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Spiritualità missionaria: assimilazione a Cristo

Riacquistare quell'equilibrato radicalismo evangelico delle prime comunità. Ecco la prima di tre puntate sulla spiritualità missionaria

Padre Flavio Pante, tra i Pigmei del Congo RD. / © Af.MC_foto di Benedetto Bellesi, 2010.

La spiritualità del missionario si modella sulle parole e azioni di Gesù. S’impone quindi di riconquistare quell’equilibrato radicalismo evangelico che era vissuto sia dalle prime comunità cristiane che dall’apostolo Paolo.
Ecco la prima di tre puntate sulla spiritualità missionaria.

La conversione

Il missionario è un uomo chiamato a un compito di frontiera: l’estensione del Regno di Dio.
Il suo carisma di inviato da parte della Chiesa si compie nella linea dell’urgenza di annunciare e impiantare il Regno.
Tale condizione d’urgenza impone, però, sia al missionario sia ai popoli a cui è inviato, un lento ma progressivo processo di conversione.
Il Regno attecchisce là dove si realizza una compenetrazione armonica tra le istanze tradizionali e quelle del Regno.
Sull’esempio di Gesù, che si distacca dal filone della tradizione giudaica, infatti, il missionario deve, a sua volta, distaccarsi dai suoi messaggi, dalle sue esigenze e ideologie. Egli deve divenire consapevole di non avere un messaggio proprio, ma di essere solo l’araldo di un messaggio che egli stesso ha ricevuto.
Come Gesù è l’inviato, anche il missionario è in movimento in una duplice direzione: nella profondità del suo mistero personale e nel mistero della realtà del popolo a cui è inviato. Sia in sé che nei popoli, il missionario deve impiantare il Regno di Dio. Attraverso questo pellegrinaggio egli otterrà, insieme alla conversione personale, anche la trasformazione della famiglia umana.
Se il messaggio è annunciato integralmente e nella radicalità che gli è propria, esso produrrà frutti d’amore, di perdono e di servizio reciproco e riuscirà a stabilire «la comunione di tutti gli esseri umani tra loro e con Dio» (Redentoris Missio, 15).

Instaurare il Regno

La proclamazione e l’instaurazione del Regno di Dio costituiscono gli elementi formali dell’attività del missionario e quindi della sua spiritualità.
Questo fu l’impegno dell’attività pubblica di Gesù.
L’adeguamento del missionario alle esigenze del Regno però è un cammino lento e faticoso che avviene solamente se, come fecero gli Apostoli, egli accetta la realtà misteriosa della Pentecoste. Il coraggio e la parresia vengono direttamente dall’azione potente dello Spirito che rende il missionario strumento valido e insostituibile del Regno.
Lo Spirito rende il missionario capace di attaccare anche le porzioni inconvertibili della propria persona e lo libera al punto di farlo pura irradiazione della salvezza voluta dal Padre.
Con il battesimo, il Paraclito alberga nel cuore dei cristiani, «affinché rimanga con loro» (Gv 14,16), continui a istruirli e comprendano la Persona di Cristo ancora misteriosa (Gv 14,26).

Spiritualità missionaria

Una vera spiritualità missionaria, a nostro giudizio, deve avere un’impronta cristologica, perché Cristo e il suo Vangelo sono l’oggetto della proclamazione dell’apostolo. Dagli scritti del Nuovo Testamento risulta chiaramente che gli inviati non hanno un messaggio loro proprio da portare, e che, per questo, non possono farsi maestri di nulla. Non si dà proclamazione e instaurazione del Regno se non nelle parole, azioni e nella Persona del Cristo.
Il missionario è chiamato ad accogliere in sé la totalità dell’evento Cristo e a verificare quanto esso sia radicato in lui. Diventare «uno con Cristo» in un processo di osmosi totale conduce il missionaio ad affermare con Paolo: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal 2,20).
L’affermazione di Paolo è, a dir poco, sorprendente, e farà forse sobbalzare i cultori della psicologia, preoccupati di salvaguardare la personalità individuale. Noi riteniamo che proprio qui risiede l’elemento formale fondamentale della spiritualità del missionario: una totale e incondizionata assimilazione a Cristo, vissuta nella fede, cioè nella fiducia spassionata in Lui (Cf. Gal 2,20b). Viene qui in mente la reazione di Pietro che, sommessamente, fa notare a Gesù che non si pesca di giorno, ma che subito aggiunge: «Ma sulla tua parola getterò le reti» (Lc 5,6).
Il missionario deve esprimere una perenne tensione verso il Cristo per assimilare i suoi valori, principi e verità, addirittura la sua personalità. Una volta che la vita di Cristo è penetrata nei tessuti più intimi del missionario, allora egli è capace di «essere per» il Regno, di donarsi per esso e farsi «tutto a tutti» (Cf. 1Cor 9, 19. 23).

Come i catecumeni
Il volontario Lazzarino tra i Pigmei del Congo RD. / © Af.MC_foto di Benedetto Bellesi, 2010.

Una tale oblatività si esprimerà in termini di amore totale e perseverante, di dedizione agli altri e di capacità di sopportare i disagi innumerevoli che sorgono a causa del Vangelo e, dunque, di Cristo (Cf. 2 Cor 10-13). Tutte le energie e facoltà del missionario saranno spese senza tregua affinché Cristo sia radicato nel cuore di ognuno. Egli deve poter dire con Paolo: «Se annuncio il Vangelo, non è per una gloria, è una necessità che m’incombe; guai a me se non annunciassi il Vangelo» (1Cor 9,16).
L’urgenza dell’annuncio spingerà il missionario a realizzare sempre di più un’unità inscindibile sia con il messaggio che porta che con i destinatari di esso, fino al dono della vita: «Noi volevamo dare non solo il Vangelo di Dio, ma anche la vita, perché ci eravate diventati cari» (1 Tess 2,8).
Il messaggio e gli stessi destinatari costituiscono gli elementi fondamentali per la spiritualità missionaria. Questa deve costantemente oscillare tra questi due poli: da una parte l’immersione nelle sorgenti della Parola, che è Cristo (Cf. identificazione tra Vangelo e Cristo: Mc 1,1; Rm 15,19; 1Cor 9,12; 2Cor 2,12; 9,13; 10,14; Gal 1,7; Fil 1,27; 1Tess 3,2), e dall’altra l’oblatività senza riserve per i destinatari della Parola stessa.
Nella sua vita il missionario che è allenato a tenere in armonia la tensione tra questi due poli, diventerà una cristofania: trasparenza e irradiazione del Vangelo. Chiamato a comprendere la natura del Vangelo e, dunque, di Cristo per sperimentare «quale [ne] sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità» (Ef 3,18), e per «conoscere le insondabili ricchezze di Cristo» (Ef 3,9), il missionario vive il mistero di Cristo «inviato» ( Cf. Redentoris Missio, 88) diventando capace di far nascere comunità che, a loro volta, diventano centri luminosi di testimonianza.
Per un’efficace azione missionaria è necessario modellare continuamente la vita su quella di Cristo e riacquistare l’entusiasmo e la gioia della prima comunità cristiana. In una parola riacquistare l’entusiasmo dei catecumeni della prima comunità cristiana che aspettavano ansiosamente la notte di Pasqua per essere immersi nelle acque rigeneratrici del battesimo.

di Antonio Magnante
(continua)

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