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Benedictus. Dire bene di Dio

Le meraviglie compiute da Dio

Zaccaria, padre di Giovanni Battista, ci ha regalato un inno splendido.
Benedice il Padre di ogni benedizione. Riconosce le meraviglie compiute da Dio nella storia della salvezza. Indica la luce che sopraggiunge per dissolvere le tenebre.

Cantare l’inno di Zaccaria, padre di Giovanni il Battista, significa avere un occhio rivolto all’Antico Testamento ma anche essere ben saldi sulla soglia del Nuovo.
Il Benedictus, infatti, è l’annuncio dell’inizio di una nuova era: quella della luce e del compimento delle promesse antiche.
È un inno che, nella liturgia delle ore, si canta alle Lodi mattutine: illuminati dall’aurora che fa diradare le tenebre, ricordiamo le profezie rivolte a Israele.
Il nome Zaccaria significa «il Signore ricorda». Il suo canto (Lc 1, 68-79) ha la funzione di disporci a celebrare il memoriale del Signore fedele: le attese di Israele sono esaudite, infatti, perché è il Signore stesso che fa memoria della sua santa alleanza, del giuramento fatto ad Abramo e alla sua discendenza.

Punti di sutura

I primi personaggi importanti che appaiono nel Vangelo di Luca, oltre a Maria e Giuseppe, sono Elisabetta e Zaccaria, Simeone e Anna: punti di sutura tra Antico e Nuovo Testamento, proprio come lo stesso Giovanni Battista che viene citato da suo padre nell’inno: «E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo / perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade».
Il compito del Battista appare subito come quello di indicare colui che si confonde tra la folla, il Cristo, l’agnello, la vera luce, colui nel quale tutto sarà ricapitolato affinché Dio possa essere tutto in tutti (1Cor 15,28).

Benedizioni

Il Benedictus si apre con una formula di benedizione all’indirizzo di Dio: «Benedetto il Signore, Dio di Israele. / Perché ha visitato e redento il suo popolo» (Lc 1,68).
È una formula per riconoscere che Dio, per sua stessa natura, è benedetto e, in quanto tale, è il padre di ogni benedizione.
Benedizioni simili si trovano nelle dossologie che chiudono alcuni libri dei Salmi: il primo libro (Sal 41,14), il secondo (Sal 72,18) e il quarto (Sal 106,48). Al termine di questi libri, la comunità orante eleva la sua voce a Dio per celebrarne le grandi meraviglie.
Nel cantico, Zaccaria benedice Dio anche per il Battista, mandato sulla scena della salvezza e della redenzione come precursore del Messia annunciato.
Il Dio di Israele si rivela ora come Dio di Gesù, il Dio che si può toccare, accarezzare, vedere. Il Dio che compie azioni puntuali nella storia: «Egli ha visitato e redento il suo popolo».

Visitare

Il verbo «visitare» sottolinea l’atteggiamento di un Dio che si prende cura della condizione esistenziale del suo popolo. Egli abbandona, per così dire, la sua trascendenza e scende tra gli uomini per sollevarli dalla loro condizione precaria.
Il pensiero va subito all’intervento di Dio a favore di Israele schiavo in Egitto.
Per il tramite di Mosè dice: «Sono venuto a visitare voi e quanto viene fatto a voi» (Es 3,16).
Si reca in Egitto perché il suo figlio prediletto possa incamminarsi verso la libertà.
Lo conduce attraverso il deserto terribile e a suo favore opera segni e prodigi.
La sua visita è un vero atto di amore, di fedeltà e misericordia. Egli fa sentire la sua rassicurante presenza mentre il popolo affronta le difficoltà del cammino verso la terra della promessa.
Luca ama molto il verbo «visitare», e lo usa per ben quattro volte (1,68.78; 7,16; 19,44).
Per l’evangelista la visita divina si concretizza con l’invio del Cristo Gesù, e il suo effetto immediato è la redenzione.
La presenza del Messia in mezzo al suo popolo è il segno visibile dalla cura e sollecitudine di Dio per l’uomo.
Gesù è l’irradiazione della presenza del Padre in mezzo a noi, è la visibilità dell’invisibile Dio.

Riconoscere la visita

Luca oppone Zaccaria, che riconosce la visita di Dio presso il suo popolo, a Gerusalemme, che, invece, non la riconosce.
Gesù piangerà sulla città santa: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata» (Lc 19,42-44).

Pagare il riscatto

Nei Salmi 19,15 e 78,35, Dio è definito come «colui che riscatta».
Nel Benedictus la visita divina avviene con la venuta del Messia cui è affidato il compito di riscattare il popolo dell’alleanza.
Per un’opera di tale portata il Messia prende le vesti della vittima sacrificale. La redenzione richiede che si paghi «il prezzo del riscatto» (cfr. 1Cor 6,20; 1Pt 1,18-19), cosa che Gesù farà con la sua immolazione per noi.
Per capire l’idea di riscatto e l’opera della redenzione ci viene in aiuto la Lettera agli Ebrei, che afferma: «Cristo, invece, è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna. Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente?» (Eb 9,11-14).
In questo brano va sottolineata la valenza sia teologica che cristologica: Dio prende l’iniziativa per la redenzione del popolo, e la realizza attraverso il «prezzo» del sangue del Figlio.
Offrendo la sua vita sulla croce, Cristo diventa egli stesso «redenzione» per noi (cfr. 1Cor 1,30).
Non solo Dio si premura di visitare il suo popolo, ma, atto di grandissimo amore, paga il prezzo del riscatto sacrificando la vita del suo Primogenito, che si è fatto «vittima di espiazione per i nostri peccati; non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1Gv 2,2).

Il corno di salvezza

Il Benedictus prosegue con l’annuncio della venuta del Messia:
«E ha suscitato per noi un corno di salvezza nella casa di David, suo servo» (v. 69).
Questo versetto è un’ulteriore spiegazione del motivo per cui benedire Dio, e aggiunge che la visita e la redenzione consistono nell’invio del Messia, un «corno di salvezza» secondo una traduzione letterale del greco.
La metafora del corno sta a indicare «forza e potenza». Le traduzioni moderne giustamente lo rendono con l’espressione «una salvezza potente». Il Messia, dunque, è dotato di forza e potenza con cui può operare redenzione e salvezza.
Il simbolo del corno ricorre anche nei Salmi 89,18; 148,14 e nel profeta Ezechiele 29,21.
È iniziata la nuova era che vedrà la forza e la potenza concentrata nelle mani del Messia per realizzare la salvezza del popolo.
Il Sal 132,17 offre all’evangelista Luca l’immagine che accosta il Messia al suo precursore: «Là farò germogliare un corno per Davide preparerò una lampada per il Messia».
È chiaro che il corno di Davide rappresenta l’azione potente del Messia e la lampada rappresenta il Battista che lo ha preceduto. Di lui, infatti, Gesù dice: «Giovanni era una lampada che arde e risplende e voi avete voluto solo per un momento rallegrarvi alla sua luce» (Gv 5,35).
Nel versetto 69 del Benedictus la scelta del verbo «suscitare» è molto significativa perché traduce il verbo greco «egeiro», che nel Nuovo Testamento viene usato come verbo tecnico per indicare la risurrezione. Questo potrebbe indicare che Luca intende offrire già nel Benedictus, all’inizio del suo Vangelo, un’anticipazione della sua conclusione: il Signore risorto.

di Antonio Magnante

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