Slow page dei Missionari della consolata

A Cracovia, pellegrini e naufraghi

Da tutto il mondo alla Polonia, per una Gmg di misericrdia.

Centoquindici pellegrini sulle vie della Polonia per la Giornata Mondiale della Gioventù. Il racconto dei dieci giorni tra Varsavia e Cracovia del gruppo internazionale dei giovani della Consolata.
Dal mondo, nel mondo, ma non del mondo.

In occasione della trentunesima Giornata Mondiale della Gioventù, noi giovani della Consolata ci siamo riuniti in Polonia, accolti da padre Luca, padre Ashenafi e padre Natanaele. A Łomianki, in una piccola parrocchia della periferia di Varsavia, siamo arrivati da Polonia, Italia, Spagna, Portogallo, Messico, Colombia e Kenya.
La sfida che ci ha convocati è stata quella di sperimentarci nel vivere in comunione e pienezza le parole del Vangelo di Matteo 5,7, «Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia», che è stato il fulcro della Gmg.

Dov’è Dio? dov’è l’uomo?
Centoquindici giovani da tre continenti, accompagnati da sacerdoti e seminaristi. Due intense settimane in cui ci siamo sentiti naufraghi e pellegrini. Pellegrini perché siamo sempre alla ricerca (sarà un vizio di noi giovani?), naufraghi perché portiamo con noi domande alle quali ci sembra spesso impossibile trovare risposte soddisfacenti, domande più grandi di noi, sempre aperte, che sorgono non appena apriamo gli occhi con attenzione sul mondo in cui viviamo. Dunque pellegrini in viaggio, in cerca di risposte alle domande che ci trascinano come naufraghi.
Una delle prime tappe del nostro pellegrinare è stata il cimitero di Palmiry, dove, durante la Seconda Guerra Mondiale, i nazisti uccisero 1700 persone, ebrei e oppositori al regime, tra cui politici e professori universitari di Varsavia.
In un simile luogo le domande del naufrago che è in noi emergono con forza: «Dov’è Dio di fronte all’ingiustizia, al male?». Papa Benedetto XVI aveva ribattuto con un’ulteriore domanda: «Dov’è l’uomo?». Forse non esistono risposte umane, come ha detto papa Francesco, possiamo solo «guardare chi soffre: Gesù, Dio è in loro […], abbraccia la nudità e la fame, il dolore e la morte di ogni uomo di tutti i tempi».
A Palmiry abbiamo celebrato una messa, in cui, leggendo il vangelo di Giovanni 20, è emersa la domanda: «Chi cerchi?». Nel Vangelo la domanda è una provocazione e nel contempo un indizio che indica proprio Gesù, il Dio misericordioso, come meta del nostro cercare.

Esperienza di misericordia
In questi giorni, piuttosto che definire cosa voglia dire per noi misericordia, l’abbiamo vissuta sulla nostra pelle.
Per prima cosa, «misericordia» è stata l’accoglienza ricevuta. Le famiglie polacche ci hanno ospitati come fossimo stati loro figli, aspettandoci di notte se facevamo tardi e alzandosi presto con noi la mattina, offrendoci il meglio che potevano, sempre con cura e premura nei nostri confronti, sia a Varsavia che a Cracovia. Anche la parrocchia di Łomianki ha messo in gioco tutte le sue forze per farci trovare un programma ricco e un’organizzazione perfetta, grazie ai quali abbiamo vissuto momenti intensi di preghiera, uniti al gioco e alla visita della città di Varsavia come occasioni di conoscenza tra di noi.

Capaci di sognare
Un modo più intimo di sperimentare la misericordia è stato il sacramento della confessione, momento in cui abbiamo avuto uno spazio personale per riflettere di fronte alla chiesa della Divina Misericordia a Cracovia. Qui «misericordia» è stato metterci a nudo, ciascuno nella propria relazione con Dio, sperimentando un Dio che si pone sul nostro stesso piano e si rivela come abbraccio piuttosto che come dito puntato, spingendoci a rimetterci in gioco per dare il meglio agli altri, «il meglio, non ciò che avanza», come ha sottolineato papa Francesco.
Proprio il papa, nei discorsi tenuti di fronte a un milione di giovani che pendevano dalle sue labbra, ci ha spronati con forza in questa direzione, provocando in noi il sentimento del riscatto, del rifiuto di una gioventù sprecata nel «doping di puntare sempre al successo» e nella «droga di pensare solo a se stessi».
Il pellegrino è colui che punta al futuro, con la forza di opporsi al «nulla si può cambiare». Il pellegrino è colui che sa gridare un forte «sì», come ha gridato con noi un milione di giovani, alla domanda: «Siete capaci di sognare?».
Nel campus misericordiae, sabato sera, durante la veglia, ci hanno distribuito una candela a testa. La suggestione di guardarsi intorno a trecentosessanta gradi e vedere un mare di luci, di cui non si scorgono a occhio nudo i confini, è stata la prova che il sogno è possibile, che non siamo soli.

Come Zaccheo
Nella messa di domenica, che ha chiuso la Gmg, la «misericordia» si è concretizzata nella figura di Zaccheo, il quale non si ferma di fronte agli ostacoli, ma ha il coraggio di superarli, di andare incontro, mosso da una sana curiosità, a colui che cerca. Zaccheo è la persona che non ha paura di costruire un ponte e nemmeno di fare il primo passo per attraversarlo. Nonostante il suo vissuto di pubblicano è, per usare le parole del papa, un «giovane con gli scarponi», e non un «giovane-divano». È un pellegrino come noi che sceglie di farsi avanti.
Noi giovani della Consolata abbiamo avuto l’opportunità di vivere l’invito del papa a costruire ponti per andare incontro all’altro nel fatto stesso di condividere l’esperienza con un gruppo misto: una tavolozza di lingue e colori diversi che hanno creato legami che non si fermeranno a queste due sole settimane.
Come ognuno di noi, Zaccheo viene chiamato per nome e non teme di rispondere in modo sbagliato, anzi osa salire sul sicomoro per farsi notare. Zaccheo è il giovane che va incontro al messaggio di Gesù, del Dio misericordioso, che pone il senso del suo «viaggio» nel dono di sé:
«Se uno non vive per servire, non serve per vivere!» (papa Francesco).
Arrivederci a Panama!

Ilaria Ravasi e Leonardo Bussola

di Ilaria Ravasi e Leonardo Bussola

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