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Consanguinei di Dio

Un Dio visibile, udibile, palpabile

Bolivia. Foto da Archivio fotografico Missioni Consolata.
Nel Verbo fatto carne, Dio si rivela come l’Emmanuele, il Dio con noi; un Dio visibile, udibile, palpabile. Finalmente la distanza infinita che lo separava dall’umanità è stata eliminata, e l’uomo ha potuto contemplare le sue viscere di misericordia.

Seconda puntata sul tema della misericordia.

Nel precedente articolo (Amico, maggio 2016 – se vuoi leggere anche il terzo articolo della serie, clicca qui -)  abbiamo notato come Dio avesse deciso di abitare in mezzo al suo popolo eletto, per colmare la distanza infinita che li separava. Abbiamo inoltre ricordato come Egli, al grido di Israele, scese per soccorrerlo e manifestargli il suo amore misericordioso.
Il movimento discendente di Dio descritto nell’Antico Testamento, è completato da Gesù Cristo. Egli, preesistente al mondo creato e in eterna comunione con il Padre, compie la sua discesa verso l’umanità. E lo fa in tre momenti successivi, descritti nel Prologo del Vangelo di Giovanni.

TRE MOVIMENTI

Il primo movimento si trova in Gv 1,9: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo». Egli si reca dove abitano gli uomini, cioè nel mondo, lasciando la sua trascendenza, squarciando il firmamento, che lo separava da essi. Viene per illuminare e fugare le ombre del male, e si presenta come punto discriminante: d’ora in poi gli uomini dovranno decidere se camminare nella sua luce o rimanere nelle tenebre.

La seconda tappa della discesa è registrata al v. 11: «Venne tra la sua gente [Israele], ma i suoi non lo hanno accolto». Da tempo immemorabile Israele attendeva il Messia, promesso da Dio, ma, purtroppo, alla sua venuta non lo riconosce. È troppo ancorato alla sua cultura e alle sue tradizioni. Non ha il coraggio di rompere con il passato per aprirsi alla rivelazione che Gesù è del mistero del Padre.

Infine l’ultima tappa è sottolineata nel v. 14: «E il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Finalmente la distanza infinita che separava Dio dall’umanità è stata eliminata. Nel Verbo fatto carne, Dio si rivela come l’Emmanuele, il Dio con noi; un Dio visibile, udibile, palpabile.

Ricordiamo il rimprovero che Gesù rivolge all’apostolo Filippo: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9).

IL VOLTO DEL PADRE

La discesa del Cristo tra noi è la massima epifania del Dio dell’Antico Testamento. L’immersione di Gesù nell’umanità è simultaneamente effettiva ed affettiva. L’effetto che Cristo voleva realizzare era quello di rivelare il vero volto del Padre, un volto paterno, materno, pronto a perdonare le sue creature e ristabilire con loro un legame di amicizia e di amore.

Il movimento discendente del Verbo verso l’umanità, descritto nel Prologo giovanneo, si può anche notare nel magnifico inno cristologico della Lettera ai Filippesi 2,6-11. Al movimento discendente (vv. 6-8) corrisponde il movimento ascendente che descrive l’azione del Padre che conferisce al Figlio «il nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra ed ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore» (vv. 9-11). Tutta la creazione è chiamata a una ovazione cosmica proclamando prima di tutto Gesù Signore e poi riconoscendolo come colui che ha riconciliato in sé tutte le cose, quelle della terra e quelle del cielo (cf. Col 1,15-20; 1Tim 3,16). La totale riconciliazione con il Padre ci ha permesso di accedere alla sua presenza con la certezza che il Padre ha perdonato nella sua misericordia i nostri peccati e ha seppellito negli abissi del mare le nostre colpe (cf. Michea 7,19).

VISCERE DI MISERICORDIA

La spiegazione di questo nuovo ordine di cose, come completamento della rivelazione iniziata nell’Antico Testamento, non trova altra motivazione che «nelle viscere di misericordia del nostro Dio», secondo una traduzione letterale della parola greca, splanchna.

Il lessema greco splanchna e la corrispondente forma verbale splanchizomai corrispondono ai termini ebraici di raham e hanan. Il lessema raham descrive un sentimento profondo localizzato nell’intimo della persona, ed esattamente nelle sue viscere. Il suo sostantivo corrispondente, rehem, è il termine, che indica il seno materno. Sono due termini che esprimono una partecipazione affettiva, un rapporto di pietà, di compassione e di amore. È il sentimento che meglio esprime quello di una madre, di un padre, di un fratello. In sostanza essi si riferiscono a una relazione di consanguineità, e dipingono bene la figura di uno che ama appassionatamente e teneramente, ma anche efficacemente.

Le creature umane, oggetto della passione viscerale di Dio Padre, si trovano con lui in una relazione di consanguineità. I teologi ci passino questa idea che non ci sembra del tutto peregrina nella Bibbia: infatti, nel racconto della creazione (cf. Gen 1,1-2,4a) leggiamo che Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza» (Gen 1,26). E ancora, nel Salmo 8 leggiamo: «Eppure lo hai fatto poco meno di Elohim [uno dei nomi divini dell’Antico Testamento]» (v. 6). Dio ci ha creati imprimendo nel nostro cuore la sua immagine e la sua somiglianza e, al dire del Salmo 8, ci ha fatti poco meno di se stesso. Per questo egli non può non volgere il suo sguardo verso di noi. In noi egli ricontempla se stesso.

DIO PADRE E MADRE
Rembrandt, Il Ritorno del figliol prodigo, olio su tela (262×206 cm), 1668, conservato nel Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, Russia.

L’idea di consanguineità che richiede reciprocità, protezione e difesa si ritrova nel concetto di go’el che significa appunto «redentore», «protettore», «difensore» (cf. Gb 19,25; Salmi 19,15; 78,35; Is 41,14; 43,14; 46,6; 49,7; 59,20). Il go’el aveva l’obbligo, in forza del legame di sangue, di difendere, e anche, eventualmente, vendicare i membri della sua famiglia. Ed è esattamente quanto Dio fa per Israele. Lo difende contro i nemici e infine lo conduce nella terra della promessa, dove scorre latte e miele.

Noi tutti siamo parte della sua famiglia e per questo egli è anche il nostro go’el. Le «sue viscere di misericordia» lo inducono ad avere un sentimento di tenerezza e di amore verso ogni membro della sua famiglia. Per la sua famiglia egli manifesta la sua attitudine materna con un legame affettivo e vitale per ogni persona, anche la più reietta. Attraverso l’opera di Gesù, Dio si rivela come un Dio mosso da un fremito viscerale, pronto a produrre cieli nuovi e terre nuove per coloro che si lasciano avvolgere dal suo abbraccio paterno e materno. Come una madre, Dio non può non perdonare.

«IO LI HO GENERATI»

Questo amore materno di Dio ci fa tornare alla memoria una donna che un mattino presto di tanti anni fa, gli anni delle Brigate rosse, suonò il campanello della canonica della nostra chiesa a Torino. Subito la invitammo a entrare in ufficio e, senza indugio, ci disse che i due giovani di cui aveva parlato il telegiornale la sera prima erano suoi figli: «Sono assassini e hanno ucciso più di una persona. Lo stato li deve condannare; essi devono pagare per il male che hanno fatto». Poi si fermò un attimo e, poggiando le sue mani sul suo seno, aggiunse: «Io non posso non perdonarli, li ho generati io». Anche Dio, come questa madre, è pronto a perdonarci con immensa tenerezza, qualunque sia il peccato che abbiamo commesso.

Antonio Magnante

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