e gratuità.
Di fronte all’attuale panorama segnato da conflitti e divisioni, la Famiglia Consolata vive la libertà dell’obbedienza per servire, della castità per amare, della povertà per condividere. Allo stesso tempo, per la sua composizione internazionale testimonia la possibilità di una fruttuosa convivenza interculturale.
Di fronte alle tendenze individualiste, all’isolamento e desolazione sempre più diffusi, la Consolata ci parla di compagnia, accompagnamento, animazione, consolazione, alterità, coraggio…
Di fronte alla grande mobilità umana, noi missionari ad gentes ci presentiamo come pellegrini dell’essere e delle culture. Quante più persone, popoli e culture entrano a far parte della geografia del nostro cuore, tanto più umani e partecipi dell’umanizzazione redentrice dell’umanità diventiamo. Quanto più missionari, tanto più umani. Quanto più umani, tanto più divini. Quanto più divini, tanto più santi.
Puoi suggerirci uno slogan da proporre a tutti i giovani che si avvicinano ai nostri centri missionari?
“Con Gesù per la strada e alla mensa” (cfr Sal 23).
Di Ugo Pozzoli
Ugo Pozzoli
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