Slow page dei Missionari della consolata

Un Nobel alla Primavera… ma è davvero sbocciata?

Il 7 ottobre 2011 è stato assegnato il Nobel per la pace a Ellen Johnson-Sirleaf, Leymah Gbowee e Tawakkul Karman.

La città di Torino ha recentemente attribuito la cittadinanza onoraria a Tawakkul Karman, donna, giovane, forte, protagonista della primavera yemenita: «Noi donne siamo la soluzione».

PACE AL FEMMINILE
Nei mesi precedenti tutti avevamo avuto la possibilità di firmare un appello per richiedere che il Nobel per la Pace fosse assegnato alle donne africane. La campagna Noppaw (Nobel Peace Prize for African Women), promossa dal Cipsi (coordinamento di 48 associazioni di solidarietà internazionale) e da ChiAma l’Africa, era nata dall’idea di raccogliere 2 milioni di firme da inviare al comitato che attribuisce il Nobel, affinché venisse riconosciuto ufficialmente il ruolo sociale e politico ricoperto nel silenzio da milioni di donne in terra d’Africa, per costruire i loro paesi nella pace, mentre compiono le loro azioni quotidiane. Sebbene sapessero che il premio norvegese viene abitualmente assegnato a persone od organizzazioni, i promotori della campagna avevano voluto sostenere l’idea nuova di un riconoscimento collettivo, convinti dell’importanza di una sensibilizzazione capillare su scala planetaria per diffondere la conoscenza di fatti quotidiani che troppo sovente rimangono all’oscuro dell’opinione pubblica. Le donne africane appartengono a società e gruppi molto diversi tra loro; ma sono unite dal loro ruolo nonviolento che permette alle società di cui fanno parte di esistere e resistere, perpetuarsi e cambiare. Hanno un ruolo fondamentale nella cura delle comunità, nel lavoro per la sanità, nell’agricoltura e nell’imprenditoria, nella lotta per la democrazia.
Ellen Johnson-Sirleaf, presidente liberiana dal 2006, e Leymah Gbowee sono conterranee.
La prima donna presidente del continente africano è ora a capo di un governo in cui nomine politiche a persone del suo sesso non sono state negate, nemmeno in posizioni di importanza strategica. I suoi 30 anni di carriera politica le hanno fruttato il titolo di «Lady di ferro» e l’appellativo di «nonna» dei liberiani.
La signora Gbowee è un’avvocatessa militante, pacifista nonviolenta che ha contribuito a far mettere la parola fine alla guerra civile liberiana durata 14 anni: con lo «sciopero del sesso» aveva obbligato il regime ad ammetterla alle trattative per la pace.
Tawakul Karman è il simbolo della rivoluzione yemenita. Ha 33 anni, tre figli e da 5 anni si batteva nel suo paese contro il regime di Saleh, scendendo in piazza ogni martedì per protestare. Il 3 giugno 2011 il palazzo del presidente Saleh è stato attaccato dall’opposizione e il dittatore gravemente ferito in un attentato. È uno dei casi della Primavera araba. Come in una grande fucina mondiale i cui operai di pace sono diffusi ovunque, in particolare nei paesi arabi, molti hanno lavorato allo sbocciare di tanto attesa Primavera: chiusi nelle case, nelle tende, insieme nelle piazze. A tutti loro la giovane Karman ha dedicato il riconoscimento norvegese.

TAWAKKUL KARMAN
TawaKkul è stata recentemente ospite della Città di Torino, che ha deciso di conferirle la cittadinanza onoraria.
Tawakkul, il corpo coperto da un’elegante veste nera arricchita da luccicanti brillantini a livello delle braccia, il capo coperto da un raffinato velo screziato di fucsia, sbarcata all’aeroporto di Caselle la sera del 7 febbraio – giorno del suo trentatreesimo compleanno –, si aspettava di registrare un’intervista per un’emittente televisiva. È invece stata accolta da centinaia di torinesi: italiani, arabi e non solo, al Conservatorio G. Verdi in centro città. Il sindaco Piero Fassino e l’assessore alle Pari Opportunità Spinosa hanno fatto gli onori di casa e la giovane Nobel è stata intervistata da Monica Maggioni.
Tawakkul Karman è stata insignita del Nobel per la Pace per la sua attività in difesa dei diritti umani e in favore della libertà e democrazia nel suo paese.
Giornalista e direttrice dell’associazione Women journalists without chains, è stata arrestata a gennaio dello scorso anno per aver partecipato ai movimenti di protesta contro il governatore. Uscita di prigione, è stata minacciata da una banda armata. Ha però continuato a lottare e, cosa ancora più importante, a credere in ciò per cui lottava, perché «i fatti iniziano con i sogni!».
Il Nobel non è considerato, da lei come dalle altre due donne che insieme a lei l’hanno ricevuto, un trofeo di fine gara. È invece un incentivo a continuare il percorso intrapreso verso l’ottenimento dei diritti e a sostenere la lotta quotidiana delle persone che vedono in loro delle guide. Il raggiungimento dell’obiettivo è un premio dal valore ben più alto.

2011: L’ANNO DELLA LA PRIMAVERA ARABA
All’inizio del 2011 le popolazioni di diversi paesi arabi sono scese in piazza a manifestare contro i rispettivi regimi. Il via è stato dato: la prima goccia di una cascata. Egitto, Tunisia, Libia: statue di leader abbattute, regimi rovesciati, dittatori spodestati. Elezioni guadagnate per popoli interi.
Un momento storico che affonda le radici nel passato e avrà ripercussioni sul futuro; un momento di crisi, un giorno di cambiamento, ma molti per costruirlo e molti che devono seguirlo.
«Noi sapevamo che ce l’avremmo fatta, la gente non ci dava retta inizialmente. Ogni paese ha la sua rivoluzione – ha spiegato la signora Karman –; ognuno ha le sue caratteristiche, la sua storia, la sua mentalità, e per questo il modo in cui la rivoluzione si svolge è diverso, e diversa sarà la sua evoluzione».
Basti pensare al ruolo che il web oggi può ricoprire in una rivoluzione. Oggi Internet è diventato il mezzo di comunicazione per eccellenza: le informazioni viaggiano in tempo reale su tutto il pianeta, permettendo ricerche, discussioni, confronti a distanze anche enormi. Ma non in tutti i paesi si può accedere alla rete con la stessa facilità cui noi occidentali siamo abituati. Nel deserto, in foresta, in paesi in cui la rete elettrica non è diffusa o funzionante, ad esempio. Lo Yemen è uno di essi. Inoltre in questo paese – così come in Libia – i rais oscuravano le informazioni internazionali appena queste potevano essere messe in circolazione.
Se l’Egitto è stato pronto per primo alla rivoluzione è a causa di motivi specifici, storici, di mentalità, ma anche – come abbiamo appena osservato – tecnici. Tuttavia, anche dove il processo appariva più difficoltoso, c’era modo di provare. E così in Yemen – racconta una sorridentissima Tawakkul – chi riusciva ad accedere a Internet diffondeva subito le informazioni. Se all’esterno riunirsi in più di tre persone in un luogo pubblico era vietato, chi poteva connettersi alla rete discuteva in linea.
Inoltre «Il successo delle rivoluzioni di Egitto e Tunisia ha spinto ancora di più il movimento in Yemen».
Il fatto che partiti islamisti abbiano avuto la meglio nelle prime elezioni dei paesi arabi dopo le dittature non ha stupito la donna premio Nobel che ha spiegato a un pubblico torinese in buona parte occidentale come tali partiti siano stati «vicini alla gente», opponendosi al regime. E ancora: «È normale. D’altronde nessuna forza politica mi preoccupa, se c’è pluralità. L’importante è non perpetuare la situazione che vede una stretta cerchia di persone al potere (il regime dittatoriale di un solo uomo, attorniato dal suo clan ricco di privilegi a dispetto della miseria dell’intera popolazione)».
Una settimana prima della visita di Karman Tawakkul a Torino sono arrivate notizie dall’Egitto –  il paese che aveva goduto della prima ventata «primaverile» araba – riguardanti il rischio che il governo militare di transizione non permetta al paese di aprirsi alla democrazia. Nell’ultimo anno la libertà di espressione è addirittura diminuita rispetto a quella dell’ultimo periodo del regime.

LA RIVOLUZIONE YEMENITA
Il 18 marzo 2011 a Sanaa 50 dimostranti sono stati uccisi dai cecchini pronti a colpire dall’alto dei palazzi governativi.
Il 3 giugno una batteria dell’opposizione ha attentato alla vita del presidente Saleh. L’uomo, sessantanovenne al potere dal 1978, ne è uscito in condizioni gravi ma vivo, mentre altre 124 persone sono rimaste ferite e 11 sono morte. Portato in un ospedale saudita, Ali Abdallah Saleh è rientrato al suo posto il 24 settembre, sostenendo di non voler cedere alle trattative e confermando il mantenimento della sua posizione: disponibile a farsi da parte solo assieme ai suoi oppositori. Il vicepresidente Abd-Rabby Mansour Hadi era stato appoggiato dalle forze politiche e approvato dal popolo, ma non aveva poteri con Saleh ancora al suo posto.
Solo a novembre Ali Abdallah Saleh ha firmato l’accordo promosso in primavera dal Consiglio di Cooperazione del Golfo accettando di passare i poteri al suo vice, il quale è stato così incaricato di formare un governo di unità nazionale insieme all’opposizione e di indire entro 60 giorni nuove elezioni: quelli previsti dalla costituzione, pochi in una situazione di tale instabilità.
TawaKkul Karman il 7 febbraio a Torino ha parlato in nome del suo popolo «vincitore».  Anche se c’è ancora molto da fare: firmando l’accordo di novembre, infatti, il presidente uscente ha garantito l’immunità a sé ed alla sua famiglia. Per questo TawaKkul Karman a ottobre si era recata a New York per chiedere alle Nazioni Unite che Saleh venisse processato per l’assassinio di tanti dimostranti (crimine da considerarsi come di guerra); che non gli venisse garantita nessuna immunità, per sé e nemmeno per il suo clan e che venissero congelati i suoi beni.
Una rivoluzione è da considerarsi «completa solo con la caduta del dittatore», spiega con semplicità il Premio Nobel yemenita. «Ed è solo unendo le forze di donne e uomini che si sconfigge il dittatore».
Lo Yemen è andato alle urne il 21 febbraio eleggendo Abdrabbuh Mansour Hadi che resterà al potere per due anni: il tempo per supervisionare la stesura di una nuova Costituzione e per organizzare nuove elezioni, sia parlamentari che presidenziali nel 2014. L’agenzia AsiaNews dice che  «alla cerimonia di giuramento ha promesso di lavorare per riportare a casa le migliaia di sfollati, creati dai combattimenti fra lealisti e oppositori nell’ultimo anno», e che Saleh molto probabilmente abbandonerà il paese: «Si parla dell’Oman, degli Emirati Arabi, dove una parte della sua famiglia ha già stabilito una residenza, e infine dell’Etiopia, che sembra abbia dato la sua disponibilità a ospitare l’ex presidente. Saleh è il quarto leader di Paesi arabi obbligato a lasciare dall’inizio della primavera araba».

DONNE ARABE, DONNE FORTI, DONNE ATTIVISTE
Le nuove tecnologie sono state usate sapientemente dalle donne che hanno avuto ruoli molto importanti nella Primavera araba: il video blog di Asmaa Mahfouz che invitava gli egiziani a scendere in piazza Tahir il 25 gennaio 2011 ne è un esempio.
Le donne arabe hanno avuto un ruolo essenziale, talvolta trainante, spesso di sostegno, nelle rivoluzioni della Primavera come in manifestazioni e proteste del passato.
Già durante la lotta anticolonialista tante donne erano uscite dal loro ruolo tradizionale, ampliando gli ambiti sociali in cui agivano e avevano influenza: contro gli inglesi al Cairo le donne erano in testa alla manifestazione; guidate da Hoda Hachnaoui erano arrivate al Nilo, dove avevano gettato il velo in segno di protesta. In piazza Tahir lo scorso anno sono affluiti milioni di cittadini egiziani: il 20% erano donne.
Jamila Ali Raja è stata consulente del ministero degli Esteri in Yemen ed è impegnata a diffondere tra le donne la conoscenza dei diritti di cui dispongono e per cui possono lottare: «Gli estremisti ci minacciano con la jamba (un pugnale ricurvo, Nda), ma noi yemenite restiamo in piazza contro il regime di Saleh». Il presidente Saleh le ha accusate di non essere «buone musulmane» per aver infranto la segregazione femminile mescolandosi ai dimostranti uomini.
Le attiviste non si sono accontentate di partecipare alle proteste; hanno chiesto di essere interpellate quando si riscriverà la Costituzione.
Alla domanda se nei paesi arabi della Primavera non ci sia il rischio che alle donne venga negato di salire dalle piazze in cui hanno manifestato ai «palazzi», Tawakkul Karman ha risposto con sguardo sincero e deciso: «No!». Il problema della piccola percentuale di donne in ruoli decisionali – ricorda – non è una prerogativa dei paesi arabi, ma è diffuso ovunque nel mondo. Il 5 febbraio a Monaco aveva partecipato a una Conferenza sulla Sicurezza: attorno al tavolo delle discussioni sedevano solo due donne: Hillary Clinton e lei.
«Sapete perché i dittatori hanno oscurato il più possibile le donne, relegandole in posizioni infime e togliendo loro qualsiasi diritto? Perché hanno paura di noi».
Quella delle donne – secondo il suo dire – è una rivoluzione doppia: contro il dittatore e contro quegli uomini che distorcono le religioni facendone degli insiemi di precetti non sempre conformi ai diritti umani (spesso contro il principio di uguaglianza e non discriminazione di genere).

DONNE E LEGISLAZIONI NEGLI STATI ARABI
In tutti gli stati arabi, sebbene con differenze anche significative tra l’uno e l’altro, la legge sancisce l’inferiorità delle donne rispetto agli uomini. Spesso la religione islamica è chiamata a legittimare tali leggi e usanze che affondano in realtà le radici nelle tradizioni dei vari paesi: è il ricorso alla shari’a, un concetto vago soggetto alle interpretazioni più varie. In alcuni paesi le costituzioni riconoscono formalmente l’uguaglianza tra uomini e donne (in Algeria, Tunisia e Marocco «tutti sono uguali davanti alla legge»), ma la vita quotidiana è altra cosa. Le legislazioni di paesi come il Libano, l’Egitto, il Marocco, l’Iraq prevedono che il diritto di famiglia sia gestito differentemente da ogni comunità confessionale presente nel paese: la legge non è così unificata (come lo è invece in Tunisia) e ancora una volta l’interpretazione più o meno conservatrice delle religioni è chiamata in causa per giustificare le differenze di genere. Un esempio è la figura del wali, un tutore uomo senza il consenso del quale le donne di molti paesi arabi non possono sposarsi: tale istituzione non ha fondamenta nel Corano, ma è propria di alcune scuole di diritto positivo nate in area musulmana, ad esempio in quella malechita (mentre non figura nel diritto hanefita). In nessun paese arabo una donna musulmana può sposare un non musulmano, mentre il contrario è possibile.
Nonostante tutti i paesi arabi abbiano ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (Cedaw), molti hanno espresso riserve più o meno specifiche e più o meno rilevanti. L’Arabia Saudita ha vincolato la ratifica con una riserva tanto generale quanto paradossale: ogni eventuale divergenza fra la Convenzione e la shari’a si risolverebbe a favore della seconda.
Alcuni stati in passato sono avanzati verso l’eguaglianza di genere; ma alcune aperture in questo senso sono state a volte riviste e cancellate. È il caso dell’Iraq, il cui codice di famiglia del 1959, emendato nel 1963, rendeva la poligamia quasi impossibile; limitava i privilegi maschili in caso di divorzio e i diritti del tutore rispetto a tale evenienza. Proibiva i matrimoni coatti; escludeva i maschi collaterali dall’eredità di un defunto a vantaggio delle sue figlie. Durante la guerra contro l’Iran (1980-1988) tali novità sono state contestate. Saddam Hussein, con lo scopo d’ingraziarsi i movimenti islamici, ha rivisto il codice declassando i delitti d’onore a reati minori. In seguito all’occupazione americana, poi, la situazione è peggiorata. Il governo provvisorio che ha sostituito Saddam Hussein dopo la sua caduta nel 2003 ha abrogato il codice di famiglia del 1959. Dal 2005 la nuova Costituzione fa della shari’a la principale fonte del diritto.

D’ORA IN AVANTI
C’è ancora molto da fare, ma d’altronde «quanto ci ha messo l’Occidente per raggiungere la democrazia?». Non ha tutti i torti Tawakkul. «Noi ci metteremo meno tempo, perché abbiamo di fronte a noi l’esempio altri paesi, come quelli occidentali, che questo cammino l’hanno già fatto».
Altri paesi sono ancora in cammino, in protesta, in crisi. Come può l’Occidente fornire il suo aiuto alla Siria, in questo momento? Per la signora Karman è molto semplice: «Cercando di essere una parte della soluzione e non del problema». Risponde così, riprendendo un’espressione già usata prima: «Noi dobbiamo essere la soluzione».
Come ha raccontato la rivoluzione ai suoi figli una donna della forza di Tawakul Karman, conosciuta ormai in tutto il mondo, ma sempre con i piedi a terra, la voce alta a far valere i diritti del suo popolo in quanto insieme di esseri umani? «Non ho avuto il tempo di raccontarla loro. Ero in piazza! Ma la vivranno perché ne vivranno gli effetti, la strada è pronta per loro».
Ecco la lotta di una donna (per di più giovane, secondo i canoni occidentali) che crede nell’eguale valore di ogni essere umano, nell’universalità dei diritti umani, nel potere reale della protesta, nell’azione di ogni donna quanto in quella di ogni uomo. «Io sono semplicemente una donna nel mondo. Non solo una donna dello Yemen. Sogno una cittadinanza che sia uguale per tutti. Finora nel mio paese solo il presidente e la sua famiglia ne beneficiavano». Tawakul Karman non si batte per valori femministi o per discriminazioni positive dell’essere donna; né perché il suo paese diventi una brutta copia dell’occidente. Urla, parla, ride perché ogni donna e uomo del suo paese sia un cittadino con eguali diritti, perché ognuno sia libero nella sua umanità, perché tutti possano vivere la propria cultura. Ed essere connessi al mondo. Da un anno a questa parte Internet è entrato nelle tende yemenite, l’informazione è più estesa.

Yemen
•    23 milioni abitanti
•    Età media 17 anni
•    Povero in petrolio
•    Povero in acqua
•    Coltivazioni di qat, alcaloide che dà euforia e crea dipendenza (e prosciuga riserve di acqua disponibile e finanze familiari)
•    1060 $ c.ca reddito medio procapite annuo
•    41,8% popolazione vive con meno di 2 $ / giorno
•    33% popolazione è denutrita

Situazione delle donne yemenite
•    31% bambine iscritte alla scuola elementare
•    5 figli per donna
•    Mutilazioni genitali femminili molto diffuse
•    Poligamia praticata dai ricchi istruiti (perché sono coloro che possono permetterselo)
•    Spose bambine
•    Legalmente dipendenti da un tutore che decide per loro (come «minori a vita»)
•    Tasso di mortalità per parto più alto della regione
•    La violenza domestica non è reato
•    3 deputate in parlamento

Di Nadia Anselmo

The following two tabs change content below.

Nadia Anselmo

Ultimi post di Nadia Anselmo (vedi tutti)

Be the first to comment

Leave a Reply

L'indirizzo email non sarà pubblicato.