Slow page dei Missionari della consolata

Il tempo. Cos’è?

«Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so».

Che cos’è il tempo? In relazione a questa domanda, Sant’Agostino d’Ippona, nelle sue Confessioni, dichiarò: «Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so».
Non poteva essere data risposta più sincera. Non è semplice infatti esprimere un concetto chiaro e univoco sul Tempo. Lungo tutta la storia dell’umanità si sono, però, azzardate varie interpretazioni. Ognuna con un tipo di approccio diverso: letterario, poetico, storico, filosofico, etico, psicologico, religioso, sociologico, economico, scientifico, ecc. La filosofia e la scienza, la teologia e la fisica quantistica tentano di penetrare a fondo i segreti del Tempo. è una sfida, un gioco via via sempre più accattivante.
Francesco Petrarca, in un suo componimento (dai Trionfi, 1352), intuisce del Tempo la proprietà di rendere caduche tutte le cose umane: «Passan vostre grandezze e vostre pompe, passan le signorie, passan i regni: ogni cosa mortal Tempo interrompe».
Dai sonetti shakespeariani, composti a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, alcuni versi riflettono un malcelato senso di angoscia e d’impotenza che il poeta inglese prova di fronte all’ineluttabilità del trascorrere del Tempo e del conseguente disgregarsi della materia: «…vedo la rea mano del Tempo guastare gli sfarzosi splendori delle età consunte e sepolte,… vedo rase talora al suolo torri superbe…».
Il filosofo latino Lucio Anneo Seneca (4a.C.-65d.C.) definisce lo scorrere del tempo in tre modi diversi a seconda della sensibilità umana: «Parte del tempo ce lo strappano di mano. Parte ce lo sottraggono con delicatezza. E parte scivola via senza che ce ne accorgiamo».
Il cinismo non manca a Hector Berliotz, notissimo musicista dell’Ottocento, nell’affibbiare al tempo la responsabilità di dare il colpo di grazia a tutte le cose: «Il tempo è un grande maestro, ma sfortunatamente uccide tutti i suoi allievi».

La dimensione umana del Tempo
Finora l’uomo è riuscito a scoprire e codificare  solo qualcuno dei tanti aspetti che racchiudono il mistero del Tempo. L’homo economicus, in particolar modo, ha fatto del Tempo il suo più prezioso alleato per massimizzare i profitti, produrre sempre di più e al massimo dell’efficienza. Ma non ha saputo interiorizzare il Tempo, smarrendone forse il senso autentico, incapace di riscoprire in esso la sua dimensione umana, che poco alla volta si è intorpidita, affievolita.
Filosofi, scienziati, scrittori e poeti di ogni epoca hanno tentato di afferrare l’essenza che lega passato, presente e futuro. Aristotele, Lucrezio, Petrarca, Shakespeare, Pascal, Newton, Einstein hanno descritto e misurato il tempo, ma nel cercare di percepirlo, definirlo, interpretarlo, controllarlo e quantificarlo, l’interrogativo resta.

Il controllo del Tempo
Le antiche civiltà, come quella egizia, la babilonese e i maya, possedevano il senso del Tempo. Esse erano in grado di distinguere il susseguirsi dei giorni e delle stagioni. Nel misurarli, attribuivano ai ritmi della vita quotidiana, sociale o pubblica, l’intervento del soprannaturale che gli uomini speravano d’ingraziarsi con preghiere, iniziazioni e riti sacrificali.
Al fine di registrare il fluire del Tempo, delle ore, dei giorni e delle notti, l’ingegno umano ideò la meridiana, l’orologio ad acqua, la clessidra a sabbia. Poi, in Europa, in pieno Medioevo, comparve un curioso prodotto artigianale, che presto fece fortuna: l’orologio meccanico. Un principe, dal nome esotico, Haroun Al Rashid, fece dono a Carlo Magno, nell’anno 807, forse del primo orologio della storia.
Dall’alto di una torre o di un campanile, nel bel mezzo delle piazze di paese o di città, un monotono ticchettio si mette a fare concorrenza alle campane nel regolare i ritmi quotidiani della vita sociale. Un ciondolo appeso a un taschino della giacca o un comune cinturino sotto la manica provvederanno invece a regolare la vita privata di ogni persona.
Ancora oggi, all’inizio del Terzo Millennio, sempre più sofisticati congegni meccanici, elettronici e informatici muovono le lancette di un quadrante, fanno apparire numerini fosforescenti, azionano la suoneria di una sveglia per dare all’uomo la sensazione di catturare e dominare il Tempo.

La vita umana in funzione del Tempo
Ma se facciamo un po’ di attenzione, ci accorgeremo che non è l’uomo a dominare il Tempo, bensì il contrario. è il Tempo a dominare l’uomo, la sua vita, le sue relazioni, le sue attività.
Non senza stupore scopriamo, in tanti momenti della nostra vita quotidiana, di non poter proprio fare a meno di guardare sul diario, sull’agenda o sul calendario che giorno sia per fissare date e appuntamenti. Ed è diventata un’abitudine, tanto innoqua quanto necessaria, dare una sbirciatina, anche solo di sfuggita, all’orologio da polso, o allo schermino del cellulare,  per vedere se è già tardi o se sia ancora presto.
In effetti nella nostra cultura occidentale, la misurazione del Tempo naturale risponde soprattutto a finalità economico-produttive. L’uomo si è creato da solo, per i propri scopi, una sorta di Tempo artificiale, in cui la determinazione del Tempo lo asserve praticamente all’esecuzione e al compimento di specifiche attività e incombenze che lo pongono, volente o nolente, in relazione con gli altri uomini.
Guardare l’ora significherebbe, in definitiva, per noi occidentali, darsi una mossa, e ciò ci induce a fare le cose in fretta, ci sollecita imperiosamente ad accelerare i ritmi delle consuete attività, attitudini o doveri che siamo chiamati a svolgere. Quasi in barba al detto: «La fretta è cattiva consigliera» o al suggerimento dei saggi latini: «Lento pede».
Questa logica, di assoggettamento ai «tempi di produzione», è felicemente rappresentata  nel film Tempi moderni, girato nel 1936. In esso il genio comico di Chaplin descrive, con raffinata ironia, i frenetici ritmi di lavoro cui si sottomettono gli operai alle prese con i diabolici macchinari di una fabbrica.

Il Tempo tra lavoro e svago
Il Tempo naturale, la posizione del Sole o anche le fasi lunari ci danno indicazioni precise per calcolare le ore del giorno. Ma accanto a esso, si è imposto un Tempo artificiale, che l’uomo ha adottato per meglio amministrare i ritmi della propria vita. Un tempo che l’uomo, da solo o insieme ad altri uomini, si gestisce responsabilmente, in cui ha fatto affluire liberamente le sue varie attività ed esigenze.
Questo Tempo artificiale si usa ripartire in due principali insiemi temporali, che s’integrano a vicenda o, il più delle volte, si contrappongono fra loro: il Tempo produttivo (dedicato al lavoro, al dovere, ad attività coatte) e il Tempo libero (dedicato al relax, al riposo, alla vacanza, ad attività che coinvolgono la sfera privata della persona).

Il Tempo produttivo
Il tempo produttivo ha assorbito talmente il nostro modo di vivere sino a rendere ogni istante della nostra esistenza dipendente dalla cultura utilitaristica del profitto, in cui ogni cosa ha senso solo se si acquista, si possiede e si consuma.
Ogni cosa ha senso solo se è monetizzabile e si può convertire in denaro. Felicità e benessere dunque dipendono da quanto si è comprato, investito in moneta sonante, capitalizzato. In pratica: time is money, il tempo è denaro…
Il Tempo che l’uomo ha a disposizione, ha subito il forte e logorante condizionamento culturale basato sul fare e sull’avere. Produrre-guadagnare-consumare sono diventati la chiave di accensione, la cifra interpretativa del nostro pensare e del nostro agire.
Nella nostra società moderna, industrializzata, informatizzata, tutta tesa febbrilmente a produrre, guadagnare e consumare, è venuta meno la dimensione ludica del Tempo, quella che si può recuperare solo attraverso il Tempo libero.

Il Tempo libero
L’aspetto inquietante è che il Tempo libero, ossia divertirsi, praticare uno sport o un hobby, andare in vacanza è diventato anch’esso oggetto di un’operazione commerciale e consumistica, fonte anch’esso di profitti e di strumentalizzazioni pubblicitarie. Ciò nondimeno è motivo di frustrazioni per chi non ha reddito, per chi è disoccupato e non può permettersi una «compera» del tempo libero. Oltretutto i sociologi dicono che il Tempo libero si è andato progressivamente riducendo, anzi non esiste quasi più, essendo fagocitato da un estremo desiderio di iper-attivismo. Le ore di non-lavoro, oggi, sono freneticamente riempite di attività, si traducono in una rincorsa senza sosta agli impegni. Il fare-fare-fare è l’imperativo, la norma, a scapito del Tempo libero, che si occupa persino con un secondo lavoro.
Il risultato è che non si trova più Tempo per se stessi, per provare il gusto di fermarsi a pensare, leggere, riflettere, ascoltare, osservare…
Occorre dunque ristabilire il giusto equilibrio nel rapporto dialettico tra il Tempo speso per il lavoro, la produzione e il profitto e quello speso per il gioco, il riposo, la meditazione.

Energie da rigenerare
Bisogna che ai giorni di festa, religiosa o civile che sia, alle domeniche, alle ferie, alle vacanze si ritorni a pensare come a una legittima e salutare pausa di ristoro e riposo, per recuperare, in modo intelligente, ma anche fantasioso e creativo, le energie fisiche, mentali e spirituali.
Un hobby, un viaggio turistico, un’attività culturale, sportiva o di volontariato, solo se perseguono un obiettivo di rigenerazione, rispondono in pieno all’ansia di libertà, di movimento, di relazionalità che scalpitano di continuo nel cuore dell’uomo e diventano allora positive possibilità liberanti di un cammino di maturazione e di autentica realizzazione personale.

La dimensione solidarizzante e quella religiosa
L’uomo riscopre inoltre la dimensione solidarizzante e anche religiosa del giorno di festa, che lo invita a restaurare la sua dignità di persona, dandogli l’opportunità d’instaurare, in modo libero, spontaneo e gioioso, relazioni interpersonali, d’incontro e di dialogo con i suoi simili, con la natura, e in particolare, in modo privilegiato, con Dio.
A patto tuttavia che si sappia tenere alla larga dai giochi d’interesse e di calcolo alimentati a ritmo frenetico dai circuiti economico-produttivi moderni, tendenti a invadere se non a sopprimere, complici sempre i mass-media e le tecniche pubblicitarie, persino il Tempo da dedicare all’esperienza, anch’essa tonificante, della preghiera, individuale o comunitaria.

Tempo qualitativo e Tempo quantitativo
Nella cultura occidentale è evidente dunque come il Tempo sia interpretato e vissuto solo sul piano della quantità: lavorare di più per guadagnare di più.
La fretta e l’avidità sembrano da sole sintetizzare una filosofia di vita che da un lato rimpingua l’uomo di beni e privilegi materiali, ma dall’altro lo rende vittima di un impoverimento interiore pericoloso, perché lo allontana dalla sua natura e dalla sua stessa umanità.
è quindi necessario che il piatto della bilancia torni a pesare di più dalla parte di un Tempo inteso in senso qualitativo, grazie al quale l’essere conta ragionevolmente più dell’avere, e la capacità di pensare o, come direbbero gli antichi, di «oziare», verrebbe coltivata e apprezzata tanto quanto la capacità di fare. Nel medioevo furono i frati benedettini a trovare, nello spazio del chiosco, il giusto equilibrio tra il Tempo quantitativo e quello qualitativo, attraverso la nota formula: ora et labora.
La fatica del corpo, l’impegno della mente, il nutrimento spirituale si compivano secondo ritmi ordinati, senza sovrapposizioni o negligenze. Nei secoli successivi emergeva in modo significativo l’etica protestante del lavoro, che indirizzò l’uomo verso traguardi di civiltà in cui l’operosità e il darsi da fare assumevano una connotazione positiva di alto valore, ponendosi alla base dell’idea di sviluppo e progresso. Un’idea che poi avrebbe foggiato e fatto evolvere l’intero Occidente sino ai tempi d’oggi. Un’idea che predisponeva l’uomo occidentale a utilizzare il Tempo per realizzare personali e lungimiranti obiettivi di dominio e di conquista.

Tempo del Nord e Tempo del Sud
I notevoli passi avanti fatti dagli occidentali, lungo la strada dello sviluppo e del progresso, hanno però imprudentemente infuso in essi un sentimento di superiorità rispetto ad altre civiltà e popoli del mondo, tradottosi nei fenomeni del colonialismo e del neocolonialismo. E oggi, forse, l’influenza egemone dell’Occidente si sta riflettendo nella cultura omologatrice della globalizzazione, del «villaggio globale», tendente a diffondere su tutto il pianeta un’unica nozione di Tempo, quella di stampo occidentale, con il rischio di annullare o dequalificare altre culture del Tempo.
è bene, invece, essere consapevoli che nelle diverse parti del mondo vivono popoli, in particolare a Sud, che hanno una propria percezione sociale del Tempo, volta a scandire differenti stili di vita e di relazioni.
Nei Paesi africani, per esempio, l’idea del Tempo è quella ciclica e guarda al passato come a un punto di riferimento culturale costante e inderogabile.
Anche in Oriente, in India, Cina, Giappone la concezione sociale del Tempo è ancorata prevalentemente al passato, a un patrimonio di miti e tradizioni, in cui un forte sentimento religioso plasma e condiziona quotidianamente ritmi e modelli di vita, ed è ancora così, nonostante le prepotenti suggestioni del mondo occidentale.

L’ozio
La classica suddivisione temporale tra Tempo produttivo e Tempo libero, predominante nella nostra cultura occidentale, si richiama all’antica distinzione latina otium-negotium. Il celebre oratore latino Marco Tullio Cicerone era un accanito sostenitore del Tempo dedicato all’ozio. Esso, nell’età antica, ossia all’epoca dei greci e dei romani, non aveva la valenza negativa che invece ha assunto poi nel redarguire gli uomini che restano inattivi, inoperosi, senza concludere niente, inducendo a coniare il famoso detto, secondo cui l’ozio è il padre dei vizi. Cicerone, dal canto suo, amava starsene in ozio, perché poteva così immergersi liberamente nelle attività di pensiero e di lettura. Mentre il negotium concerneva il lavoro duro e faticoso, che faceva anche sudare e penare, l’otium significava intrattenersi piacevolmente nelle attività intellettuali, leggendo o componendo poesie, discutendo di filosofia e di politica.

Volontariato e impegno sociale
Il Tempo che in Italia è dedicato alle attività di volontariato e agli impegni sociali si aggira intorno alle 5/6 ore settimanali (stime Iref, Istituto di ricerca delle Acli). Alle attività che hanno attinenza con la politica, i partiti o i sindacati, il Tempo dedicatovi si è progressivamente e massicciamente ridotto a vantaggio delle esperienze di volontariato, ritenute più trasparenti e gratificanti.

La Banca del Tempo
È un’istituzione di utilità sociale, sorta alcuni anni fa nei paesi anglosassoni, diffusasi poi in Europa e anche in Italia a partire dai primi anni ’90 del secolo scorso. Attraverso di essa, gli aderenti possono usufruire di scambi di servizi o prestazioni in un rapporto di assoluta gratuità e reciprocità, al di fuori di ogni logica economica, ma con l’opportunità di fare del Tempo un’esperienza nuova, che privilegia i rapporti umani sul piano della solidarietà e dell’accoglienza. A ogni «cliente» viene consegnato un blocchetto di assegni, in cui riportare le ore che si intendono donare o richiedere a seconda della propria disponibilità o dei propri bisogni. La moneta di scambio, se così si può dire, è il Tempo disponibile che viene assegnato a chi, per esempio, decide di fornire qualche ora di lezione di pianoforte alla persona che s’impegna in cambio a fare da baby sitter quando occorre, calcolando lo stesso lasso di tempo. Si tratta di un’iniziativa che mette a servizio delle persone abilità e saperi personali, al solo scopo di edificare una cultura del Tempo alternativa, di riappropriarsi del valore del Tempo, non più contaminato dal valore del denaro e dalla logica produttiva, contribuendo a costruire un tessuto sociale più vivibile, restituendo dignità e una dimensione più umana alle relazioni interpersonali.

Il Tempo nella Bibbia
«Nella vita dell’uomo, per ogni cosa c’è il suo momento, per tutto c’è un’occasione opportuna. Tempo di nascere, tempo di morire, tempo di piantare, tempo di sradicare, tempo di uccidere, tempo di curare, tempo di demolire, tempo di costruire, tempo di piangere, tempo di ridere, tempo di lutto, tempo di baldoria, tempo di gettar via le pietre, tempo di raccogliere le pietre, tempo di abbracciare, tempo di staccarsi, tempo di cercare, tempo di perdere, tempo di conservare, tempo di buttar via, tempo di strappare, tempo di cucire, tempo di tacere, tempo di parlare, tempo di amare, tempo di odiare, tempo di guerra, tempo di pace» (Qoelet, 3, 1-8).
Teologia del Tempo
L’antico popolo d’Israele imparò dalla vicina terra di Canaan come distinguere nel corso dell’anno i mesi, le stagioni e i periodi agricoli. Ognuno di questi spazi temporali vennero identificati con delle feste religiose per indicare la signoria del Dio di Abramo anche su di essi. La Neomenia è la festa dell’inizio del mese; alla raccolta dell’orzo corrisponde la festa degli Azzimi, alla mietitura la festa delle Settimane e alla vendemmia quella delle Capanne. Oltre che con queste celebrazioni, collimanti con i Tempi cosmici, gli ebrei suddivisero il Tempo secondo una liturgia che dava a esso un’interpretazione anche storica. L’uscita dall’Egitto viene ricordata con la Pasqua, l’alleanza e l’esperienza del deserto con la Pentecoste, il Sukkot. In tal modo il Dio di Abramo subentrava nella storia del popolo ebreo che si comprendeva e si delineava tra due estremi: la Creazione (Gen 1-2) e la fine dei giorni (Is 2,2). All’interno di questi due estremi ha compimento la realizzazione progressiva del disegno di Dio, la storia della salvezza annunciata dai profeti dell’Antico Testamento. In linea con quest’ultimo si pone il Nuovo Testamento, in cui, in relazione alla storia della salvezza, si parla di Pienezza dei tempi (Gal 4,4), cosa che avviene con la nascita di Gesù. Dopo la venuta del Salvatore segue il Tempo della Chiesa, che ha il compito di predicare e testimoniare il messaggio di salvezza. Quando tutti i popoli aderiranno a questo messaggio, allora si compirà il Giorno del Signore (1 Ts 5,2; Ap 1,10), la cui data resta sconosciuta. Ma questo giorno, che segna la completa realizzazione del disegno di Dio, metterà un punto definitivo al Tempo.

L’iconografia del Tempo
Nell’antichità, tra i simboli più ricorrenti per visualizzare il Tempo, presente nei sigilli egiziani e nell’arte romana dell’età imperiale, vi era il serpente che si morde la coda, detto uroboro, a significare la ciclicità del Tempo nel suo manifestarsi e riassorbirsi, inoltre il rinnovamento continuo del Tempo, nella sua perpetuità e assolutezza. Anche la ruota conservava per gli antichi un’idea del Tempo come cambiamento e divenire. La figura geometrica circolare, che corrisponde all’immagine della ruota di Crono, contiene in sé tutto il significato dell’eternità di un ciclo in perenne rinnovamento nella natura e nella storia. Lo Zodiaco è l’altra figura circolare con cui gli antichi rappresentavano il moto di rivoluzione dell’anno, del Tempo e della vita, dipendenti dal Sole.

Tempo dei bambini e degli anziani
Forse dovremmo essere tutti un po’ bambini e un po’ anziani. L’infanzia è un Tempo dilatato, fatto di giorni lunghi e stagioni durature, piene di emozioni, con una memoria concentrata sugli affetti e i piaceri. La vecchiaia si nutre invece di memoria, di ricordi che si riversano sul presente e lo ravvivano. Bambini e anziani vivono a loro modo una sorta di distacco dal presente, immersi come sono nel Tempo della gioia e del dolore. Per questo, quando passeggiano, si danno la mano, quasi a voler chiudere come un alfa e un omega, il mistero della vita e del Tempo.

Il Calendario
è un sistema di computo e ripartizione dell’anno in giorni e mesi. Esso si basa sull’anno solare, ma può anche essere fondato sul corso della Luna o ancora accordando il computo lunare con quello solare, e intercalando un mese ogni dato periodo di anni. Di quest’ultimo tipo sono infatti il calendario greco e quello ebraico, in cui l’anno  è di 12 mesi, ognuno dei quali  alternativamente di 29 e 30 giorni, con un mese intercalare ogni tre anni circa. Il calendario musulmano è invece esclusivamente lunare, si compone di 12 mesi lunari, anch’essi  seguendo un’alternanza di 29 e 30 giorni, per un totale di 354 giorni, senza l’aggiunta di un mese intercalare. Il nostro calendario deriva da quello romano, che in origine sembrava suddividere l’anno in 10 mesi, ma che con Numa Pompilio fu portato a 12, per un totale di 355 giorni. Caratteristica del calendario romano era che ciascun mese aveva tre date fondamentali: calende (il primo giorno), none (il 5 o il 7 del mese di marzo, maggio, luglio, ottobre), idi (il 13 o il 15 di ogni mese), gli altri giorni si designavano indicando quanti ne mancavano alle successive none, idi o calende. La riforma di Giulio Cesare (46 a.C.) portò un’altra novità al calendario romano: l’anno era composto per un totale di 365 giorni, aggiungendo ogni 4 anni un giorno bisestile, così detto da bis sextus  (perché cadeva il giorno sesto antecedente alle calende di marzo), che allungava l’anno di un giorno in più (366). La variante apportata nel calendario giuliano implicò una sfasatura di 11 minuti e 14 secondi tra l’anno civile e quello tropico, in quanto risultò che l’anno civile anticipava quello tropico (supposto di 365 giorni e 6 ore invece di 365 giorni e 5 ore, 48 minuti, 47 secondi). Nel 1582 il calendario gregoriano, realizzato da papa Gregorio XIII al fine di correggere l’errore del calendario giuliano, fece omettere 10 giorni, con la condizione che si ritenessero bisestili tutti gli anni divisibili per quattro, tranne quelli secolari, il cui numero formato dalle prime due cifre non fosse divisibile per quattro. In Francia, dopo la Rivoluzione, nel 1793, fu adottato per un certo periodo il calendario repubblicano (in vigore fino al 1° gennaio del 1806). Si suddivideva l’anno in 12 mesi di 30 giorni ciascuno, più 5 complementari che diventavano 6 nell’anno bisestile. Ogni mese era diviso in decadi, l’inizio dell’anno era fissato per la mezzanotte del 22 settembre. Questi i nomi dei mesi: vendemmiaio, brumaio e frimaio in autunno; nevoso, piovoso e ventoso in inverno; germinale, floreale e pratile in primavera; messidoro, fruttidoro e termidoro in estate.

Il Tempo e la saggezza popolare
Sul Tempo la cultura popolare ha coniato espressioni, detti e sentenze curiose, ricche di buon senso e diventate di uso comune nel linguaggio di tutti i giorni. Eccone alcune:
Il tempo è galantuomo: si dice quando si è convinti che il passare degli anni farà trionfare o venire a galla la verità.
Il tempo è medico: lo si dice ritenendo che col passare del tempo si risanino i mali, soprattutto quelli spirituali.
Il tempo è denaro: per dire che bisogna sempre utilizzare bene il proprio tempo a disposizione.
Fare il proprio tempo: si dice riferendosi a cose che sono passate di moda, non si usano più o a persone che hanno perduto credito e influenza.
Lasciare il tempo che trova: si dice così quando, per esempio, un’idea o un’iniziativa non sortiscono l’effetto voluto.
Ingannare o ammazzare il tempo:  si dice quando si cerca qualcosa da fare per non annoiarsi.
Chi ha tempo non aspetti tempo – Senza por tempo in mezzo: si dice così per esortare a essere più solleciti  e non rischiare di perdere del tempo prezioso.
Tra gli antichi, le frasi sul tempo più famose sono quella di Virgilio: Fugit irreparabile tempus (dal libro III delle Georgiche, una lucida quanto sconfortante riflessione sul trascorrere del Tempo che fugge e non torna più); e quella di Orazio: Carpe diem, quam minimum credula postero (dalle Odi, un invito a cogliere l’attimo presente, il momento stesso in cui si vive, «Profitta dell’oggi, e non fare nessun assegnamento sul domani»). Un motto sul Tempo che, narra Svetonio nella Vita di Augusto, usava pronunciare l’imperatore, era: Festina lente, «Affrettati adagio».

Il Tempo nello sport
Anche nello sport il Tempo ha la sua importanza, nella determinazione della durata di un gara in un gioco di squadra o in una prova atletica singola. Nel calcio i tempi cosiddetti regolamentari o effettivi di una partita sono due di 45 minuti ciascuno, in occasione di talune dispute finite in parità, vengono giocati anche i 2 tempi supplementari in genere di 15 minuti l’uno. Nella pallacanestro i due tempi regolamentari durano 20 minuti, nel rugby 40. I tempi supplementari previsti nella pallacanestro, in cui non è ammessa la parità del punteggio finale di una partita, sono almeno due di 5 minuti ciascuno. Esiste, sempre nella pallacanestro, un terzo tempo, che non riguarda la durata di un incontro, ma consiste in una particolare azione di gioco, secondo la quale il giocatore di basket, senza cadere nell’infrazione detta «di passi», può effettuare due passi tenendo il pallone in mano, e compiere immediatamente dopo il tiro a canestro. Nei giochi con la palla sono detti tempi morti quegli intervalli di gioco causati da sospensioni o interruzioni, in cui il gioco è fermo. Nella scherma è detta «uscita in tempo» la stoccata che si tira di sorpresa all’avversario per bloccare una sua mossa aggressiva. Nelle gare di corsa, specialmente in quelle ciclistiche si usa parlare di tempo massimo: il tempo entro il quale il concorrente deve giungere al traguardo, poiché se giungesse fuori tempo massimo, verrebbe squalificato. Quando un campione ha ottenuto il miglior risultato in una specialità sportiva (per esempio nelle gare di nuoto dopo un certo numero di vasche o di corsa nelle competizioni di atletica leggera), superando il primato di tempo precedente, che fino a quel momento restava imbattuto, si usa parlare di record olimpionici, mondiali, nazionali, ecc.

Infine Pascal ha scritto sul Tempo
«Quando considero la piccola durata della mia vita inghiottita nell’eternità che la precede e che la segue, il piccolo spazio che occupo e anche quello che vedo perduto nell’infinita immensità degli spazi che ignoro e che mi ignorano, mi atterrisco e mi stupisco di vedermi qui piuttosto che altrove, perché io sia oggi piuttosto che allora. Chi mi ci ha messo! Per ordine e per opera di chi questo luogo e questo tempo sono stati destinati a me?». (dai Pensieri  di B.Pascal).

E Papa Giovanni Paolo II (in Tertio Millennio Adveniente, n.10)
«Nel cristianesimo il tempo ha un’importanza fondamentale. Dentro la sua dimensione viene creato il mondo, al suo interno si svolge la storia della salvezza, che ha il suo culmine nella ‘pienezza del tempo’ dell’incarnazione e il suo traguardo nel ritorno glorioso del Figlio di Dio alla fine dei tempi. In Gesù Cristo, Verbo incarnato il tempo diventa una dimensione di Dio, che in se stesso è eterno. Con la venuta di Cristo iniziano gli ‘ultimi tempi’ (cfr. Eb 1,2), l’ ‘ultima ora’ (cfr. 1Gv 2,18), inizia il tempo della Chiesa che durerà fino alla parusia. Da questo rapporto con Dio col tempo nasce il dovere di santificarlo. È quanto si fa, per esempio, quando si dedicano a Dio singoli tempi, giorni o settimane, come già avveniva nella religione dell’Antica Alleanza e avviene ancora, anche se in modo nuovo, nel cristianesimo. Nella liturgia della veglia pasquale il celebrante, mentre benedice il cero che simboleggia il Cristo risorto, proclama: «Il Cristo ieri e oggi, Principio e Fine, Alfa e Omega. A lui appartengono il tempo e i secoli. A lui la gloria e il potere per tutti i secoli in eterno». Egli pronuncia queste parole incidendo sul cero la cifra dell’anno in corso. Il significato del rito è chiaro: esso mette in evidenza il fatto che Cristo è il Signore del tempo; è il suo principio e il suo compimento; ogni anno, ogni giorno ed ogni momento vengono abbracciati dalla sua incarnazione e risurrezione, per ritrovarsi in questo modo nella “pienezza del tempo”».

di Nicola Di Mauro

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Nicola Di Mauro

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