Slow page dei Missionari della consolata

14/ 1Corinti. La resurrezione

Se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede

La resurrezione di Gesù (15,1-11)

Concluso il tema dei carismi e del loro uso, Paolo affronta un nuovo problema sul quale gli sono arrivate certe dicerie: «Come mai alcuni fra voi dicono che non vi è risurrezione dei morti?» (v. 12).

È possibile che nella comunità qualcuno fosse influenzato dal pensiero filosofico greco che separava l’anima dal corpo e valorizzava solo quella riducendo il corpo a materia disprezzabile e deperibile.
Se alla morte l’anima si libera dal corpo, che senso ha recuperarlo? Chiudere o sotterrare di nuovo l’anima in esso attraverso una futura risurrezione corporale? Sarebbe come fare ritornare l’anima di nuovo alla tomba, giocando sulle parole greche «soma» = corpo e «sema» = tomba.

Queste persone accettavano la risurrezione di Gesù e ne godevano già pienamente. Prova di ciò è l’euforia spirituale suscitata da questa supposta libertà dell’anima e conoscenza superiore che portava a certi malintesi carismi (cf. 14,12-19). Le conseguenze non erano tanto innocenti. Per esempio l’indifferenza morale circa tutto ciò che riguardava il corpo, sessualità inclusa (cf. 6,12s) o la mancanza di sensibilità circa la situazione dei più poveri ed emarginati della comunità (cf. 8,1-12; 10,23).

Paolo quindi affronta il tema della risurrezione di Gesù legandola indissolubilmente alla nostra. E lo fa in modo sistematico e ordinato.

1Vi proclamo poi, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi 2e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!

1Cor 15, 1-2

«Desidero ricordarvi la buona notizia che vi ho annunciato» (1). L’introduzione è solenne perché introduce a ciò che è fondamentale nel vangelo che Paolo predica e che i Corinti hanno accolto con la fede, «sempre che conserviate il messaggio tal quale io vi ho predicato» (2).
Questa Buona Notizia era già stata «fissata/espressa» al tempo di Paolo in una specie di «confessione di fede» accettata da tutte le comunità cristiane e articolata con espressioni precise e chiare che si riferiscono a due fatti correlati tra loro: la morte e la resurrezione di Gesù. Una morte che perdona i peccati perché sbocca nella resurrezione.
La menzione della sepoltura attesta la morte. Le apparizioni attestano la vita. Il motivo per cui Paolo ricorda loro questa tradizionale «confessione di fede» è probabilmente il fatto che qualcuno a Corinto metteva in dubbio la sua autorità di apostolo.

3A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che 4fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture 5e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.
6In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. 7Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. 8Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. 9Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. 10Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. 11Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.

1Cor 15, 3-11

Una volta messa in chiaro la «professione di fede», Paolo enumera i testimoni della resurrezione di Gesù a cominciare dai più qualificati, Pietro e i Dodici seguiti dagli altri «Apostoli» e da un gruppo impressionante di 500 fratelli e sorelle.
Paolo si pone in piedi accanto agli altri testimoni, sebbene si assegni l’ultimo posto della fila (cf. Ef 3,8).
La testimonianza oculare di questi uomini e donne che videro Gesù risuscitato, parlarono e mangiarono con lui, è fondamentale per la nostra fede. A loro noi facciamo riferimento quando recitiamo il «credo» nella celebrazione eucaristica, confessando di credere in una chiesa santa, cattolica e «apostolica».
Crediamo non solamente a ciò che gli apostoli hanno visto con i propri occhi, cioè che Gesù era vivo, ma anche a ciò che essi «credettero»: che, cioè, la vita del risorto è donata a tutti come perdono dei nostri peccati e primizia e promessa della nostra risurrezione futura.
La risurrezione di Gesù perciò è più che un «fatto reale», è anche una «realtà di fede». Per questo la Chiesa, fin dal suo inizio non fu un movimento dai contorni indefiniti, ma una comunità convocata e riunita attorno a questa «realtà di fede», fondata sui «testimoni della risurrezione», gli apostoli.
Così continua a essere oggi, e così continuerà fino alla fine dei tempi.
La chiesa tutta e ciascuno e ciascuna dei suoi membri secondo il loro ministero: papa, vescovi, sacerdoti, laici e laiche abbiamo il dovere primordiale di mantenere intatta e viva la testimonianza degli apostoli.

Anche noi risuscitiamo (15,12-34)

La resurrezione di Gesù è ordinata alla nostra; se non c’è la nostra, non ci fu quella di Gesù. Paolo argomenta riducendo ad absurdum la posizione di coloro che negano la risurrezione. Se Gesù non è risorto, la nostra fede manca di oggetto e fondamento, la nostra speranza è illusoria e tragica. L’Apostolo arriva a dire che noi cristiani saremmo le persone «più degne di compassione» per aver posto la nostra speranza in Cristo «solo per questa vita» (19). Un disastro per coloro che sono già morti e un gran vuoto per coloro che sono ancora vivi.
Una vaga immortalità «dell’anima» senza corpo come proponeva la filosofia greca ripugna sia al Paolo della tradizione giudaica che al Paolo cristiano. 
Questi versetti costituiscono una grande affermazione della speranza cristiana. Paolo contempla l’umanità come una grande impresa solidale, tanto nella disgrazia quanto nella salvezza. La contrapposizione Adamo-Cristo per lui (Paolo) ha simultaneamente un valore storico, antropologico e salvifico. L’umanità sotto il peccato e la morte – simbolizzata in Adamo – è sostituita dall’umanità sotto la grazia e la vita che ci dà Cristo. La prima fu causata dalla disobbedienza di uno, la seconda per l’obbedienza dell’altro (cf. Rom 5,19). Il dolore e la morte sono il contrario del piano di Dio. Per mezzo di Cristo, questo piano, che è piano di vita, è ristabilito.

12Ora, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? 13Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! 14Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede. 15Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato il Cristo mentre di fatto non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. 16Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; 17ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. 18Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. 19Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini.

1 Cor 15, 12-19

In questo cammino verso la vita, Paolo stabilisce queste tappe: prima, la risurrezione di Cristo che è già una realtà; seconda, la risurrezione universale «quando verrà» (23); terza, la sottomissione di tutti i poteri ostili a Dio, fino a terminare con l’ultimo di questi, la morte. Si veda Isaia 25,8: «Annienterà la morte per sempre»; o Apocalisse 20,14: «La Morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco». In quel giorno si impianterà definitivamente il «regno di Dio» che Gesù cominciò a proclamare in Galilea (Mc 1,15).

20Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. 21Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. 22Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. 23Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. 24Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. 25È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. 26L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, 27perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi. Però, quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. 28E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.

1Cor 15, 20-28

L’Apostolo utilizza altri argomenti per rendere ben chiaro il suo messaggio. Uno preso dalla pratica di alcuni Corinti che ricevevano un secondo battesimo per applicarlo a parenti e amici non cristiani già morti.
Sebbene non ci sia chiaro che tipo di pratica fosse questa – l’Apostolo né l’autorizza né la proibisce -, pare che assomigli più o meno ai nostri suffragi e preghiere che offriamo per i defunti e che suppongono la credenza in una vita futura dopo la morte. 
Per ultimo, facendo riferimento a sé stesso, Paolo dice che starebbe soffrendo invano se non credesse nella risurrezione. Se non ci fosse risurrezione, avrebbero ragione coloro che reggono la loro vita sul detto popolare: «Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo perché domani moriremo» (32).

29Altrimenti, che cosa faranno quelli che si fanno battezzare per i morti? Se davvero i morti non risorgono, perché si fanno battezzare per loro? 30E perché noi ci esponiamo continuamente al pericolo? 31Ogni giorno io vado incontro alla morte, come è vero che voi, fratelli, siete il mio vanto in Cristo Gesù, nostro Signore! 32Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Èfeso contro le belve, a che mi gioverebbe? Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, perché domani moriremo. 33Non lasciatevi ingannare: «Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi». 34Tornate in voi stessi, come è giusto, e non peccate! Alcuni infatti dimostrano di non conoscere Dio; ve lo dico a vostra vergogna.

1Cor 15, 29-34

Come risuscitano i morti? (15,35-58)

Paolo comincia la sua risposta a questa domanda chiamando «sciocchi» coloro che immaginavano che i cadaveri uscissero dalla tomba con la loro carne ricomposta. È possibile che si tratti di un’immagine ridicola di coloro che negavano la risurrezione.
Quale sarà, allora, la realtà del nostro corpo risorto? L’apostolo, attraverso paragoni ci porta all’unica risposta possibile: l’illimitato potere divino che si manifesta sia nel mondo vegetale che animale.

35Ma qualcuno dirà: «Come risorgono i morti? Con quale corpo verranno?». 36Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore. 37Quanto a ciò che semini, non semini il corpo che nascerà, ma un semplice chicco di grano o di altro genere. 38E Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo. 39Non tutti i corpi sono uguali: altro è quello degli uomini e altro quello degli animali; altro quello degli uccelli e altro quello dei pesci. 40Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti, altro quello dei corpi terrestri. 41Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle. Ogni stella infatti differisce da un’altra nello splendore.

1Cor 15, 35-41

Forse oggi noi, conoscitori dei codici genetici delle piante e degli animali abbiamo perso lo stupore davanti alla trasformazione che sperimenta l’umile «chicco di frumento o di altro genere» (37) che muore per donare nuova vita. Non era così per la cultura biblica entro la quale si muove Paolo. I paragoni vegetali sono frequenti nell’Antico Testamento e normalmente servono a esaltare la vitalità permanente, crescente e rinnovata (cf. Sal 1; 92; Job 14,7-9.).
Gli ebrei non avevano idee chiare circa la vita vegetale, e attribuivano all’azione diretta di Dio il cambio prodigioso di un semplice seme in un fusto robusto e una spiga ripiena. Sollecitato dal contesto, Paolo richiama: «A ciascun seme il suo corpo» (38), alla pianta matura che, con il cambio totale della sua forma materiale, esalta il principio vitale che la trasforma e che non è altro che il potere di Dio.

42Così anche la risurrezione dei morti: è seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; 43è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; 44è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale.
Se c’è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale. Sta scritto infatti che 45il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. 46Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. 47Il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo. 48Come è l’uomo terreno, così sono quelli di terra; e come è l’uomo celeste, così anche i celesti. 49E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste. 50Vi dico questo, o fratelli: carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che si corrompe può ereditare l’incorruttibilità.

1Cor 15, 42-50

L’Apostolo tira la conclusione: la metafora della semina accenna/richiama all’atto di sotterrare il defunto (cf. Gv 12,24). Si semina «corruttibile, miserabile, debole come corpo naturale, risuscita incorruttibile, glorioso, potente, come corpo spirituale» (43s). La risurrezione, infatti, non è il risultato di un processo o evoluzione naturale, ma opera della potenza di Dio, un progredire in avanti, un salto qualitativo sino alla sfera del divino che porta con sé «il corporale e terreno» come è successo per il corpo risuscitato di Gesù.
È qualcosa di così indescrivibile che Paolo lo designa con un paradosso: «Si semina un corpo naturale, resuscita un corpo spirituale» (44).
Continua poi sviluppando il suo messaggio con il paragone Adamo-Cristo: non è un ricorso mitico ma storico. Il primo Adamo simbolizza l’essere vivo, animale che viene dalla terra. Il secondo Adamo – Cristo risorto – è Spirito di vita che viene dal cielo. Il primo è l’immagine della nostra condizione terrestre, l’immagine che il padre trasmette al figlio (cf Gen 5,3), il secondo è l’immagine della nostra condizione celeste.
Adesso «la carne e il sangue», il corpo umano corruttibile, sono incapaci di ricevere l’eredità del «regno» della gloria e immortalità, non ha più diritto a questo. Deve prima trasformarsi mediante la potenza di Dio. Paolo si riferisce a questa necessaria trasformazione con lo sguardo rivolto agli eventi degli ultimi giorni (cf.1 Tes 4,15-17).

51Ecco, io vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati, 52in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba. Essa infatti suonerà e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. 53È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta d’incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta d’immortalità. 54Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d’incorruttibilità e questo corpo mortale d’immortalità, si compirà la parola della Scrittura: La morte è stata inghiottita nella vittoria.
55Dov’è, o morte, la tua vittoria?
Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?
56Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. 57Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo! 58Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.

1Cor 15, 51-58

Sia che la seconda venuta del Signore ci trovi vivi, sia che ci trovi morti, la trasformazione sarà necessaria sia per gli uni che per gli altri. Allora sarà inaugurata la tappa definitiva dell’umanità. L’Apostolo che pensava che la Parusia, o seconda venuta del Signore, fosse imminente, sperava di trovarsi tra i vivi quando quel giorno sarebbe arrivato. Questo mistero della risurrezione, che è già in marcia, conclude Paolo, non deve portarci a una speranza passiva, ma, al contrario, è un invito al progresso nel compito che ci è assegnato. L’esortazione finale a perseverare nell’impegno e nello sforzo si connette con 15,30-32. La speranza nella risurrezione finale dà significato alla lotta e alle fatiche quotidiane.

di Mario Barbero

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Mario Barbero

Padre Mario Barbero, missionario della Consolata, nato nel 1939, è stato a Roma durante il Concilio, poi in Kenya, negli Usa, in Congo RD, in Sudafrica, in Italia, di nuovo in Sudafrica, e ora, dal 2021, nuovamente in Italia. Formatore di seminaristi, ha sempre amato lavorare con le famiglie tramite l’esperienza del Marriage Encounter (Incontro Matrimoniale).

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