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Crea in me, o Dio, un cuore nuovo

Breve viaggio nel Salmo 50.

foto in cc di Silvia Sala_flickr.com
Il Salmo 51(50) ci porta nel cuore dell’uomo e nel cuore della sua relazione con Dio. Il peccato e la purificazione si confrontano con la pietà, la fedeltà amorosa e le viscere di misericordia di Dio.

Terza puntata sul tema della Misericordia.

Se vuoi leggere la prima puntata, clicca qui; per la seconda, clicca qui.

Il Salmo 51(50), appartiene al genere della supplica individuale. Esso presenta, per così dire, la teologia del peccatore. Cosa avviene nel cuore dell’uomo quando prende coscienza della sua colpa e cerca di aprirsi a Dio? L’incontro con il Creatore lo trasforma in una nuova creatura (cf. 2Cor 5,17), un uomo nuovo (cf. Ef 4,23-24).
L’espressione «Pietà di me, O Dio, secondo la tua misericordia» apre il salmo con un appello alla misericordia che regge tutta l’impalcatura del testo, ripetendosi diciassette volte attraverso imperativi rivolti all’hesed di Dio, cioè al suo tenero amore di padre, e alle sue viscere di madre.

CONFESSIONE E RICHIESTA DI PERDONO (1-9)

Il primo passo per la conversione è la presa di coscienza del peccato. In apertura del Salmo sono presenti tre termini molto importanti, carichi di valenze metaforiche: «trasgressioni», «iniquità», «peccato».

Peccato. Il termine, che ricorre 595 volte nell’A.T., suggerisce etimologicamente il «mancare un bersaglio». L’idea di meta è importante. Il suo valore simbolico è ben illustrato da Gdc 20,16, ove si dice che i frombolieri «erano capaci di colpire con un sasso un capello senza sbagliare». Il bersaglio per noi è il Signore, ma i nostri occhi, la nostra mente, il nostro cuore sono spesso diretti altrove. Il salmista, dunque, invoca il Signore affinché riorienti tutte le sue facoltà. Il grande peccato, infatti, per la Bibbia è il non lasciare il primo posto al Signore.

Iniquità. L’altro termine è iniquità, colpa, usato nell’A.T. 227 volte. L’originale termine ebraico deriva dal verbo ‘wh che significa «torcere», «curvare», e quindi dà l’idea di una deviazione tortuosa da ciò che è bene. La conversione è, quindi, reinvertire la marcia. La Bibbia usa il verbo «ritornare»: indicativo è il caso del figliol prodigo di Luca, che «parte per un paese lontano» e, convertendosi, «ritorna da suo padre» (Lc 15).
Convertirsi significa dunque invertire la marcia e camminare spediti verso il Padre che sta aspettandoci da troppo tempo, scegliere Dio e riservare a lui il posto d’onore nella nostra vita.

Trasgressione. Il terzo termine, usato come verbo 41 volte e come sostantivo 92, indica precisamente la «ribellione» contro Dio (cf. Es 21,8; Ger 3,20; Is 1,20; 50,5). Se peccato e iniquità evocavano l’immagine di un gregge sbandato, fuori dalla pista giusta e lontano dall’oasi (vedi Ez 34; Lc 15,4-7; Mt 18,12-24), il terzo termine suppone una sfida all’indirizzo di Dio. Per questo la trasgressione esprime il peccato radicale, quello «dei primi genitori» che avrebbero voluto «essere come Dio e conoscere il bene e il male» (Gen 3,5).
Qui entra in gioco l’idea di «progetto». Colui che trasgredisce vuole seguire un suo progetto personale e non si preoccupa di quale sia il progetto di Dio sulla sua persona. Dio va scrutato e pregato per conoscere fino al dettaglio quello che ha progettato per me, senza pretendere di dargli dei suggerimenti.

LA PURIFICAZIONE

Il concetto di colpa richiama l’idea di purificazione, descritta con tre verbi: cancellare, lavare e brillare.

Cancellare. L’idea di fondo è che si deve cancellare qualcosa che era precedentemente scritto. Si credeva che Dio scrivesse su un libro universale le nostre mancanze, e quindi qui il salmista richiede che quanto possa riguardarlo sia cancellato definitivamente. Vediamo alcuni esempi: «Io cancello i tuoi misfatti per amore di me stesso, e non ricordo più i tuoi peccati», Is 43,25; e ancora: «Ho dissipato come nube le tue iniquità e i tuoi peccati come una nuvola. Ritorna a me, perché io ti ho redento», Is 44,22.

Lavare. Questo termine suppone il mondo dei lavandai. Dall’idea delle vesti e panni da lavare si passa all’idea di purificazione, che è un cammino spirituale, infatti Yahweh per bocca di Geremia (2,22) esclama a proposito di Gerusalemme: «Anche se tu ti lavassi con soda e molta potassa, resterebbe davanti a me la macchia della tua iniquità». Ed ancora un altro testo dove il simbolo idrico si fonde con quello del fuoco, Yahweh dice: «Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia», Malachia 3,2-3.

Brillare. L’idea è quella del fulgore appannato dall’impurità e restituito alla sua brillantezza con la purificazione. Tutto ciò che risulta contaminato deve essere purificato. In ogni caso il peccato contamina le persone, le fa sbiadire. Questa perdita di luminosità va ristabilita nel suo splendore. L’orante si affida a Dio poiché solo lui può cambiare la situazione, può ridare luminosità allo spirito, lavare le nostre colpe, ma soprattutto può indicarci la direzione giusta per il nostro cammino.

I TRE ATTRIBUTI DI DIO

Alle tre definizioni di peccato corrispondono tre attributi di Dio. Sono gli stessi che si ritrovano anche nella professione di fede di Es 34.

Pietà (hanan). L’idea di fondo di questo verbo è il piegarsi del principe verso il suddito, per manifestare la sua grazia e favore. Dio, dunque, pieno di grazia e bontà si piega verso Israele per essere a lui «favorevole» e «avere pietà» (Sal 2,2; 6,3; 25,16; 27,7).

Fedeltà amorosa di Dio (hesed). Questo termine scandisce il ritmo del grande Hallel (Sal 136) per ben 26 volte. Esso comporta una vasta gamma di significati. Nei Salmi è usato 127 volte e descrive di Dio la bontà, la grazia, la tenerezza, la fedeltà nei confronti dell’orante.

Viscere di misericordia (rahamim). Nella sua forma plurale rahamim il cui significato è «viscere» richiama molto da vicino il seno della madre. Dio non si può dimenticare delle sue creature e fa dire a Isaia 49,15: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai».
Con questo ardito antropomorfismo, si illumina l’amore tenero ed appassionato di Dio. Questa immagine ricorre anche in alcune commosse preghiere del salterio (25,6; 86,5.15-16; 103,4-13; 116,5-6). Citiamone uno come esempio: «Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono» (Sal 103,13).
La misericordia e l‘amore di Dio, sono, quindi, la radice del perdono. La sua vera essenza è Misericordia come se fosse il suo cognome.

MANTENERSI FEDELI

Il cuore dell’uomo è incline al peccato. Sembra estremamente difficile per lui mantenersi fedele a Dio. Per questo egli ha bisogno di salvezza che si ottiene attraverso un cambiamento di cuore (sede dell’intelligenza e della volontà).
Nel contesto del diluvio, ad esempio, Dio dice: «Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo, perché ogni intento del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza» (Gen 8:21). Il profeta Geremia ammonisce e il salmista prega: «Può un Etiope cambiare la pelle o un leopardo le sue macchie? Allo stesso modo: potrete fare il bene voi, abituati a fare il male?» (Ger 13,23).
«Non entrare in giudizio con il tuo servo: davanti a te nessun vivente è giusto» (Sal 143,2).
Alla luce di questi testi, l’uomo, non ha bisogno di un cuore purificato, ma di un cuore nuovo, diverso da quello della prima creazione. Un cuore non incline al male, ma «puro», capace di osservare fedelmente i comandi del Signore.
E Dio nella sua eterna bontà è pronto per una nuova creazione: dobbiamo solo chiederglielo.

Antonio Magnante

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