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Siria. Fermiamo la guerra civile

Ancora una volta siamo costretti ad assistere in diretta a un massacro e a sentirci impotenti.

Quello che vediamo è terribile e quello che sentiamo è bruttissimo. Stragi, massacri, atrocità, torture, sangue, bombardamenti, violenza, morti, feriti, … Quello che sta accadendo da quasi un anno in Siria è insopportabile. Ma ancora più insopportabile è dover prendere atto dell’ipocrisia e del cinismo delle cosiddette “democrazie” occidentali. Niente di quello che si doveva fare per prevenire questo nuovo bagno di sangue è stato fatto. Parlano della “responsabilità di proteggere” ma poi non fanno nulla di quello che si dovrebbe fare. Nessuno sforzo, nessun tentativo, nessun progetto per dotare la comunità internazionale degli strumenti adeguati per agire responsabilmente. Non sono bastate le lezioni del Rwanda, del Kosovo, di Gaza, della Libia, …

E non si tratta solo della Siria. Vogliamo parlare di Yemen, Bahrein, Palestina, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Libia, Kosovo, Cecenia, …?

Quello che va ripetuto, va ripetuto: fintanto che non si restituirà all’Onu la credibilità, il potere e le risorse per adempiere al mandato che sta iscritto nella sua “Carta” e nel diritto internazionale dei diritti umani, l’umanità resterà prigioniera della legge della giungla e dei suoi aguzzini. L’Onu va rafforzata e democratizzata (per esempio creando finalmente l’Assemblea parlamentare delle Nazioni Unite) perché a più potere deve corrispondere più democrazia. Prevenire guerre e genocidi, difendere i diritti umani è possibile ma serve una chiara volontà politica. Lo diciamo da più di vent’anni e lo torniamo a ribadire oggi. L’Italia, che secondo il Presidente Monti vuole diventare un “attore globale per la pace”, non ha solo il dovere ma anche l’interesse di porre questo progetto contro la barbarie tra i principali obiettivi di una rinnovata politica estera.

Sulla Siria. Il solo obiettivo “realistico” oggi è fermare la violenza e la sua mostruosa spirale. È difficile ma non impossibile. E in ogni caso è la sola cosa che si possa fare se davvero vogliamo evitare il peggio. Che cos’è il peggio? Una lunghissima guerra civile che nessuno riesce a vincere ma che tutti finiscono per combattere. Noi compresi. Un nuovo e più grande Libano o se preferite un nuovo Afghanistan. Un disastro da far paura.

L’intero Medio Oriente è al centro di uno scontro planetario in cui la voglia di libertà e di giustizia per cui sono già morti tanti siriani si è già persa.  A giocare con la vita e la morte dei siriani oggi ci sono tutte le potenze del Medio Oriente e i “grandi” della Terra. A loro non interessano i diritti umani. Per loro i diritti umani sono solo un’arma da scagliare contro qualcuno quando serve. Oggi si può gridare contro le stragi e domani se ne può provocare una anche peggiore. La posta in gioco è sempre un’altra: il potere, la supremazia, l’egemonia, il dominio.

In questo impressionante groviglio di interessi non è facile trovare la strada giusta. Ma se vogliamo tentare di scongiurare il peggio o, almeno, se non vogliamo essere complici di questa ennesima tragedia dobbiamo agire in ogni modo e in ogni sede per fermare la spirale della violenza. Non c’è un altro modo per difendere davvero i diritti umani. Il regime di Assad va condannato per tutte le atrocità commesse (lo abbiamo fatto e continueremo a farlo) ma la sua condanna non può diventare il pretesto per altri massacri. Per questo oggi non possiamo che lavorare per fermare gli scontri e le armi. Impedire che ai morti si aggiungano altri morti. Spegnere l’incendio: non c’è un obiettivo più urgente! I piani per sostenere l’opposizione armata o per intervenire militarmente al loro fianco sono una follia di cui non possiamo essere complici. Non risolvono alcun problema e ne creano uno immensamente più grande. Il modello, se mai un modello esiste, fatte le debite differenze, non può essere la Libia ma il Libano.

A questo punto, quello che si deve dire, si deve dire forte e chiaro: è tempo che l’Italia (e l’Europa) si dia una politica (estera) degna di questo nome. Andare sempre a rimorchio delle scelte altrui, senza un’idea, una visione, una prospettiva, un’iniziativa non ci consente neanche di difendere i nostri interessi. Qualcuno dirà che è un’utopia, ma se non ci battiamo subito per fermare la violenza ne finiremo risucchiati.

Tavola della pace

Flavio Lotti. Coordinatore Nazionale della Tavola della pace

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