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Narcotraffico. Una forma globalizzata di schiavitù

Schiavitù lontana e schiavitù vicina: ecco il legame che i ragazzi scoprono tra la realtà colombiana del narcotraffico e la realtà italiana dello smercio e del consumo di cocaina.
In qualunque punto ci si vada a collocare nella catena virtuale della droga…

L’Associazione Impegnarsi Serve Onlus, nata nel 1997 sotto il patrocinio dei missionari della Consolata, da più di 5 anni svolge progetti educativi interculturali nelle scuole medie e superiori del Piemonte e della Lombardia. In particolare porta avanti il progetto “L’altra faccia della coca”, con cui affronta proprio il tema coca/cocaina.

COLONOS, TRAFFICANTI LOCALI E MALAVITA
Schiavitù lontana e schiavitù vicina: ecco il legame che i ragazzi scoprono tra la realtà colombiana del narcotraffico e la realtà italiana dello smercio e del consumo di cocaina.
In qualunque punto ci si vada a collocare nella catena virtuale della droga, che parte dal Sud America e che arriva all’Europa, si riscontra una comune realtà di schiavitù.
Esiste la schiavitù dei colonos, coloro che fin dagli inizi del ’900 si sono trasferiti dalle Ande alla foresta amazzonica in cerca di una nuova opportunità di lavoro e di benessere: ignari delle caratteristiche della foresta, del ciclo di vita che la mantiene, hanno incontrato difficoltà e insuccessi, rimanendo così prigionieri della stessa povertà dalla quale erano fuggiti. Allettati dai facili guadagni proposti dai piccoli trafficanti locali hanno trovato nella coltivazione della pianta di coca la risposta alla loro povertà, ma con il passare del tempo i facili guadagni si sono trasformati in minacce, ricatti, oppressione.
La schiavitù dei colonos è dunque quella imposta dai narcotrafficanti che inizialmente regalano sementi, attrezzatura ed elementi chimici per il processo di estrazione della cocaina dalle foglie di coca, ma che con il passare del tempo si fanno ampiamente ripagare. Inoltre sempre più pressanti sono le richieste in merito alla quantità e alla purezza del prodotto, sui quali non c’è pietà: se si sgarra c’è in ballo la vita.
Il trafficante ha in pugno centinaia di famiglie e il loro sostentamento: può farne quello che vuole, liberandosi facilmente di chi non lo soddisfa o gli crea problemi. È difficile, per i colonos entrati in questo giro, uscirne, perché non si vedono alternative. Per cui si china la testa, si lavora sodo, si maneggiano sostanze tossiche tutto l’anno senza alcuna precauzione e si spera che il prodotto finale soddisfi gli acquirenti.
Il guadagno permette di vivere, ma è un guadagno irrisorio rispetto a quello di chi sta ai piani più alti, soprattutto a quelli dell’ndrangheta, che da alcuni anni possiede il monopolio di questo tipo di traffico.
Per i trafficanti locali la schiavitù è dunque la malavita, dalla quale dipende il loro benessere tanto a lungo ricercato. Una vita dedicata a emergere dalla massa, a prendere i contatti, a instaurare una fiducia filiale, a creare una rete di relazioni… in vista del benessere e del piacere, all’inseguimento dello stile di vita dei paesi cosiddetti sviluppati. Sorgono strutture, come i casinò o altri luoghi del divertimento, in cui viene disperso gran parte del guadagno per il semplice gusto di poterselo permettere, secondo una logica estranea alla mentalità tradizionale del posto. Nasce e si diffonde una narco-mentalità e una narco-coscienza che permea ogni attività e decisione e che diventa la normalità di vita: è normale non domandarsi dove finisce il prodotto finale e che conseguenze abbia su chi ne fa uso; è normale chiudere un occhio sui quantitativi esorbitanti di benzina, candeggina, soda caustica… che viaggiano sulle barche lungo i fiumi per raggiungere i piccoli laboratori sparsi nella foresta dove avviene il processo di estrazione dell’alcaloide cocaina; è normale prendere soldi per la propria omertà; è normale ricorrere alle armi per minacciare e raggiungere i propri scopi; è normale uccidere.
Una normalità anomala apportata dall’ndrangheta e che rappresenta la vera schiavitù di chi gestisce il traffico illegale sul posto.

I «MULI» VOLANO IN NORD AMERICA E IN EUROPA
Una volta ottenuta la merce, occorre farla arrivare a destinazione, nei vari porti internazionali soprattutto del nord America e dell’Europa. Ed è qui che entrano in gioco altre forme di schiavitù, legate alle figure dei cosiddetti muli. Donne e uomini di età differenti che mettono a rischio la propria vita per trasportare in corpo grandi quantitativi di cocaina, racchiusa in ovuli ingeriti nelle ore precedenti al volo aereo e accumulati nello stomaco. Un carico che dipende dalla stazza della persona e che può raggiungere il centinaio di ovuli per uomini di grossa corporatura.
Mesi di addestramento necessario per prepararsi psicologicamente a ingoiare le capsule, a trattenerle in corpo, a svolgere con disinvoltura ogni faccenda ignorando la loro presenza nello stomaco, a non entrare in panico di fronte alle forze dell’ordine che eseguono i controlli a campione su chi arriva con l’aereo dai paesi sudamericani.
Soprattutto mesi di addestramento per imparare a obbedire senza fiatare, sotto la minaccia di ripercussioni di vario genere su tutti i familiari rimasti a casa, in caso di ribellione o di smarrimento della merce ingerita. In cambio arrivano soldi, tanti soldi, a sufficienza per comprarsi una casa o per mantenere una famiglia per un anno intero.
I giovani, senza grandi opportunità di lavoro, trovano, in questo modo, un impiego. Gli uomini, spesso sfruttati e sottopagati, trovano un’alternativa di guadagno. Le donne individuano una forma di mantenimento delle proprie numerose famiglie.
Un film di Joshua Marston prodotto nel 2003 e dal titolo Maria, full of grace, vincitore di diversi premi come miglior sceneggiatura d’esordio e come migliore attrice protagonista al Festival Internazionale del Cinema di Berlino, rappresenta in maniera molto puntuale e realistica le vicissitudini di una ragazza che decide di fare la «mula». Un film adatto e consigliato ai nostri giovani per capire meglio cosa può spingere un ragazzo a mettere a rischio la propria vita e a entrare nel giro del traffico di stupefacenti; ma anche un film che racconta il coraggio e la voglia di cambiamento che rendono la protagonista forte e portatrice di speranza. Un film che non nega la dura realtà sudamericana, che non giudica le scelte illegali della popolazione, ma che propone una via alternativa, rivolta alla vita e non alla morte: vita piena di ricche relazioni umane, di sostegno reciproco, di condivisione.
La cocaina, tuttavia, non viaggia per il mondo solo attraverso lo stomaco dei «muli»: le modalità di spostamento sono le più disparate e «fantasiose»! Droga nelle suole di scarpe, nelle intercapedini dei vasi, nelle capsule dei denti … non passa giorno in cui non ci siano articoli sui giornali in merito a nuovi sequestri di droga. È sufficiente visitare il sito della polizia di stato e leggere la Relazione annuale sul traffico di droga redatta dalla Direzione Centrale per i Servizi Antidroga per cogliere le dimensioni del traffico di stupefacenti e capirne il coinvolgimento globale, a partire dallo stesso continente africano divenuto base di stoccaggio per le rotte di scambio e smercio. Il Golfo di Guinea, infatti, è risultato un nuovo punto di approdo della merce con la nascita di numerose false ditte di import/export che trasferiscono il carico da una nave a un’altra potendo così cambiare il luogo di provenienza delle stesse navi: se intensi sono i controlli antidroga europei rispetto ai mercantili provenienti dall’America Latina, non altrettanto lo sono rispetto ai mercantili africani.
Nuove schiavitù disseminate nei vari continenti, sotto l’insegna del dio denaro. Una rete mondiale «sotterranea» di uomini e donne che lavorano per spostare le sostanze stupefacenti nei vari angoli della terra in cambio di soldi e privilegi. Tante pedine del gioco della morte ignare e incoscienti del disegno che stanno contribuendo a delineare sul volto del pianeta.

I CONSUMATORI NEL VUOTO
Spagna, Italia, Olanda: svariate sono le «porte d’ingresso» della cocaina in Europa, dove un’analoga fitta rete di personaggi sono coinvolti nel recupero e nella distribuzione capillare. Una rete che, in termini di guadagni, assume la forma di una piramide con la ‘ndrangheta in cima e una moltitudine sempre più ampia di adolescenti e minorenni alla base.
Cosa spinge questi ultimi a entrare nel giro, pur sapendo dei danni che la cocaina apporta al consumatore?
Incontrando molti ragazzi fuori e dentro le classi scolastiche, si percepisce un senso di «saturazione» rispetto al discorso del bene e del male: a livello informativo si sa che le droghe danneggiano irreversibilmente il cervello e l’intero fisico della persona, ma ciò che ha più efficacia sulle nuove generazioni è il coinvolgimento esperienziale. Se l’utilizzo delle sostanze stupefacenti permette al giovane di integrarsi nel gruppo, di farsi accettare, di sentirsi invincibile, di avere una sensazione di benessere, di soddisfare le proprie curiosità, tutto questo domina i suoi orientamenti e le sue scelte, anche in contrasto con le numerose informazioni che negli anni ha ricevuto, soprattutto dal mondo adulto. Non importa più se una cosa fa male, perché sull’altro piatto della bilancia ci sono tante altre cose allettanti.
Occorre che si abbandonino i discorsi moralistici e che si percorrano altre piste.
L’importanza dell’informazione rimane, ma occorre fornire quella più sconosciuta, non menzionata dai quotidiani: ad esempio, tutta la realtà della coltivazione, dell’estrazione e del narcotraffico nei paesi di origine come la Colombia, dove è in gioco l’esistenza di altre popolazioni. Far sentire la voce di tali popolazioni che spiegano la propria vita e le proprie scelte.
L’informazione dunque che nasce dalla vita di altre persone e non da analisi di laboratorio, seminari o dibattiti tra esperti.
Un’altra pista è la «voce dei coetanei»: ciò che racconta un ragazzo a un altro ragazzo, suscita maggiore interesse rispetto a ciò che racconta un adulto perché è più vicino alla stessa realtà.
Un’ultima pista è vivere in prima persona esperienze positive, di crescita, di confronto, di reciprocità: dalla composizione di una canzone, alla realizzazione di uno spettacolo o di un cartellone, alla rappresentazione teatrale o alla realizzazione di un gioco da proporre ai passanti lungo una via. Sono tutte esperienze di vita che «costringono» a creare discussione, a trovare una linea comune e a portarla avanti anche a costo di sacrifici e fatica. Mettere le mani in pasta, lasciarsi coinvolgere e aprirsi agli altri, sperimentando il gusto del creare e del donarsi gratuitamente. Insomma, far pesare di più, nuovamente, il piatto della bilancia finora trascurato, grazie al vissuto condiviso con altri: nel gruppo tutto acquista senso e sapore perché cresce la motivazione e si solidificano valori spesso sotterrati e dimenticati.
Questa probabilmente è la più grande schiavitù del nostro tempo, che tocca tutti i cittadini dei paesi cosiddetti sviluppati: l’assenza di valori, che priva della dignità di essere umani e delle grandissime potenzialità di bene e armonia.
Una minaccia dalla quale dobbiamo ogni giorno difenderci, con orgoglio e decisione, dando vita a un circuito virtuoso che affascina e contagia chi ci passa accanto.

di Stefania Ghiotti

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