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Il mio nome è Misericordioso

Un Dio prossimo, vicino, sperimentabile.

La misericordia è la forma visibile, tangibile, dell’amore di Dio.
Già nel Vecchio Testamento il Signore si è fatto prossimo, vicino, sperimentabile. Dio ama appassionatamente il suo popolo, lo ascolta, si protende verso di lui, scende ad abitarvi accanto, per camminare insieme a lui nel deserto, verso la terra promessa.

Mosè, nell’Antico Testamento, è il grande mediatore della misericordia di Dio. La sua figura ci parla di quanto sia necessario che, nel fluire della storia, ci siano altri sacramenti viventi capaci di manifestare quella misericordia, perché gli uomini ne possano beneficiare.

Per mille generazioni
Il nostro tempo ha la fortuna di vedere un volto misericordioso in papa Francesco, in quel sacramento vivente che ha indetto l’anno giubilare per aiutare l’umanità a riscoprire il vero volto del Padre. Il papa ci chiama a sperimentare il perdono del Dio «misericordia», di quel padre che aspetta il figlio prodigo per riabbracciarlo, che si china su tutti coloro che sono caduti per rialzarli. Il suo nome è «Misericordia», come leggiamo in Es 34,6-7: «Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato». Stupenda questa concentrazione terminologica che indica ben undici attributi di Dio: le sue qualità intrinseche e la sua grande magnanimità verso le creature. Questo è il nome che rivela la sua grandezza che si manifesta in concreto nel perdono esteso per mille generazioni, cioè senza limiti.
L’immagine di Dio che scaturisce dalla Sacra Scrittura è quella di un Dio che non può stare senza chinarsi sull’esistenza dell’uomo per riammetterlo nella sua amicizia riconciliandolo con lui.

Amore tangibile
Nella Bolla di indizione del Giubileo, al n. 9, papa Francesco scrive: «La misericordia… è la parola-chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi. Egli non si limita ad affermare il suo amore, ma lo rende visibile e tangibile. L’amore, d’altronde, non potrebbe mai essere una parola astratta. Per sua stessa natura è vita concreta: intenzioni, atteggiamenti, comportamenti che si verificano nell’agire quotidiano».
Nella Scrittura il gesto di Dio che si preoccupa della creatura offre l’immagine di un Dio che ama appassionatamente, di un Dio attento e pronto all’ascolto. Quando il lamento di chi è oppresso e offeso si eleva verso il cielo egli se ne preoccupa. Nel tempo terribile della schiavitù egiziana, Israele è umiliato, offeso e vilipeso: «Gli Israeliti gemettero per la schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio. Allora Dio ascoltò il loro lamento, si ricordò della sua alleanza con Abramo e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti e se ne dette pensiero» (Esodo 2,23-25). Nello stesso libro dell’Esodo, troviamo anche il motivo per cui Dio si impegna per liberare Israele: «Allora tu dirai al faraone: Dice il Signore: Israele è il mio figlio primogenito» (cf. Es 4,22).

Sono sceso per liberarlo
Dio ha sempre l’orecchio teso verso il suo figlio prediletto, di modo che «quando invocherà il mio aiuto, io ascolterò il suo grido, perché io sono misericordioso» (Es 22,27). Il verbo ebraico qui usato è hanan, il cui significato è «essere proteso verso». Dal momento che Dio è proteso verso Israele, quando questi si trova in grave necessità, non esita a compiere la trasvolata cosmica per rendersi presente in mezzo al suo popolo: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto ed ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele» (Es 3,7-8).
Inizia qui un movimento discendente della divinità verso la creatura, che poi sarà completato, secondo il prologo di Giovanni, dalla Parola fatta carne. Al grido disperato del popolo, Dio risponde aprendo la calotta del firmamento e avviandosi verso di lui per manifestargli il suo volto misericordioso e fargli conoscere quanto profondo è il suo amore.
Tuttavia il popolo, che è di memoria corta, dimentica presto i tanti prodigi. Dimentica la manna, pane disceso dal cielo; dimentica l’invio delle quaglie; dimentica il prodigio dell’acqua scaturita dalla roccia. Esso arriva persino a dubitare della stessa presenza di Dio: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?» (Es 17,7). Il popolo di Israele sta attraversando un momento difficile: si trova a vagare nel deserto, dove è difficile sopravvivere. La grande speranza di arrivare ad una terra dove scorre latte e miele si infrange contro gli ostacoli di un ambiente ostile. La mano potente di Mosè, assistito dal fratello Aronne, non danno più garanzie e certezze. Il popolo sente il bisogno di una rassicurazione che venga di nuovo dall’alto. In questo contesto Dio decide di rendersi ancora più presente e più vicino. Egli vuole mostrare la sua grazia e il suo amore viscerale, ed esprime il suo avvicinamento alla creatura attraverso la «nube». In Es 33,9 leggiamo: «La colonna di nube scendeva e restava all’ingresso della tenda». Lo stesso movimento discendente si ritrova anche in 34,5: «Il Signore scese nella nube e si fermò con lui là».
Il Signore sotto forma di nube scende perché ha ascoltato le grida sofferenti del suo popolo.

Una tenda per abitare in mezzo a loro
Dio non vuol rimanere evanescente, avvolto nella sua trascendenza, ma vuole farsi Dio-con-noi, Emmanuele, un Dio accessibile, che si possa consultare facilmente. Per diventare tutto questo, decide di abitare dove vive il popolo. Finalmente prende la decisione e ordina a Mosè di costruire per lui una tenda «per abitare in mezzo a loro» (Es 25,8; cf. 33,7-11). A questo punto Dio è accessibile e tutti possono consultarlo di persona, senza che ci sia un intermediario. Va qui notato, tuttavia, che la sua tenda non è collocata tra quelle del popolo, ma fuori dell’accampamento, a una certa distanza da esso. Tale distanza ha un suo significato. Dio vuole che il popolo esca dalle faccende ordinarie, dal loro spazio abitativo e si incammini verso di lui, per un incontro tra persone, per un dialogo di amore, per la richiesta eventuale di perdono per le proprie infedeltà. Andare verso la tenda dove lui abita è una espressione di fede nella sua presenza e nel suo amore misericordioso. D’ora in poi il popolo non è più solo. Dio cammina con lui, ne diventa il pastore premuroso. Si è fatto pellegrino per proteggere il suo popolo e condurlo al paese promesso dove scorre latte e miele. Il cammino attraverso il deserto ora è più tollerabile perché Lui, Dio misericordia, cammina al suo fianco.

Antonio Magnante

di Antonio Magnante

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